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contropiano2

Il Pd “svolta” rimanendo fermo

di Dante Barontini

Habemus secretarium! Il popolo del centrosinistra ritrova “la ditta” anche sul piano politico, dopo l’ascesa di Maurizio Landini al trono della Cgil.

Il fratello di Montalbano sorride felice, forte di una percentuale oscillante tra il 60 e il 70% su una platea di votanti dichiarata intorno al milione e 700mila persone.

Non ci metteremo qui a discutere sella serietà democratica di “primarie aperte” (che il segretario di un partito venga scelto da chiunque passi per strada, magari anche iscritto o simpatizzante di tutt’altra formazione, resta per noi un’assurdità). Né delle procedure disinvolte, della possibilità di votare più volte, ecc.

Il dato che va assunto è politico, e non c’è stupidaggine di dettaglio – ce ne sarebbero molte – che possa cambiare il dato di fatto: il Pd torna in mano all’establishment del centrosinistra di sempre, ovviamente in nome del “cambiamento”.

Il fatto che con questa scelta venga sepolto il “renzismo” è quasi secondario. L’establishment ha visto che il “vuoto a sinistra” era gigantesco; che lo scenario al centro era superaffollato; che la destra presenta venature fascistoidi tranquillamente sopportate nella vita sociale quotidiana, ma controproducenti se diventano leggi dello Stato; che il grillismo è entrato in una crisi probabilmente irreversibile (la conferma viene dal voto di ieri: “l’affluenza è stata omogenea in tutto il territorio nazionale, con un leggero picco al centro-sud, in particolare nel Lazio e in Campania”, le regioni in cui l’avanzata Cinque Stelle era apparsa inarrestabile).

E quindi era necessaria una “correzione di sinistra” per riverniciare come “nuovo” un carrozzone neoliberista, senza alcuna modifica sostanziale rispetto alla stagione di Matteo Renzi.

Boria a parte, infatti, tutto il resto resta intatto.

Il Tav in Valsusa? Si deve fare… Anzi: “La mia prima mossa: visiterò i cantieri Tav”. Tanto per fare capire che “il partito del Pil” può contare su di lui.

Ripristinare l’articolo 18? Non se ne parla proprio… (vedi il punto sul Tav).

Sul Venezuela? Siamo con Trump, ci mancherebbe…

Sanità pubblica? Ma se ho privatizzato quasi quanto Formigoni…

Una Patrimoniale? Ma quando mai, perderemmo anche ai Parioli e via Montenapoleone…

Difesa della Costituzione? Sul referendum contro-costituzionale erano tutti allineati per il “sì”, fortunatamente stracciato nelle urne.

Potremmo andare avanti per ore. La “riverniciata di sinistra” (una “romanella”, si dice dalle nostre parti, per indicare una passata di vernice alle pareti, senza ristrutturare neanche un po’…) passa giusto per un po’ di retorica sugli immigrati (il “terzo settore”, in effetti, ha ricevuto qualche colpo duro da Salvini e Cinque Stelle, perdendo finanziamenti, appalti e occupazione), ma senza mettere in discussione i lager in Libia creati sotto la regia di Marco Minniti; un po’ di antifascismo parlato (ricordiamo che la lussuosa sede di Casapound a Roma fu un regalo di Walter Veltroni) ma niente affatto praticato; un po’ di libertà civili (gioco facile, quando hai davanti un Pillon o un Fontana, che straparlano come manco Savonarola ai tempi suoi).

Neoliberismo laico, insomma. “Ma anche” attento a non distUrbare il Vaticano, che di questi tempi appare addirittura molto più “di sinistra” sui temi sociali classici (povertà, casa, welfare, ecc).

Che tutto ciò possa passare per “qualcosa di sinistra” è veramente la misura di quanto sia degradata la coscienza civile di questo paese e soprattutto di quella parte che si pensa “di sinistra”. Come scriveva il saggio, oggi “Lo spirito si mostra così povero che, come il viandante nel deserto desidera un semplice sorso d’acqua, così anch’esso sembra anelare, per il suo ristoro, al mero sentimento del divino in generale: da ciò di cui lo spirito si accontenta, si può misurare la grandezza della sua perdita”.

Detto questo, però, non c’è dubbio che il ticket Landini-Zingaretti rinverdisce in salsa rosè spenta l’antica “cinghia di trasmissione” tra partito politico e sindacato, stimolando l’illusione che si possa “rifare” qualcosa che è andato definitivamente perduto sotto la spinta delle “riforme” imposte dall’Unione Europea e dall’austerità che stanno distruggendo la forza produttiva di questo paese, oltre che – in primo luogo – le condizioni di vita della sua popolazione di fascia medio-bassa.

A questo servivano, del resto, anche le due grandi manifestazioni, di CgilCislUil a Roma e quella di Milano sabato scorso.

Vedremo nelle prossime settimane, senza grande sorpresa, una migrazione semi-biblica di figure sinistresi verso il “campo largo” che Zingaretti indica come blocco elettorale per le europee di fine maggio.

Una migrazione guidata dal “tavolo Cofferati” – quello parallelo cui sedevano molti degli stessi attori che facevano “flanella” al “tavolo De Magistris” – per ricondurre nell’alveo del rassicurante “europeismo progressista” ogni conato di alternativa antagonista.

L’elezione di Zingaretti, insomma, può e deve essere irrisa sul piano dei “contenuti” – niente affatto diversi da quelli della stagione renziana – ma non va sottovalutata per la negatività dei “flussi emotivi” suscitati in un “popolo di sinistra” che ormai si accontenta di narrazioni sbiadite.

Noi non ci caschiamo. Ci vediamo nelle strade…

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