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La voce del padrone

di Militant

A forza di concentrare tutta la critica politica su Renzi e il presunto “renzismo”, in perfetta continuità con Berlusconi e il “berlusconismo”, Craxi e il “craxismo” e via scivolando, eccoci servita la riesumazione del centrosinistra. Messa in naftalina la parentesi democristiana, la voce del padrone torna a farsi rappresentare dalla più gestibile genia socialdemocratica. Zingaretti dunque, attorno a cui ricostruire le ragioni elettorali del nuovo fronte antipopulista. Fa specie, come sempre, la reazione della “sinistra”. Sembrava, il Pd, messo definitivamente al suo posto: il partito del grande capitale, soggetto neocentrista attorno al quale coagulare la classe dirigente dello Stato, veniva indicato come avversario naturale delle ragioni delle lotte di classe. E invece, scopriamo con la solita ingenuità, era solo Renzi il problema. Estromesso il giglio magico, riecco le alleanze territoriali, i cantieri politici, i fronti unitari. Ecco di nuovo le speranze future e gli appelli alla convergenza. Ingenui, ripetiamo, e come diciamo spesso l’ingenuità in politica è una delle colpe più gravi. Ancora una volta ci siamo cascati. Davamo per scontata la naturale avversità al Pd esattamente come naturale appare l’avversità a Forza Italia, alla Lega o a chissà quale altro soggetto politico della piccola e grande borghesia. Illusi.

La critica al renzismo mascherava il risentimento verso qualcosa che veniva scippato dall’alto: la possibilità di riproporre sine die l’alleanza tra diverse sinistre, quella “moderata” e quella “radicale”, prima e unica strategia politica delle “forze” “a sinistra” del Pd. E’ l’Unione l’obiettivo, con Ferrero al dicastero della briscola e i comunisti filosovietici al ministero dell’ingiustizia. Quello è l’obiettivo minimo e massimo pensabile, dileguato dal renzismo “a vocazione maggioritaria” e proprio per questo odiato senza mediazioni. Con Zingaretti è tornato il liberismo dal volto umano, la buona gestione amministrativa, l’attenzione del territorio, la comprensione delle istanze sociali (in realtà meramente corporative) “dal basso”. Scompare dalla sera alla mattina la natura obiettiva e impersonale del Pd, la sua vocazione politica che prescinde dai singoli rappresentanti, selezionati in base alla contingenza politica.

Certo: di fronte all’incompetenza manifesta e al liberismo mediato dalle retoriche sovraniste dell’attuale maggioranza, persino il Pd si trasforma in soggetto credibile, quantomeno più credibile dell’accrocco governativo gialloblu. Eppure, due cose. La prima, che il Pd non è, neanche nel peggiore dei casi, “meglio” del populismo al governo: il Pd è un problema maggiore del M5S o della Lega. La seconda, che il populismo che oggi governa contro la propria capacità lo fa perché esiste il Pd, cioè esiste una destra che si presenta mediaticamente sotto la veste narrativa della “sinistra”, per quanto moderata, moderna, liberale e via eufemizzando, rinnovando quotidianamente l’assioma (verissimo) “sinistra=mercati finanziari, palazzinari e Unione europea”. Tutto questo è però, evidentemente, incomprensibile. Sarà solo una nuova stagione di lotte di classe, in cui si faranno le ossa nuovi militanti e futuri nuovi dirigenti, che spazzerà via questa stanchissima riproposizione in trentaduesimi del fatidico centrosinistra, mostro politico dai mille volti e dall’unico significato: ricostruire un tetto giuridico-salariale al mondo dell’attivismo sociale momentaneamente sotto attacco del populismo.

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