EARTHBOUND – Superare l’Antropocene
Prefazione
di Gaia Bindi
Lo stato dell'arte sugli studi ecocentrici in Italia: la prefazione, scritta dalla docente universitaria Gaia Bindi, di “Earthbound – Superare l'Antropocene”, volume edito da KABUL magazine che raccoglie i testi di: Karen Barad, T. J. Demos, Donna Haraway, Bruno Latour e Jason W. Moore
“Siamo compost, non posthuman – scrive Donna Haraway – abitiamo le humus-ities, non le human-ities. […] Gli esseri – umani o no – si formano l’un l’altro, componendosi e decomponendosi a vicenda, in ogni scala e registro di tempo e cosa, in grovigli sympoietici, nel mondo terreno e non”.[1] Nel mezzo dell’attuale spirale di devastazione ecologica, il concetto di compost serve alla filosofa, zoologa e biologa statunitense per indicare nuovi modi di riconfigurare le relazioni dell’essere umano con la Terra e con i suoi abitanti. Rigettando sia la definizione di “Antropocene” – termine coniato dal premio Nobel per la chimica Paul J. Crutzen[2] – per descrivere l’attuale era geologica, sia quella di “Capitalocene” (preferita dall’economista Jason W. Moore[3] e dal critico d’arte ambientalista T. J. Demos,[4] perché più efficace nel comunicare la voracità del sistema politico-economico a danno della biosfera), la studiosa propone invece la poetica definizione di “Chthulucene”, creata dalla combinazione di due radici greche: khthôn e kainos. Il termine evidenzia la necessità di riconoscere e rinnovare costantemente le simbiosi – nell’ottica della sympoiesis, ovvero “agire insieme” – così come le forze e i poteri, “dinamici e continui, dell’insieme ctonio di cui fanno parte gli esseri umani, la cui continuità è a rischio”.[5]
Tutti gli studiosi raccolti in questo libro concordano sul fatto che l’azione culturale sia un elemento determinante nel contrasto alla devastazione ambientale in atto. Con l’intento di armonizzare la scissione esistente tra natura e cultura, negli ultimi due decenni sono state molte le iniziative di orientamento ecologista di cui si sono fatte portatrici istituzioni culturali europee e italiane, nell’ottica di un risveglio della coscienza attraverso la diffusione mirata di arte e scienza. Tra queste si situano le varie iniziative dell’Anthropocene Project, da anni in corso alla Haus der Kulturen der Welt di Berlino,[6] di cui vale la pena ricordare Anthropocene Observatory, un progetto espositivo realizzato dalla Territorial Agency (John Palmesino e Ann-Sofi Rönnskog) in collaborazione con l’artista Armin Linke e il curatore Anselm Franke, articolato principalmente in quattro esposizioni: #1 Plan the Planet (26 aprile – 26 agosto 2013); #2 Empire of Calculus. Can We Control the Earth? (19 settembre – 28 ottobre 2013); #3 Down to Earth. What is our Epoch? How do we measure it? (15 marzo – 5 maggio 2014); #4 The Dark Abyss of Time (17 ottobre – 8 dicembre 2014). L’intero osservatorio si è posto il fine di investigare “la genealogia della tesi dell’Antropocene, concentrandosi su calcoli scientifico-matematici dei processi globali che alterano il sistema Terra”.[7]
Alcune recenti iniziative sono state create proprio come occasioni di incontro con la matematica e con la fisica, porgendo un invito a rivedere i tradizionali limiti fisici tra soggetto e oggetto così come proposti dalla meccanica dei quanti (si legga, nel presente volume, l’impostazione filosofica di Karen Barad, ma anche il contributo di Haraway). Tra queste vanno ricordate la mostra Gravity. Immaginare l’universo dopo Einstein, allestita al MAXXI di Roma in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Italiana e l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (a cura di Luigia Lonardelli, Vincenzo Napolano e Andrea Zanini, 2 dicembre 2017 – 6 maggio 2018), e The God-Trick al Parco Arte Vivente di Torino (curata da Marco Scotini, 5 maggio – 21 ottobre 2018, aperta in occasione del convegno internazionale Antropocene. Crisi ecologica e potenzialità trasformative dell’arte). Rientra in questa prospettiva anche l’attività rivolta all’arte del CERN (European Organization for Nuclear Research) di Ginevra, che promuove numerose iniziative espositive su tematiche di crossing tra arte contemporanea e scienza,[8] ma anche attività di formazione come il PhD in Curating Art and Physics – in partnership con la RMIT School of Art di Melbourne[9] – e il Collide International, un programma di artist residency realizzato in collaborazione con FACT (Foundation for Art and Creative Technology) di Liverpool, che è stato recentemente raccontato da Valerio Jalongo nel documentario Il senso della bellezza. Arte e scienza al CERN (2017).
Tali pratiche di dialogo sembrano fare propri i concetti filosofici di intra-action e di network enunciati da Karen Barad e Bruno Latour: si propongono come sistemi di relazioni dal cui rispetto e incremento sembra dipendere la speranza per la sopravvivenza sul pianeta. Si muove in tal senso l’incontro del filosofo francese con il lavoro di Tomás Saraceno e, in particolare, con l’installazione Galaxies Forming along Filaments, Like Droplets along the Strands of a Spider’s Web (2008), costituita da una rete di connessioni elastiche a forma di strutture lineari e sferiche.[10] L’opera, già presentata alla Biennale di Venezia nel 2009, è stata recentemente esposta al Palais de Tokyo di Parigi nell’esposizione On Air. Carte blanche à Tomás Saraceno (a cura di Rebecca Lamarche-Vadel, 17 ottobre 2018 – 6 gennaio 2019), tra tanti altri sistemi ecologici fatti di reti e ragnatele. La mostra stessa ha rispecchiato la pratica lavorativa dell’artista argentino nel legare numerose collaborazioni, riunendo istituzioni scientifiche, gruppi di ricerca, attivisti, comunità locali, visitatori, musicisti, filosofi, fenomeni non umani e celesti, per aprirsi insieme al dibattito, per unirsi raccogliendo le sfide che l’Antropocene pone ormai come ineludibili.
Forse è proprio la difficoltà tutta italiana nel creare network la causa principale della carenza nazionale di iniziative culturali sul fiorente dibattito intorno alle problematiche dell’attuale era geologica. In un territorio ricchissimo di natura e arte, dove abbondano musei artistici e scientifici, parchi di sculture, bioparchi, aree naturali protette, università e gruppi di ricerca, aziende di smaltimento o di bonifica, aziende private green oriented, pratiche di attivismo ecologico, si fatica ancora a far collaborare enti differenti e persino diversi comuni o due ministeri, come quello dell’ambiente e quello dei beni e delle attività culturali. Un progetto artistico come Touch Sanitation (1979-’80), svolto ben quarant’anni fa da Mierle Laderman Ukeles in residenza presso l’azienda municipale di smaltimento rifiuti di New York, in Italia sarebbe tutt’oggi irrealizzabile. Gli stessi artisti italiani stentano spesso a sviluppare una creatività di incontro tra arte e scienza, accusando ancora gli effetti di una storica divisione tra arti liberali e meccaniche e di una cultura del genio fantasioso che lavora in solitaria per dispensare rapimenti estetici. Ma il mondo è cambiato e chiede altro, anche culturalmente, anche qui. Non possiamo permetterci l’errore di pensare che tematiche scientifiche o ecologiche siano artisticamente irrilevanti, oppure inarrivabili, elitarie, chimeriche o semplicemente troppo noiose e difficili. Le giovani generazioni chiamano l’immaginazione alla creazione di un mondo migliore. Dobbiamo rispondere, tutti insieme.