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ilcomunista

La dura lotta intercapitalista

di Paolo Massucci*

Un articolo preso dal Sole 24 Ore (qui) ci permette di fare una breve anche se ovvia riflessione...

L'articolo in sintesi evidenzia come più o meno tutti i Paesi dell'Eurozona registrino forti avanzi delle partite correnti e mette ciò in relazione con il rallentamento economico prima, con la stagnazione e poi con la vera e propria recessione registrata in questi giorni nell'Eurozona.

Le spiegazioni si limitano al fatto, relativamente noto, che se troppi Paesi basano la propria economia sull'export anziché bilanciare le partite correnti con i consumi interni, allora nascono difficoltà, ovvie, di sbocco delle merci esportate: infatti se un paese è esportatore netto, un'altro necessariamente deve essere importatore netto. Ad esempio gli USA di Trump, ribaltando il modello precedente, con le loro politiche protezioniste e i dazi sulle importazioni stanno sostenendo investimenti produttivi e produzione interna e ostacolando le importazioni (dunque in sostanza si assiste ad un riorientamento a vantaggio dell'export contro l'import).

Quello che l'articolo omette di chiarire esplicitamente è che in Europa (ma anche nel mondo) le politiche neoliberiste (sono infatti le oligarchie capitalistico-finanziarie che orientano le politiche economiche dei governi) portano a ridurre le imposte sul capitale e ridurre il costo del lavoro.

Questo, a sentire i mass media, appare come qualcosa di ottimo e benefico per l'economia e per il Paese (come se fossimo tutti sulla stessa barca, senza classi sociali) ma in realtà è tutt'altro che indolore! Se si riducono le imposte sul capitale allora per garantire la parità di bilancio, o comunque per non incrementare il deficit pubblico, devono essere aumentate le imposte sul lavoro o le tasse sui consumi (IVA), e devono ridursi qualità, estensione ed efficacia dei servizi pubblici; se si riduce il costo del lavoro di converso si devono ridurre salari, salari differiti (pensioni) e salari indiretti (stato sociale).

Cosa comporta dunque tutto questo in un Paese, cioè la presenza di capitali produttivi ipertrofici e di consumi depressi ? Comporta che il Paese, per non bloccarsi, deve orientare la propria economia alle esportazioni. Ma l'intera Europa negli ultimi trent'anni si sta muovendo in questa direzione e ora i nodi arrivano al pettine, peraltro nel momento in cui anche gli USA di Trump stanno riorientando la propria economia verso l'export. La competizione tra gli Stati, sia in Europa sia in tutto il mondo, per gratificare e quindi conquistarsi i capitali globali, è all'origine di quelle politiche neoliberiste che aumentano in maniera drammatica la polarizzazione di redditi e ricchezze, restringono lo stato sociale (quei servizi universalistici la cui costituzione, pur mai completata, sanciva il progresso civile delle politiche socialdemocratiche), comportano sofferenza e insicurezza sociale e disgregazione sociale, con comportamenti -in assenza di alcuna consapevolezza e coscienza di classe- di estrema competizione tra individui e sentimenti di rabbia che sfociano persino nel razzismo.

Ora, a queste devastazioni nella sfera sociale prodotte dalle politiche neoliberiste, si aggiunge un inceppamento della circolazione del denaro, in quanto le merci prodotte dai capitali industriali non trovano più sufficienti sbocchi a seguito del prevalere, appunto, a livello mondiale, di un modello economico globale vocato sempre più alle esportazioni. Ma come risolvere questa crisi se gli stessi poteri capitalistici per aumentare i profitti spingono sempre più i governi ad adottare politiche sempre più neoliberiste? Non sembra in questo caso, almeno per ora, che "la mano invisibile del mercato" sia in grado di sanare questa crisi. 


* Collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni"

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