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Un passo avanti e uno indietro

di Redazione

Ieri si è svolta a Roma, presso il Teatro de’ Servi, introdotta da Carlo Formenti, l'assemblea nazionale [vedi foto] con cui Patria e Costituzione, Senso Comune e Rinascita! hanno presentato il Manifesto per la Sovranità Costituzionale. Chi si aspettava l’annuncio della fondazione di un nuovo soggetto politico è forse rimasto deluso. Più modestamente dall’assemblea è uscita la proposta di tre campagne politiche — vedi la dichiarazione di Fassina più sotto. Malgrado i limiti del Manifesto, come Programma 101 abbiamo salutato positivamente questo tentativo di raggruppare le forze disperse di quella che chiamiamo “sinistra patriottica”. Quali sono questi limiti è presto detto...

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Qui la dichiarazione di Fassina

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«Abbiamo preso visione del Manifesto per la sovranità costituzionale, frutto dell’intesa tra tre gruppi: Patria e Costituzione, Senso Comune e Rinascita!.

Manifesto per larga parte condivisibile (vi ritroviamo analisi e proposte che per primi abbiamo avanzato) la qual cosa conferma che dalle nostre parti c’è vita, che inizia a delinearsi, pur tra tante difficoltà, l’area che chiamiamo della “sinistra patriottica”.

Perché il documento è condivisibile, è presto detto.

Oltre alla difesa della Costituzione del ’48, esso non è reticente sul punto strategico decisivo e considerato un inviolabile tabù sia dalla sinistra liberista che da quella radicale: la centralità, in questa fase storica di crisi della globalizzazione e dell’Unione europea, della questione nazionale, quindi della battaglia per la sovranità nazionale.

Di qui il dovere, per una sinistra popolare, di proporre un patriottismo democratico come arma non solo contro l’élite liberista e cosmopolitica ma pure come mezzo per contrastare il risorgente nazionalismo populista. Così come sono condivisibili le considerazioni sulla primazia dello Stato sul mercato; quelle per un controllo sul movimento dei capitali; quelle sui rischi per l’unità nazionale derivanti dal “regionalismo differenziato”; quelle sul principio che i flussi migratori debbono essere regolati (di qui la critica alle sinistre “no border”); quelle sul concetto che non tutti i bisogni individualistici indotti dal mercato sia diritti; infine quelle sui rischi delle tecno-scienze e l’esigenza e di un controllo democratico sull’uso dei saperi.

Ma allora dove casca l’asino?

Casca perché questo Manifesto è reticente su alcuni punti cruciali, ovvero non da le risposte che qui e ora ci servono sul piano strategico e tattico per uscire dal minoritarismo o dalla mera testimonianza ideale.

Il Manifesto pecca insomma di astrattismo politico.

(1) Manca un’analisi della crisi di egemonia dell’élite neoliberista, quindi del fenomeno controverso e composito dei “populismi”, qui in Italia anzitutto del Movimento 5 Stelle e poi della Lega a trazione salviniana.

(2) Manca un giudizio sulla svolta politica del 4 marzo 2017: è essa irreversibile, destinata a produrre effetti sul lungo periodo sul piano sociale, politico e istituzionale, oppure si tratta solo di una momentanea parentesi?

(3) E’ del tutto assente (reticenza imperdonabile) un giudizio sul governo giallo-verde: durerà o cadrà? E se cadrà, per sue contraddizioni interne o sotto l’attacco dell’élite eurocratica? E siccome questo attacco è in pieno svolgimento (anzitutto contro i Cinque Stelle) può la sinistra patriottica restare equidistante?

(4) Non c’è traccia, nel Manifesto, del “Fattore S”, ovvero alla Sollevazione popolare, quindi del protagonismo delle masse. Reticenza assai grave, anche visto quanto sta accadendo in Francia col movimento dei Gilet gialli. Si pensa forse che l’attuale pace sociale è definitiva? Oppure no? Ed allora come una sinistra patriottica deve prepararsi alla bisogna e battersi per l’egemonia in seno alla rivolta popolare? L’impressione è che la strategia sia tutta schiacciata sui piani elettorale e istituzionale.

(5) La conferma che il Manifesto è debole sul piano politico-strategico viene dall’assenza di ogni discorso sulle alleanze (tattiche e strategiche). A meno che non si pensi alla propria autosufficienza, l’uscita dalla gabbia eurocratica, lo sganciamento della globalizzazione neoliberista, sono battaglie titaniche che implicano la costruzione di un potente fronte di lotta. Quanto ampio? Quali classi sociali e partiti può includere? Non è un caso che non si parli, come noi facciamo, di un Comitato di liberazione nazionale.

(6) Come minimo singolare è l’assenza totale di una proposta di politica internazionale. Quella cosa che da tempo ha preso il nome di geopolitica. Mancanza assai grave se si pensa alle svolte avvenute nei diversi teatri globali e dei rischi crescenti di conflitti deflagranti e di nuove aggressioni imperialiste (Venezuela). Da che parte stanno i promotori del Manifesto? Sono essi indifferenti allo scontro sempre più duro tra potenze? Come pensano debba collocarsi il nostro Paese una volta liberatosi dal giogo euro-tedesco? Dovrà anche uscire dalla NATO o fare da sponda alla casa Bianca trumpiana?

(7) Veniamo infine alla lacuna più sorprendente: da nessuna parte si scrive che l’Italia deve uscire dall’eurozona e dall’Unione. Da nessuna parte si proclama a chiare lettere la necessità dell’Italia di battere moneta propria attraverso una banca centrale pubblica. Una mancanza che anche a noi ha lasciato di stucco. Data questa assenza, mentre tutti, da sinistra a destra, si trastullano nell’illusione di poter “cambiare i Trattati”, la prospettiva (di sapore gollista) di una Confederazione europea di nazioni sovrane ha un aspetto davvero sinistro.

Nessuno è perfetto, diranno alcuni. Sì, qui nessuno è perfetto, ma dalla perfezione all’insufficienza c’era ampio spazio per fare qualcosa di meglio.

Il Manifesto si conclude con l’auspicio che “la discussione e l’approfondimento dei temi sopra indicati deve essere funzionale alla formazione di un nuova forza politica”, un nuovo partito.

Malgrado il Manifesto in questione non sia una base politica e strategica sufficiente per un partito nuovo, socialista, patriottico e rivoluzionario, condividiamo l’auspicio e ci auguriamo che nei prossimi mesi sia possibile un confronto politico aperto e costruttivo. La qual cosa implica non solo onestà intellettuale ma pure un giusto metodo per risolvere la differenze e trovare l’auspicabile sintesi unitaria».

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