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genova citiy strike

Il pilota automatico e la lotta di classe

di CityStrike

Qualche mese fa proponevamo una riflessione sul concetto di sovranità  a partire da un allora recente fatto politico, ovvero il diniego da parte del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a nominare l'economista Paolo Savona alla carica di Ministro dell'economia. La questione era molto semplice, Savona rischiava di assumere una linea nei confronti dell'Ue non tollerabile dall'establishment economico-finanziario. Il tutto a prescindere dalla reale validità delle posizioni economiche di Paolo Savona che ritenevamo e riteniamo ancora molto discutibili.

La storia oggi si ripete tale e quale con la questione venezuelana, laddove Mattarella interviene per riportare il nostro paese nel solco delle posizioni espresse dagli stati europei, e per ribadire la fedele subalternità dello Stato italiano ai partner statunitensi, ovvero a fianco del golpista Juan Guaidò scelto dagli USA, dopo che i 5 Stelle avevano assunto una posizione intelligente, utile perlomeno a scongiurare una carneficina alla quale, invece, evidentemente aspirano i sostenitori del golpe.

Si tratta di un fatto molto grave: il Presidente della Repubblica interviene a gamba tesa contro le cautele governative indicando la necessità di sostenere un golpe totalmente antidemocratico e ingiustificabile a norma del diritto internazionale. Il tutto amplificato dalle posizioni della Lega Nord che, a stretto giro, fa sapere di essere d’accordo con il Presidente della Repubblica unendosi a un ampio fronte costituito dalla destra estrema, dal PD e dai media.

Niente di nuovo sotto il sole: per la borghesia internazionale il diritto è un'arma da impugnare quando confacente ai propri interessi, un inutile inciampo quando questo non accade.

Occorre allora interrogarsi su una questione per noi centrale: perché il Presidente della Repubblica non ha sollevato nessuna questione quando gli venivano sottoposte leggi antipopolari che minavano il diritto all'abitare, a una sanità pubblica e di qualità, all'istruzione e al lavoro? Perché il Presidente della Repubblica si preoccupa della nomina di un economista a un ministero e non si indigna per una legge infame come il decreto sicurezza? Sembrano domande retoriche ma non lo sono. Solo qualche settimana fa, il Presidente della Repubblica è stato incensato anche dalla sinistra in virtù di una presunta critica alle politiche del governo che sarebbe emersa dal discorso di fine anno. Una sinistra che, in Italia, deve ancora fare i conti con il PD e i suoi alleati, accecata oggi da un'antisalvinismo e un'antigrillismo a geometria variabile e buona, in ogni occasione, a saltare sul carro di chiunque pur di contestare il governo.

Oggi, c'è di più: le dichiarazioni di Mattarella sul Venezuela sono state immediatamente riprese da Salvini. Nella testa di una parte di borghesia italiana si fa strada l'idea di un ritorno in campo di un'alleanza tra la destra e il PD. I garanti sarebbero ovviamente la NATO, il presidente Trump e l'Unione Europea. In questo senso si possono leggere le recenti manovre di Macron che richiama l'ambasciatore italiano. Non è possibile criticare il colonialismo francese, non è possibile agitare una strumentale vicinanza ai gilet gialli. La lotta contro il fronte sovranista diventa l'elemento fondamentale e poco importa se le dichiarazioni dei 5 Stelle siano più o meno sensate o si torna a dialogare col diavolo Salvini o con Berlusconi. Ciò che conta è il livello di fedeltà a una serie di poteri che devono essere rispettati a prescindere.

In altri termini: per i poteri economici e finanziari il problema in Italia non sono il ritorno del fascismo o le sparate razziste e reazionarie dei leghisti. Il problema è che il movimento 5 Stelle non è affidabile sulla TAV, difende il “comunista” Maduro e denuncia la politica coloniale francese. Che poi lo faccia veramente, che lo faccia male è un discorso secondario.

La questione è molto semplice: l'ordine economico non può essere intaccato, le persone non possono decidere delle scelte che riguardano le loro condizioni materiali di esistenza. La stessa natura dei trattati dell'Unione Europea ha esattamente questa funzione: sottrarre alla sovranità popolare le scelte di politica economica e di collocazione internazionale. Si tratta di una sorta di ribaltamento della gerarchia delle fonti dove, per fare un esempio, il pareggio di bilancio inserito nella Costituzione ha prevalenza rispetto agli altri diritti sociali sanciti dalla Costituzione stessa. Si tratta di un modus operandi molto comune negli ultimi anni: l’esempio classico è quanto avvenuto in Grecia in seguito alla vittoria alle elezioni del 2015 da parte di Syriza, vittoria che rappresentava una vera e propria ribellione popolare contro il massacro sociale portato avanti dalle politiche di austerità imposte dall'Ue e praticate dai socialisti. In quell’occasione il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble si lasciò andare sostenendo che “le elezioni non cambiano niente, ci sono delle regole”, seguito dal Presidente della Commissione europea Juncker che rassicurò padroni e speculatori che “non ci può essere nessuna scelta democratica contro i trattati europei”

Si capisce allora perché la sovranità dello Stato Bolivariano non possa essere tollerata, non solo dagli Stati Uniti, che perdendo la leadership globale intendono rafforzare il giogo il proprio “cortile di casa”, consegnando il Venezuela ad un governo fantoccio per poterne controllare il petrolio e le altre risorse naturali, ma pure dai governi europei. Il Venezuela rappresenta l'alternativa che lorsignori vorrebbero far sparire persino dall'immaginario dei popoli. E' la sovranità popolare che non può essere tollerata. Non può essere tollerato che i venezuelani decidano della redistribuzione delle ricchezze petrolifere sottraendole alle multinazionali, non è tollerabile che i popoli, che hanno ottenuto con il chavismo delle conquiste sociali dopo anni di miseria e liberismo, difendano la propria Costituzione, il proprio governo, la propria sovranità.

E' per questo motivo che riteniamo dirimente stare con Maduro e con il socialismo bolivariano. La collocazione sul Venezuela mette in evidenza, in Italia come in Europa, la distanza tra chi sta con le classi popolari e la sinistra che sta con i padroni, che si strappa le vesti per difendere i profitti e la proprietà privata, assieme magari a quel Trump che per le anime belle democratiche era il male assoluto fino a qualche settimana fa ed ora viene eretto a paladino della libertà e delle democrazia.

Ma allora che fare? Come bloccare il giogo del “pilota automatico” di cui parlavamo all’inizio? Noi pensiamo che ciò si possa fare attraverso l'organizzazione e la lotta, indicando alle classi popolari i veri nemici da combattere, una vera alternativa sociale, rimettendosi in connessione con un blocco sociale disgregato e incattivito.

E' quello che hanno fatto i comunisti in Francia con i Gilet gialli: quel lavoro politico che ha permesso che un movimento spurio, in Italia schifato dal ceto politico della sinistra, partecipasse ad uno sciopero generale con le organizzazioni politiche e sindacali di classe.

La vicenda francese ci insegna anche un'altra cosa: negli stessi giorni in cui il governo giallo-verde riceveva una sonora batosta nello scontro sulla manovra finanziaria con l'UE, cedendo su tutta la linea, il commissario europeo Moscovici, concedeva al governo francese di sforare il fatidico 3 per cento del rapporto tra deficit e Pil per finanziare le timide concessioni di Macron ai francesi.

Escludendo che alle burocrazie europee possa interessare qualcosa delle condizioni di esistenza dei cittadini degli stati membri, e la Grecia sta proprio lì a dimostrarcelo, si deve concludere che è la lotta che paga, che i padroni e gli speculatori possono inventarsi tutti gli steccati legali, tutte le forzature costituzionali possibili, ma non potranno mai dormire sonni tranquilli, perché la storia non finisce con il loro ordine.

E la lotta contro le destre, contro Lega e 5 Stelle, contro il PD, contro la UE e contro la NATO ha senso solo se inquadrata in una battaglia più ampio verso la conquista del potere economico e finanziario. Verso il socialismo.

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