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Di Battista “rompe” l’asse con Trump: “L’Europa si sganci dall’America”

di Lorenzo Vita

Il governo italiano ha tre politiche estere: quella della Lega, quella del Movimento 5 Stelle e quella di Enzo Moavero Milanesi. E oggi, Alessandro Di Battista ha infranto un altro tabù: l’asse con gli Stati Uniti di Donald Trump. Una sinergia che sembrava essere l’unico vero architrave dell’agenda estera italiana del governo giallo-verde, insieme alle forti aperture nei confronti della Russia. E di cui il viaggio di Giuseppe Conte a Washington doveva essere la certificazione.

Ma quest’asse nato dall’insediamento di Conte non sembra essere così netto. E lo dimostrano le parole di uomo estremamente rilevante per il Movimento 5 Stelle, che resta il principale partito di maggioranza dell’esecutivo. Ai microfoni di Lucia Annunziata, Di Battista ha infatti calato una carta decisamente importante affermando senza mezzi termini che “l’Europa avrà un futuro se si sgancerà dagli americani”. Una frase importante che arriva in un momento già di forti tensioni in seno alla maggioranza e in ottica internazionale dopo la frattura con Parigi.

Di Battista non è un ministro, non rappresenta il governo, ma certamente non è un uomo che parla a titolo esclusivamente personale. Rappresenta un segmento fondamentale del Movimento 5 Stelle ed è lui che guida da qualche settimana il fronte “movimentista” dei pentastellati dopo una fase di rigido “governismo” in cui il partito aveva assunto una linea molto più filo-occidentale e legate agli Stati Uniti.

La conferma è stata la decisione di approvare il gasdotto Tap, sponsorizzato in particolare da Stati Uniti e Commissione europea. Un progetto che ha anche lo scopo di differenziare le fonti energetiche sganciandosi (almeno teoricamente) dalla forte dipendenza dal gas di Mosca.

La linea intrapresa dal governo, decisamente più atlantica che europeista, è quella sostenuta anche dlla Lega. Nella sfida all’egemonia dell’asse franco-tedesco in Europa, Matteo Salvini ha deciso di puntare forte sull’alleanza con l’amministrazione Trump. E la prova di questa virata a Occidente è stata soprattutto data dal viaggio del sottosegretario Guglielmo Picchi negli States e dal prossimo sbarco in Usa del ministro dell’Interno, in cui parteciperà alla convention dei conservatori. Un atlantismo che guarda con favore anche a tutti gli alleati di Trump nel mondo, da Benjamin Netanyahu a Jair Bolsonaro, passando per i partiti sovranisti e il Gruppo di Visegrad.

La linea della Lega, sotto questo profilo, è stato molto coerente. Ha da subito messo in chiaro la sua sinergia col presidente americano e ha intessuto rapporti solidi con tutti i partiti che hanno interesse a legare la propria strategia con quella statunitense, in particolare per colpire l’Unione europea di Angela Merkel ed Emmanuel Macron. E questo, unito alle aperture verso Vladimir Putin, ha consegnato un programma molto chiaro, in linea con larga parte dei movimenti sovranisti europei. Coerente ma non per questo privo di effetti, visto che quale superpotenza, è Washington a dettare la linea. Ma Trump, in cambio della fedeltà dell’Italia, ha la capacità di consegnare a Roma il ruolo di principale partner Usa in un’Unione europea sempre più fragile e priva di solidarietà. Ed è su questa necessità che si fonda l’agenda estera leghista. Pur con un evidente tributo da pagare.

La presenza di Moavero, un uomo voluto da Sergio Mattarella e fortemente connesso all’Unione europea, doveva essere il contraltare ideologico e politico a questa linea. Con i 5 Stelle che hanno provato in tutti i modi a diventare il partito di riferimento di Trump nella maggioranza italiana. Idea che però è naufragata nel corso dei mesi per la scelta di Washington di puntare su Salvini e per le evidente differenze ideologiche fra i pentastellati e il mondo sovranista.

Così, arrivano oggi le parole di Di Battista, che appaiono non solo come una sfida interno al governo ma anche come un possibile rovesciamento dei canoni internazionali su cui si è fondato fino ad ora il governo. Crolla un’altra certezza: la sinergia con gli Usa. E questo nonostante la battaglia del Movimento proprio contro l’Unione europea, che ora appare come l’antagonista principale di Trump nel mondo. Una scelta probabilmente dettata sia dalle idee che dal bisogno di distanziarsi dall’alleato di governo. È del tutto evidente che la Casa Bianca opti per il sovranismo di stampo leghista. E ora il Cinque Stelle cerca nuove sponde in campo internazionale per non essere secondo.

Comments

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Eros Barone
Thursday, 14 February 2019 16:00
Le vere determinanti dell’avvento e dell’azione del governo Lega-M5S sono di natura internazionale. Da questo punto di vista, occorre innanzitutto osservare che le contraddizioni, di cui Lega e Cinque Stelle sono espressione, non traggono origine solo dai contrasti della piccola e media impresa con i monopoli internazionali, ma anche da una divisione interna alle principali frazioni del grande capitale stesso, che si riflette nella scelta delle alleanze internazionali. In effetti, oltre ai gruppi dominanti che sono saldamente agganciati alla duplice prospettiva del mercato comune europeo e della fedeltà alla NATO vi sono settori che guardano con crescente interesse ad una prospettiva di cooperazione dell’Italia con la Russia, con la Cina e, più in generale, con l’area dei cosiddetti paesi BRICS. D’altra parte, la strategia di attacco frontale contro la Russia e l’Iran, praticata dal presidente nord-americano Trump, incide soprattutto sugli interessi di una parte del capitale europeo, che a causa delle sanzioni contro questi paesi vede posta a repentaglio la possibilità di ingenti profitti. Si tratta di un conflitto di interessi tra i grandi monopoli statunitensi e il capitale italiano ed europeo, che ha per oggetto l’interscambio commerciale e tecnologico con paesi importanti come la Russia, la Cina e l’Iran, e come vincolo costrittivo il “sistema delle sanzioni” . Ciò spiega l’orientamento sempre più deciso di alcuni settori della grande impresa italiana in direzione di mercati diversi da quello statunitense, orientamento sposato da Di Battista (si pensi al peso assai rilevante dell’interscambio tra Italia e Iran). Fermo restando che l’alleato
politico-militare privilegiato del nostro paese sono gli USA, va comunque rilevato che la scelta di una differente dislocazione sul piano politico-economico rispetto al sistema delle alleanze tradizionali è ancora minoritaria fra i settori dominanti del capitale italiano, ma ha guadagnato molto terreno fra la media e la piccola borghesia le quali, sotto la sferza della crisi e a causa dell’assenza di un movimento operaio capace di esprimere una posizione autonoma, polarizzano e inglobano in questo orientamento anche ampi settori del proletariato. A ciò si aggiunge un altro fattore di tensione che produce crescenti frizioni all’interno dello schieramento atlantico sull’indirizzo economico e politico da perseguire, contribuendo ad aggravare lo scontro fra i monopoli statunitensi e quelli tedeschi. A questo proposito, si pensi alle trattative sul TTIP, bloccate dalla contrarietà della Germania, e alla conseguente introduzione, da parte degli USA, dei dazi doganali per l’acciaio e l’alluminio, che rendono concreta la possibilità di una guerra commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea e pongono all’ordine del giorno la realtà di una competizione sempre più dura fra i grandi monopoli dei diversi poli imperialisti con tutte le ripercussioni che ciò non può non determinare sull’indirizzo che prenderanno i governi dei diversi paesi europei. In questo senso, il risorgere di forti pulsioni nazionaliste e imperialiste è strettamente correlato alla posizione che occupano nel quadro internazionale quei settori del capitalismo italiano che cercano di liberarsi dai vincoli sempre più costrittivi imposti dal sistema di alleanze atlantico e a questo scopo utilizzano il nazionalismo come strumento per la costruzione del consenso, puntando, per un verso, a dirottare il malcontento dei lavoratori sul ‘nemico interno’ (gli immigrati) e, per un altro verso, sul ‘nemico esterno’ (tedeschi, francesi, cinesi ecc.).
In conclusione, sia per i settori dominanti che per i settori ‘dominati’ del blocco capitalistico si pone il problema di un equilibrio dinamico da conseguire mediante un compromesso tale da implicare per i primi la rinuncia, in nome degli “interessi generali” di tale blocco, ad uno scontro frontale con i secondi e quindi una scelta neogiolittiana di ‘addomesticamento’ del populismo sovranista, mentre per i secondi si pone la necessità di un ridimensionamento tattico dell’opzione anti-europeista attraverso una manovra che, correndo il rischio di un ‘effetto-Tsipras’ e giocando sul peso dell’Italia quale terza potenza economica dell’Europa, punti ad estendere i margini per una politica di maggiore autonomia. Quale che sia l’esito dello scontro che è in corso, resta, comunque, fondamentale e vitale per il movimento di classe l’esigenza di preservare la propria autonomia rispetto alle diverse frazioni della borghesia capitalistica, rifiutando di accodarsi all’una o all’altra di esse e perseguendo l’unica politica che meriti di essere perseguita: l’unità di tutti gli sfruttati nella lotta contro il capitalismo, per il socialismo.
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Mario Galati
Wednesday, 13 February 2019 13:50
Il referente alla chiacchera demagogica sinistra dei grillini sbadiglia e fa l'occhiolino ai "rivoluzionari", come da compitino assegnato nel cucuzzaro M5S, e subito qualcuno vede la tempesta.
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