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sbilanciamoci

Tav, tutta una questione di metodo

di Gerardo Marletto

Il dibattito sulla Torino-Lione è confuso e fuorviante. Non si tratta di essere a priori pro o contro nuovi tunnel ferroviari, ma di capire se e dove ha senso realizzare opere così rilevanti sotto il profilo economico e ambientale, facendo ordine tra obiettivi politici e valutazioni tecniche

Premetto che sono circa 25 anni che mi occupo di ricerca sui trasporti, prima in organismi privati (Censis e Confindustria) e poi all’università. Qualche anno fa ho anche studiato il tema dei trasporti transalpini, contribuendo al relativo dibattito sia in sede scientifica che in sede politica. Sono abbastanza stupito dal livello bassissimo della discussione che si sta svolgendo intorno alla recente valutazione costi-benefici della nuova ferrovia Torino-Lione. Mi permetto quindi di sottoporre all’attenzione di chi è interessato alcune considerazioni di metodo e di merito, le stesse che propongo annualmente ai miei studenti.

Partiamo dal metodo. Ai miei studenti spiego che sarebbe sempre meglio valutare non un singolo progetto, ma comparare diverse alternative d’intervento (e, tra queste, anche l’“opzione zero”, cioè il non fare nulla). Spiego anche che la comparazione è possibile solo se è esplicito l’obiettivo che si vuole raggiungere (altrimenti: rispetto a che cosa si valuta se un’alternativa è meglio di un’altra?).

Tenuto conto che quasi sempre – e soprattutto nei grandi progetti – vi sono contemporaneamente più obiettivi, è necessario allora usare una tecnica del tipo “multicriteria”, che offre l’enorme vantaggio di consentire una discussione proprio sugli obiettivi. Quali sono? Sono tutti importanti nella stessa misura? Oppure dobbiamo dare a ciascun obiettivo un peso diverso?

L’analisi “multicriteria” consente di rendere esplicito il contenuto politico di qualsiasi valutazione che qualcuno – sbagliando di grosso – potrebbe pensare solo come questione tecnica. Applicare un metodo del genere avrebbe consentito di chiarire una volta per tutte qual è l’obiettivo della nuova Torino-Lione. Ma così non è; e così sentiamo tecnici e politici che si confrontano su una singola opera richiamando di volta in volta gli obiettivi più disparati: l’integrazione italiana nelle reti internazionali di trasporto di merci, lo sviluppo economico del nostro Nord-Ovest, la riduzione degli impatti negativi provocati dal trasporto stradale, l’impatto macroeconomico (via moltiplicatore keynesiano) della realizzazione dell’opera, eccetera.

Così si generano due gravi problemi: 1) si confonde una discussione squisitamente politica (quella sugli obiettivi) e una discussione tecnica (quella su quale sia l’intervento migliore per raggiungere uno o più obiettivi che si ritengono prioritari); 2) non si possono selezionare le alternative. Se, ad esempio, si vuole integrare il trasporto merci con quello europeo (e mondiale), allora le alternative devono essere tutte relative ai trasporti. Ma se l’obiettivo è la crescita del Nord-Ovest – o ancora di più – la crescita del Pil italiano, allora il campo delle alternative può essere molto più ampio. Ma noi – e non da oggi – ci siamo tenuti ben lontani da tutto ciò; sono infatti decenni che ci accapigliamo su un progetto come se fosse l’unica opzione in campo, buona per raggiungere gli obiettivi più disparati.

Di tutto ciò non ha certo colpa Ponti con la sua Commissione. La responsabilità è politica, a livello di poteri, sia legislativo che esecutivo, che non sono mai riusciti a fare della questione Torino-Lione un tema di reale confronto politico; operazione che andava fatta prima di andare a proporre il progetto in Europa, cercare e ottenere finanziamenti, e aprire i cantieri. Su un’operazione di questa portata, forse andava aperta una discussione nazionale, seria e informata, un po’ come fecero gli svizzeri quando avviarono il confronto sulla loro politica per lo sviluppo ferroviario (che prevede anche nuovi tunnel ferroviari transalpini…).

Proprio il riferimento agli svizzeri consente di entrare anche nel merito della questione. Perché qui non si tratta tanto di essere a favore o contro i nuovi tunnel ferroviari transalpini, ma di capire se e dove ha senso realizzare delle opere così rilevanti sotto il profilo economico e ambientale. In Svizzera ha sicuramente senso; lì infatti passa il grosso dei flussi di merci tra l’Italia e il Nord-Europa – nei due versi – sempre più alimentati anche dai traffici marittimi intercontinentali che approdano nei porti del Northern Range e del Mediterraneo. Ed ha avuto ancora più senso perché gli svizzeri hanno attuato una politica che ha realizzato insieme: nuovi tunnel ferroviari e la crescente tassazione del trasporto merci su tutta la loro rete stradale.

Sarebbe interessante discutere seriamente se ha senso costruire una nuova linea ferroviaria lungo il Brennero – anche qui con un nuovo tunnel. Siamo infatti di nuovo lungo una direttrice ad altissimo traffico merci, ma qui bisognerebbe anche tenere conto che: 1) parte di questi flussi – soprattutto se sostenuta da una coerente politica di aumento dei pedaggi autostradali – potrebbe essere catturata proprio dai nuovi tunnel svizzeri; 2) lungo il Brennero esiste già una linea ferroviaria (a più alta capacità di quella del Frejus) che potrebbe essere ammodernata, senza dover aprire un tunnel transalpino.

Dove invece non si capisce di che cosa ci sia da discutere è proprio lungo la direttrice Torino-Lione. Qui infatti il flusso di traffico merci (stradale+ferroviario!) è a essere buoni scarso, sia comparato con i flussi transalpini della direttrice Sud-Nord che attraversa Svizzera e Austria, sia in relazione alla capacità di trasporto delle infrastrutture ferroviarie che già esistono verso Ovest (e ancora di più, se queste infrastrutture – Frejus e Ventimiglia – venissero ammodernate proprio per accogliere più merci). Ed è proprio questo il motivo – la bassissima domanda – a portare qualsiasi analisi costi-benefici alla conclusione che la nuova Torino-Lione ferroviaria non ha senso economico.

Su questo voglio essere chiaro: il nuovo tunnel non ha senso neanche nell’ipotesi – che oggi appare remotissima – che Italia e Francia (con l’autorizzazione della Commissione europea) si mettano d’accordo per un significativo aumento dei pedaggi autostradali che, come in Svizzera, spinga le merci a salire sui treni. Anche in questo caso sarebbe sufficiente l’ammodernamento delle infrastrutture ferroviarie esistenti.

Non ha senso neanche sostenere che sarà la nuova offerta d’infrastruttura a creare la sua domanda (se non ho capito male, lo ha sostenuto Fassino durante l’audizione di Ponti in Parlamento); questo semplicemente non è possibile: né l’attuale assetto geo-economico dell’Europa (e del mondo), né alcun altro assetto realisticamente immaginabile, è in grado di generare lungo questa direttrice una nuova quantità di trasporto di merci tale da giustificare la nuova opera (e di trasporto passeggeri hanno smesso di parlare da anni persino i promotori…).

Certo, se si iniziano a mettere in conto le risorse già spese per avviare cantieri e lavori, e si cominciano a sommare le penali e le sanzioni (in realtà tutte da dimostrare), allora il risultato potrebbe cambiare. Ma su questo avrei una proposta: voltiamo pagina, chiudiamo i cantieri e smettiamo persino di parlarne della nuova Torino-Lione. E che le penali e le sanzioni le si facciano pagare ai promotori. Quelli che – irresponsabilmente – da decenni, dal mondo delle imprese e della politica, si sono accaniti a sostenere questo investimento, tanto grande quanto insensato.

Tante persone in Italia – esperti come me, altri che esperti lo sono diventati a forza di occuparsi della questione, semplici cittadini dotati di buon senso – da anni e in tutte le sedi in cui hanno potuto farlo hanno più volte detto a chiare lettere che mettere soldi pubblici in questo progetto non aveva alcun senso. Noi responsabilmente abbiamo detto ad alta voce la nostra. Che paghino gli irresponsabili – o come piace dire ora: chi ha sbagliato paghi. E che, finalmente, si parli d’altro.

Comments

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clau
Tuesday, 26 February 2019 11:20
Gentile professore, lei la pensa così, ma ci sono atri cattedratici, molto addentrati nell'ambiente del trasporto e dei porti, come il professor Francesco Parola, dell'università di Genova, che insieme a Savona fanno parete del sistema portuale GE-SV, e che movimentano rispettivamente: oltre 70 milioni di tonnellate di merci, 4,2 milioni di passeggeri, il 60% del commercio extra-Ue del sistema economico nord-ovest, nonché il 30% del traffico Italia-Cina, che la pensano in modo esattamente opposto al suo. Si vada a vedere, tra l'altro, lo studio: "I porti liguri nel Corridoio Reno-Alpi".
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