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La crisi di Podemos e la lezione spagnola

di Carlo Formenti

Secondo alcuni sondaggi, le prossime elezioni spagnole dovrebbero regalare la maggioranza relativa al Psoe, accreditato di poco più del 28%, ma senza consentirgli di mantenere la guida del Paese, dal momento che Podemos, dal quale ha ricevuto appoggio esterno fino alla recente crisi di governo, è dato in vistoso calo (otterrebbe il 12,4%). A destra il PP (23,6%) e Ciudadanos (17,1%) cedono voti ai neo franchisti di Vox (8,8%) e nemmeno alleandosi con questi ultimi spunterebbero la maggioranza assoluta. Il sistema politico spagnolo si troverebbe quindi in una situazione di sostanziale stallo, in cui solo l’alleanza con una serie di formazioni autonomiste minoritarie consentirebbe all’una o all’altra parte di ottenere una risicata maggioranza.

Qui non mi interessa però analizzare il quadro generale della politica iberica bensì commentare la crisi di Podemos, che tante speranze aveva regalato alle nuove sinistre europee negli ultimi anni, dimostrando che una formazione di sinistra in grado di articolare i temi e i metodi di mobilitazione dei movimenti populisti con le linee programmatiche dei socialismi novecenteschi era in grado di contendere il potere sia ai vecchi partiti conservatori e socialdemocratici che ai populismi di destra. Quali le cause dell’attuale arretramento (indubbio anche se i sondaggi dovessero sovrastimarne le dimensioni)? Le ragioni di questa impasse sono molte e complesse ma, personalmente, ritengo che quelle fondamentali siano due, la prima specifica della situazione spagnola, la seconda estendibile ad analoghe esperienze europee.

La prima riguarda il prezzo salato che Podemos paga tuttora all’onda lunga della crisi catalana. Evitando di prendere una posizione netta sulla questione dell’indipendenza, Podemos si è esposta a dure critiche sia da parte degli indipendentisti (a partire dalla loro ala di sinistra radicale) sia da parte dei difensori dell’unità nazionale.

Personalmente ritengo che la scelta del partito sia stata corretta, e non dettata solo da ragioni di equilibrio interno (gli ex comunisti sono ferocemente contrari alla secessione), bensì da considerazioni non dissimili da quelle che qui in Italia vengono oggi sollevate contro l’aumento delle autonomie delle regioni settentrionali: le rivendicazioni catalane si presentano come un “secessionismo dei ricchi” che verrebbe a rompere la solidarietà nazionale fra aree sviluppate ed aree arretrate del Paese. La ragionevolezza di questo argomento non è tuttavia bastata a limitare i danni di una posizione che molti cittadini iberici hanno giudicato come pilatesca.

Ma se il contraccolpo del caso catalano si sarebbe potuto riassorbire in tempi relativamente brevi, la seconda causa di crisi appare ben più grave: mi riferisco alle conseguenze dell’appoggio che Podemos si è trovata a dover dare al Psoe, senza riceverne in cambio nessuna sostanziale concessione ai propri obiettivi politici. Si potrebbe argomentare che si trattava di una scelta obbligata: non si poteva rinunciare a far cadere Rajoy dopo aver condotto una lunga e feroce campagna contro la corruzione del PP.

Ciò detto sarebbe stato necessario assumere atteggiamenti molto più saldi nel condizionare il proprio appoggio a concrete misure a favore degli interessi delle classi popolari e a una svolta in materia di politica estera. Viceversa il governo Sanchez ha fatto poco o nulla per quanto riguarda il primo punto, mentre ha assunto posizioni del tutto incompatibili con i valori e i principi di Podemos sui temi dell’Europa e del golpe contro Maduro. Risultato: gli elettori delusi dell’ala radicale si orientano per l’astensione mentre i moderati confluiscono nelle schiere del Psoe.

Perché il caso spagnolo contiene un insegnamento valido anche per altri Paesi? Perché sono convinto che le ali di sinistra dei movimenti antisistema (variamente definiti populisti e/o sovranisti) nati negli ultimi anni non possano né debbano allearsi con i partiti che incarnano la continuità col passato sul piano dei programmi, dei principi, dei valori e delle prassi istituzionali.

L’abbraccio con il vecchio è letale perché i cittadini che hanno accolto con speranza ed entusiasmo come l’annuncio di una vera e propria svolta di civiltà, e non di un banale avvicendamento nella stanza dei bottoni, la nascita e l’ascesa di questi movimenti, non possono non vedere in simili compromessi il segnale che nulla è cambiato, che, per dirla con la Thatcher, questo sistema non ammette alternativa e quindi si allontanano dalle forze che li hanno delusi con la stessa rapidità con cui vi si erano avvicinati.

Pur nelle radicali differenze ideologiche, l’M5S rischia di subire gli stessi contraccolpi di Podemos a causa dell’accordo con la Lega, e lo stesso capiterebbe a Mélenchon se ascoltasse le sirene di un riavvicinamento con le sinistre tradizionali francesi.

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