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Contro la secessione dei ricchi e l'autonomia regionale differenziata

Un comitato in difesa dell’unità nazionale

di Stefano G. Azzarà

L'unico "sovranismo" che ci piace: difendere l'unità nazionale - definita dalla Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza antifascista e dall'impegno dei comunisti - dalla secessione dei ricchi promossa da Lega e 5Stelle.

Mi sembra un'ottima iniziativa. Forse la prima che la sinistra azzecca dal 2005.

A fronte di tanto patriottismo socialsciovinista eurofobo e subalterno agli USA che si è diffuso anche a sinistra, questo è finalmente il modo di smascherare il sedicente "sovranismo" sui problemi concreti. E di porre all'ordine del giorno la vera questione nazionale, che - a partire dal divario Nord-Sud - è sempre anche una questione di classe.

Se la sinistra lo avesse fatto in tempo utile, oggi non assisteremmo a tanti episodi di slittamento patriottardo a destra, come nel caso di rinascita, patria e costituzione, Senso comune e via di rozzobrunismo.

E' un'occasione da non perdere e soprattutto una questione da non lasciare ai grillini, che se saranno messi all'angolo cercheranno disperatamente di intestarsela declinandola in chiave "sudista".

Invito tutti ad aderire. Domenico Losurdo, che temeva la Lega più di ogni altra cosa, approverebbe [SGA].

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* * * *

Rivolgiamo un appello a donne e uomini liberi, alle soggettività politiche e sindacali, al mondo dell’associazionismo, ai movimenti che si riconoscono nei principi di uguaglianza e nell’universalità dei diritti sanciti dalla nostra Costituzione.

Un appello per incontrarci e costituirci in un Coordinamento nazionale in difesa della Repubblica, dell’universalità dei diritti e della solidarietà nazionale contro il federalismo differenziale.

Va avanti l’approvazione “dell’autonomia regionale differenziata”, nel silenzio generale mentre l’opinione pubblica viene distratta dall’assordante propaganda razzista e xenofoba. Senza discussione politica diffusa e all’insaputa di milioni di cittadine/i si sta per determinare nel giro di poche settimane la mutazione definitiva della nostra architettura istituzionale, la destrutturazione della nostra Repubblica.

La vicenda è partita con i referendum svolti in Veneto e Lombardia nel 2017,cui ora si vuole dare seguito senza tenere alcun conto dei principi di tutela dell’eguaglianza, dei diritti e dell’unità della Repubblica affermati dalla Corte Costituzionale

La Lega che ha voluto i referendum in Lombardia e Veneto oggi è al Governo e pretende che il governo dia risposte interpretando le norme costituzionali sull’autonomia in modo eversivo per l’unità nazionale e l’universalità dei diritti. La maggioranza politica giallo verde non può consegnarsi alle istanze secessionistiche della Lega. Il Pd farebbe bene ad opporsi non solo a questa richiesta targata Lega ma anche all’autonomia differenziata posta dalla maggioranza PD dell’Emilia Romagna, in forme solo in parte dissimili. Dal 2017, durante il governo Gentiloni, ad oggi sulla scia di Veneto, Lombardia e Emilia Romagna anche altre Regioni si stanno attivando per ottenere maggiori poteri e risorse grazie alla sciagurata modifica del Titolo V della Costituzione del 2001.

Di fronte al rischio di una “secessione dei ricchi” è necessario un coordinamento delle forze che si oppongono a questo processo per dare vita a una mobilitazione efficace per bloccarla.

Un coordinamento che chieda anche una commissione di inchiesta parlamentare, ai sensi dell’art. 82 della Costituzione, sull’attuale stato delle prestazioni relative ai diritti civili e sociali in ciascuna Regione Italiana, in modo da fotografare la situazione attuale già fortemente compromessa. Da una seria inchiesta parlamentare, tenuta anche a informare adeguatamente i cittadini, risulterebbero infatti gravi disparità fra Regione e Regione (soprattutto fra regioni a statuto speciale e regioni a statuto ordinario, fra regioni del nord e del sud del Paese).

La gestione e l’attribuzione delle risorse deve restare in un ambito nazionale condiviso da tutte le regioni e dai comuni

Questa verifica aprirebbe finalmente un dibattito consapevole, basato su dati oggettivi, sullo stato dei diritti in Italia e non favorirebbe ulteriori fughe in avanti, destinate ad aggravare ancora di più le disparità fra i cittadini residenti nelle diverse regioni italiane, che nel caso della sanità sono già al limite per il SSN.

Non sono stati nemmeno definiti e garantiti in tutto il territorio nazionale i livelli essenziali di prestazione (LEP) nei diversi campi, rispetto ai quali dal 2001, a seguito della riforma del titolo V° della Costituzione, esiste un vuoto normativo, come denunciato più volte dalla Corte Costituzionale. Ogni scelta deve inoltre essere definita con il consenso di tutte le regioni e i Comuni, perché non è accettabile che diritti fondamentali vengano riservati ad alcune regioni e ad altre no, che le risorse vengano differenziate a danno delle aree più deboli e in difficoltà del nostro paese.

Per il sistema d’ istruzione, non si tratta di prevedere i livelli essenziali di prestazione, essendo una funzione dello Stato che deve garantire il diritto allo studio fino ai massimi livelli ed è equiparabile ad altre istituzioni della Repubblica.

Riteniamo necessario che non vi debbano essere ulteriori trasferimenti di poteri e risorse alle regioni su base bilaterale e che i trasferimenti sulle materie a loro assegnate debbano essere ancorati esclusivamente a oggettivi fabbisogni dei territori, escludendo ogni riferimento a indicatori di ricchezza.

L’Autonomia regionale differenziata non può avvenire a scapito anche delle autonomie locali, le istituzioni più vicine alla cittadinanza, in quanto le esproprierebbe di alcuni poteri a favore di nuovi carrozzoni centralizzati e inefficienti a livello regionale.

In questo contesto di grandi egoismi verrebbe soppressa l’universalità dei diritti, trasformati in beni di cui le Regioni potrebbero disporre a seconda del reddito dei loro residenti; per poterne usufruire nella quantità e qualità necessarie, non basterebbe essere cittadini italiani, ma esserlo di una regione ricca, in aperta violazione dei principi di uguaglianza scolpiti nella Costituzione.

In questo quadro vi sarebbe una ricaduta negativa prioritariamente sulle regioni del Sud e sugli abitanti non ricchi di tutt’ Italia con la progressiva privatizzazione dei servizi.

Il Mezzogiorno viene condannato a essere privo di pari riconoscimento della cittadinanza, con ancor maggiore desertificazione degli investimenti e sempre più debole economia.

L’autonomia regionale differenziata negherebbe così la solidarietà nazionale, la coesione e i diritti uguali per tutte/i che garantiscono l’unità giuridica ed economica del paese.

Di fronte a tutto questo, vi sono le nostre ragioni, l’esigenza di un’opposizione e di una lotta politica e sociale in difesa dell’universalità dei diritti e della solidarietà nazionale.

L’indirizzo a cui inviare le adesioni a è: This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.

Promotrici/ori:

Paolo Berdini, Piero Bernocchi, Piero Bevilacqua, Marina Boscaino, Loredana De Petris, Gianni Ferrara, Eleonora Forenza, Loredana Fraleone, Domenico Gallo, Alfiero Grandi, Silvia Manderino, Loredana Irene Marino, Roberto Musacchio, Rosa Rinaldi, Giovanni Russo Spena, Guido Viale, Massimo Villone, Vincenzo Vita

hanno già aderito:

Mauro Beschi, Gaetano Rivezzi, Giulia Venia, Antonio Pileggi, Antonio Di Stasi, Fiorenzo Fasoli, Giulia Rodano, Maurizio Acerbo, Francesco Di Matteo, Moreno Biagini, Maria Paola Patuelli, Mari Agostina Cabiddu, Maria Ricciardi, Fabrizio Bellamoli, Luigi Pandolfi, Antonio Caputo, Alfonso Gianni, Daniela Caramel, Raffaele Tecce, Claudia Berton, Miria Pericolosi, Beppe Corioni, Cristina Stevanoni, Francesco Baicchi, Dino Greco, Silvia Chiarizia, Enzo Camporesi, Maria Longo

Comments

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Mario Galati
Friday, 22 February 2019 13:06
Eros Barone ha perfettamente ragione. Quando ho visto i promotori firmatari dell'appello, salvo la stimabilità di alcuni di essi, ho rinunciato ad aderire firmandolo.
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Eros Barone
Thursday, 21 February 2019 23:43
Le nuove 'repubbliche' sono già nate da tempo: autoritarismo ed anticomunismo, populismo e presidenzialismo sono i loro caratteri distintivi. A proposito di questi ultimi due caratteri, si può inoltre osservare che essi corrispondo a due tendenze che, di là dalle apparenze contrarie, si danno la mano, come dimostrò già nel corso degli anni Novanta il passaggio al ruolo di consulente politico-istituzionale della Lega Lombarda di Gianfranco Miglio, uno dei primi assertori del rafforzamento del potere presidenziale, docente presso l'Università Cattolica, operante quindi all'interno di un apparato ideologico di Stato che dipende dal Vaticano, cioè da quella organizzazione che, tra l'altro, fu una decisa propugnatrice della repubblica presidenziale e del ritorno ad un cattolicesimo autoritario già nel periodo dell'Assemblea Costituente. Sennonché la disgregazione della repubblica italiana è stata preparata dal regime oligarchico e neocorporativo costituitosi in Italia a partire dalla seconda metà degli anni '70, ossia a partire dalla sciagurata gestione politica delle grandi lotte operaie e popolari degli anni precedenti, che sfociò nella svolta dell'Eur del 1977 e nell'appoggio del Pci ai governi di unità nazionale (1976-1979). Tale disgregazione ha poi ricevuto una spinta decisiva dalla riforma del Titolo V della Costituzione, voluta da un governo di centrosinistra del quale facevano parte o al quale fornirono il loro sostegno buona parte dei promotori e degli aderenti i cui nomi compaiono in calce al presente appello. Orbene, fu grazie a quel governo e, più in generale, grazie alla gestione politica di quei processi involutivi da parte delle forze opportuniste che furono gettate le fondamenta di un regime in cui il revisionismo politico e il collaborazionismo sindacale non svolgono più un ruolo di mediazione istituzionale fra capitale e lavoro, come nel periodo precedente, ma un vero e proprio ruolo di gestione della forza-lavoro, direttamente funzionale al capitale e alla sua logica di valorizzazione. Il problema che si pone, perciò, è quello di individuare la risposta che la classe operaia ed il proletariato debbono contrapporre alla ricerca, da parte delle diverse frazioni della borghesia, di una forma
politico-istituzionale adeguata allo sviluppo e al consolidamento dello Stato sub-imperialista italiano, ossia alla elevazione in Costituzione formale di quella Costituzione materiale del blocco capitalistico-clientelare-mafioso-guerrafondaio, la cui incubazione si è compiuta entro l'involucro giuridico-formale della Costituzione del 1948 e il cui battesimo politico rende ora necessaria, sotto la direzione del governo Salvini-Di Maio, la rottura di quell'involucro. La borghesia è perfettamente consapevole che la riforma istituzionale va realizzata a tutti i livelli: dal sindacato e dal sistema politico, pressoché integralmente ridotti ad apparati ideologici di Stato, allo svuotamento progressivo del Parlamento; dal correlativo rafforzamento del ruolo della Presidenza della Repubblica alla crescente limitazione dell'indipendenza della magistratura, fino alla secessione delle regioni ricche, fino, se necessario, al progetto, pienamente conforme all'essenza della svolta reazionaria, della creazione di un regime dispotico diretto da forze straniere, giacché questo e non altro sarebbe l'esito del processo disgregativo in corso. D'altra parte, gli eventi a cui stiamo assistendo scaturiscono dalle stesse leggi economiche che contraddistinguono il capitalismo imperialista nella fase involutiva del dominio dei monopoli, del capitale finanziario globale e della crisi di decomposizione che l'accompagna: non solo centralizzazione e concentrazione dei mezzi di produzione e di scambio, ma anche integrazione sovrannazionale realizzata attraverso le macro-regioni europee, nonché crescente competizione economica e tecnologica fra i grandi poli del sistema imperialistico mondiale (Usa, Giappone e Germania), oltre che la conseguente ristrutturazione della divisione internazionale del lavoro, della produzione e dei mercati che l'ascesa industriale e commerciale della Cina e le guerre neocoloniali stanno determinando nei rapporti interni al mondo capitalistico.
Il compito dei comunisti nel momento attuale è senza dubbio quello di mobilitare la classe operaia e le masse popolari per la difesa degli elementi progressivi della repubblica democratico-borghese contro gli attacchi autoritari e le spinte scissioniste della borghesia
centro-settentrionale, ostacolando la svolta reazionaria che la borghesia sta perseguendo sui diversi terreni: fondamentale, in questo senso, è il terreno ideologico, politico e culturale, su cui si radica il processo di costruzione del partito rivoluzionario. Agli apologeti dell'irenismo conciliazionista, i quali, qui e altrove, propongono alle masse soltanto la difesa del presente assetto costituzionale, mascherando la natura di classe di questo assetto, oppure invocando un generico sviluppo della democrazia e facendo credere che questo sviluppo sia possibile per la classe operaia e il popolo lavoratore entro l'ambito delle istituzioni borghesi, occorre rispondere che la democrazia borghese sarà sempre, senza l'abbattimento dello Stato borghese, "un paradiso per i ricchi e un inferno per i poveri" (Lenin): il che non significa che l'obbiettivo della dittatura del proletariato possa essere proposto oggi, ma che il punto di vista veramente alternativo, rappresentato da questa teoria politica (che è indissociabile dalla teoria scientifica dello sfruttamento e del plusvalore), non può essere sostituito né da generiche indicazioni sulla "difesa dello Stato nato dalla Resistenza" né da fumose teorie sulla "eversione dei diritti universali", così come non può essere abbandonata, insieme con tale punto di vista, la propaganda ideale per il socialismo, sostituita dalla propaganda di una concezione assoluta (cioè universale, interclassista e sovrastorica) della democrazia (ideologia, quest'ultima, tipica del Pd e, in genere, dell'opportunismo borghese e piccolo-borghese, da Di Maio a Zingaretti). In effetti, la strategia che combina la difesa degli elementi progressivi della Costituzione del 1948 con il fronte unito delle masse popolari per costruire contro la "trama nera", tessuta dalle forze reazionarie nello Stato e nella società, una "trama rossa" di iniziative di lotta per la difesa dell'unità nazionale e del salario reale come terreno strategico della lotta di classe, è l'unica risposta corretta, coerente con l'esperienza storica del proletariato di tutto il mondo e adeguata all'attuale situazione. E' però indubitabile che la condizione per il successo di tale strategia è la netta e irreversibile demarcazione da coloro che non sono "compagni che sbagliano" ma agenti della borghesia nelle file del proletariato.
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