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sinistra

Tempo astratto e tempo rivoluzionario

di Salvatore Bravo

Il tempo del capitalismo assoluto è il tempo astratto. La percezione del tempo si fa concreta nella consapevolezza dell’aprirsi al mondo, nel tempo della partecipazione al mondo ed a se stessi, è il tempo vissuto, in cui il fluire si organizza non nella dispersione di sé, ma nel raccoglimento, nel processo di soggettivizzazione attiva. Il tempo diviene, così, dimensione della qualità dialogica e dialettica che accoglie il mondo, le rappresentazioni, i suoi stereotipi per rielaborarli nella creatività. C’ è un tempo rivoluzionario, in cui il soggetto, non più individuo, atomo nel mondo al traino delle forze dei modi di produzione, diventa persona per vivere la soggettività autentica e condividerla. L’individualismo, espressione sostanziale del turbo capitalismo, si caratterizza per la temporalità generica ed astratta, il soggetto non vive il proprio tempo, ma il tempo del modo di produzione, vive al ritmo del dicitur, non osa essere libero. Gli è sconosciuta la dimensione interiore, del conflitto tra la rappresentazione del mondo e l’elaborazione personale e condivisa di un'altra modalità di vivere e rapportarsi al mondo. Il tempo fluido, martellante, fa del soggetto una parte organica del sistema, è il tempo del silenzio, non vi sono parole, ma solo silenzi. La caverna di Platone non è solo buio ed immagini, è il silenzio del tempo che scorre senza la dimensione del simbolico. Il tempo dei dormienti è l’invisibile forma che assume il nichilismo, avvolge, rassicura con un fluire che mentre chiede tutto, svuota il soggetto della sua capacità simbolica.

La difficoltà di opporsi a tale modalità di potere che entra nel corpo vissuto per svuotarlo della sua potenzialità simbolica, è nella capacità di sottrarre il conflitto, di rendere la vita uguale a se stessa. Si avvelenano le fonti della vita, prosciugandole con la distopia: le merci ed il denaro divengono le divinità tiranniche che promettono l’utopia, in tal maniera allontanano il soggetto da se stesso, lo destabilizzano, ipostatizzano forme di dipendenza mascherate da libertà senza limiti e confini. Il tempo è così ritagliato all’interno di categorie produttive che adescano con i loro miti. Nell’immediato, il soggetto rassicurato dall’apparente concretezza del tempo astratto, è teso con le sue energie verso l’immanente metafisica della merce. Il tempo nella ripetizione sempre uguale, malgrado il ritmo frenetico della produzione e del consumo, rallenta in quanto attimo segnato dalla violenza della coazione a ripetere. La comprensione dello stato presente può accadere in una pluralità di modi, talvolta la verità può delinearsi improvvisa nella lettura di un mito greco.

 

Il tempo dei dormienti

Aristotele con il mito dei dormienti descrive un piano della condizione umana possibile in ogni epoca:1

“Ma il tempo non è neppure senza mutamento. Quando infatti noi non mutiamo nella nostra coscienza, oppure, pur essendo mutati, ci rimane nascosta, a noi non sembra che il tempo sia passato. Allo stesso modo non sembra che il tempo sia trascorso neppure per coloro che, in Sardegna, secondo la leggenda [secondo quanto alcuni raccontano, tois muthologouménois] dormono presso le tombe degli eroi [in realtà: presso gli eroi, parà tois erosin]: essi infatti uniscono l’”ora” precedente con quello successivo, facendo di entrambi un unico istante, rimuovendo cioè, a causa dell’assenza di percezione [dia ten anasthesian], l’intervallo fra i due istanti. Così come, dunque, se l’”ora” non fosse diverso ma sempre identico e uno, non vi sarebbe tempo, del pari, se tale alterità ci rimane nascosta, non sembra che vi sia del tempo nell’intervallo tra i due. Se dunque la convinzione che non esiste tempo noi l’abbiamo quando non distinguiamo alcun mutamento, ma la coscienza sembra rimanere immutata in uno stesso istante indivisibile; mentre invece, quando percepiamo l’”ora” e lo determiniamo, allora diciamo che del tempo è trascorso; è allora evidente che non esiste tempo senza movimento e cambiamento. È chiaro pertanto che il tempo non è movimento, ma neppure è possibile senza il movimento”.

Nel profondo il modo di produzione del capitalismo assoluto ha lo scopo di mutare il tempo/coscienza, in modo da impedire al soggetto la percezione di essere stato determinato. La vita nel capitalismo assoluto, è un unico istante, senza differenze qualitative, vige solo il tempo della scissione individualistica, si presenta nella sua compattezza liquida, deve sottrarre al soggetto il tempo qualitativo, rivoluzionario, per renderlo simile ad un ente che opera per automatismo algoritmici.

 

Marx ed il comunismo: il tempo emancipato

Il tempo è la posta in gioco nel tempo attuale: la servitù, la condizione di alienazione si deve associare alla dispersione del tempo. Il capitalismo assoluto vorrebbe essere il signore del tempo, e dunque mettere in atto nella storia una nuova creazione, nella quale il tempo è negato, in questa maniera ipostatizza se stesso e pone nella condizione di famuli eterni i suoi servi fedeli e socialmente trasversali.

In Marx tale problema è sicuramente uno dei tratti del suo pensiero rivoluzionario: la scommessa futura per Marx è la possibilità data ad ogni essere umano con il comunismo di vivere il proprio tempo nel simbolico. Tempo rivoluzionario, il tempo del comunismo, perché tempo umanizzato dall’espressione simbolica comunitaria. Le potenzialità simboliche portano nel loro grembo la verità eterna di ogni essere umano, ovvero la comunicazione nel segno della reciprocità simbolica. Non a caso Marx, pur non avendo descritto la società comunista, ne ha teorizzato l’elemento essenziale: il tempo liberato dalla sussunzione formale e reale, dalla sottomissione al macchinismo, per essere tempo dell’emancipazione2:

regola la produzione generale e appunto in tal modo mi rende possibile di fare oggi questa cosa, domani quell’altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, così come mi viene voglia; senza diventare né cacciatore, né pescatore, né pastore, né critico”.

Se il tempo del capitalismo è il tempo dei dormienti, dei viventi stranieri a se stessi come alla comunità, il tempo del comunismo è il tempo che libera dalle scissioni, per rendere concreta la natura umana, le sue potenzialità espressive che non possono essere confinate in angusti limiti.

 

Il tempo che verrà

Il tempo è il luogo della vita, dell’unità, è il grande tema rimosso dalle sinistre del sistema. Naturalmente il silenzio sul tempo svela e rileva la realtà nichilistica delle sinistre omologate sul tempo dell’azienda. Il futuro si gioca sul senso e sugli usi del tempo, la sinistra senza metafisica, non può che schierarsi con il capitale, in assenza di una metafisica, di una visione olistica nella lettura del tempo presente e della storia. Il dibattito filosofico e politico necessita di riaprire il dibattito sul problema del tempo e della vita senza il quale non è pensabile riconfigurare il presente in una prospettiva nuova nell’alveo della tradizione filosofica. La sfida a cui le sinistre debbono rispondere, la si può sintetizzare nell’aforisma di Nietzsche che giudica le macchine il mezzo più efficace per eliminare dalla storia la soggettività e formalizzare in modo sostanziale il trionfo dell'uomo mediocre ed adattato3 :

La macchina come maestra. —La macchina insegna, attraverso se stessa, l'interagire di masse umane in azioni in cui ciascuno deve fare una sola cosa: essa fornisce il modello dell'organizzazione partitica e della condotta bellica. Non insegna viceversa la padronanza individuale: di molti fa una macchina, e di ogni individuo uno strumento per un unico scopo. Il suo effetto più generale è insegnare il vantaggio della centralizzazione”.

La macchina può liberare il tempo dell’essere umano, come prospettato da Marx nel frammento su macchinismo, o renderlo schiavo. Tutto è ancora possibile, malgrado il silenzio su tale tema.


Note

1 Arist. Phys., IV, 11, 218 b, ll. 23-33 e 219 a, ll. 1-2.

2 K. Marx, Ideologia tedesca, trad. it. di F. Codino, Editori Riuniti, Roma 1983, p. 24

3 F. Nietzsche, Umano troppo Umano, volume II, aforisma 218

 

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