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Noi "sovranisti storici"

Una risposta a Mimmo Porcaro

di Leonardo Mazzei 

Abbiamo dato ampio spazio all'assemblea nazionale di presentazione del Manifesto per la Sovranità Costituzionale. Avremo tanti difetti, ma quello del settarismo sembra proprio di no.

Intervenendo sul contenuto del Manifesto, Programma 101 ha segnalato da un lato la larga convergenza con analisi e proposte che per primi abbiamo avanzato, dall'altra la sua astrattezza politica, il suo sostanziale vuoto strategico.

La lacuna più grave, scriveva P101 agli inizi di febbraio, è che:

«da nessuna parte si scrive che l’Italia deve uscire dall’eurozona e dall’Unione. Da nessuna parte si proclama a chiare lettere la necessità dell’Italia di battere moneta propria attraverso una banca centrale pubblica. Una mancanza che anche a noi ha lasciato di stucco. Data questa assenza, mentre tutti, da sinistra a destra, si trastullano nell’illusione di poter “cambiare i Trattati”, la prospettiva (di sapore gollista) di una Confederazione europea di nazioni sovrane ha un sapore davvero sinistro».

Era fondata quella critica? Ovviamente sì, come ci conferma la debole giustificazione del passo indietro compiuto, pronunciata all'assemblea di Roma da Mimmo Porcaro.

Scrive Porcaro:

«La seconda condizione (per la riuscita del progetto, ndr) è l’allontanamento da quello che io chiamo “sovranismo storico”, ossia da un atteggiamento culturale e politico che meritoriamente sottolinea e ribadisce il carattere antipopolare dell’ Ue e dell’Uem, ma proprio per questo tende, pur quando non vuole, a fare dell’exit e del recupero della sovranità nazionale un fine in sé e non un mezzo, impedendosi così di crescere oltre il proprio steccato e di aumentare la propria capacità di convincere (e rassicurare) quella grande maggioranza dell’elettorato che è necessaria a sostenere la rottura con le istituzioni comunitarie. Non si può costruire un partito sull’uscita dall’euro e sulla rottura con l’Unione. Non si costruisce un partito con largo seguito popolare su una serie di negazioni e su una prospettiva obiettivamente complessa che gli avversari hanno buon gioco a drammatizzare».

Ora Porcaro, secondo uno stile non proprio originale, non fa nomi. Ma è chiaro che noi saremmo tra quei "sovranisti storici" da cui allontanarsi. Certo, questo "allontanamento" non riguarda solo noi. A occhio e croce dovrebbe riguardare anche quel Mimmo Porcaro che nel 2014 sottoscrisse con noi il Vademecum per l'uscita dall'euro, prodotto dall'allora coordinamento nazionale della Sinistra contro l'euro.

Ma lasciamo perdere e concentriamoci sugli argomenti adesso sostenuti, che a me sembrano fondamentalmente tre. Il primo è che gli innominati "sovranisti storici" confonderebbero i mezzi con i fini, il secondo è che insistere sull'uscita restringerebbe la possibilità di crescita, il terzo è che non si costruisce un partito solo con dei no.

Che dire? Si è compiuto un deciso passo indietro - specie il gruppo di Rinascita (di cui Porcaro fa parte) lo ha compiuto - e si tenta una maldestra difesa del percorso intrapreso.

Confusione tra mezzi e fini? Porcaro sa bene che non è il nostro caso. Sa bene che abbiamo sempre parlato di uscita dalla Ue e dall'euro come condizione necessaria, ma non sufficiente ad uscire dal disastro in cui è stato condotto il nostro Paese. Sa bene che abbiamo sempre pensato ad un soggetto politico costruito su una nuova prospettiva socialista. E sa bene che alcune delle nostre vecchie divergenze riguardavano proprio questo punto, che ci differenziava ad esempio dall'impostazione di Alberto Bagnai. Di chi parli dunque Porcaro proprio non sappiamo.

Il secondo argomento non è meglio del primo. I sovranisti non sono cresciuti perché troppo radicali? Dovremmo allora passare da un sovranismo esplicito ad un semi-sovranismo criptico e per iniziati? Ma davvero si pensa che le persone siano così stupide? Potrei forse capire se si fosse al governo, perché in quel caso ogni parola dell'ipotetico ministro Porcaro potrebbe far sobbalzare lo spread. Ma non è questo il caso. Si pensa forse di ottenere più consensi con una nuova forma di altreuropeismo? Auguri, non resta che provare. La compagnia di sicuro non mancherà: da destra a sinistra, passando per il centro sistemico imperniato sul Pd, son tutti su questa linea. E questo mentre perfino dalla Germania si ammette cos'é stato il disastro dell'euro per l'Italia.

Infine, certo che «non si costruisce un partito solo con dei no». Ma non si costruisce neppure senza pronunciare dei no, senza indicare chiaramente il nemico, in primo luogo quello individuato come principale nella fase politica in cui si combatte. E, di grazia, quale sarebbe oggi questo nemico principale se non la gabbia eurista che, legittimando il neoliberismo, fa da schermo al potere di quell'oligarchia finanziaria che è il cuore e il simbolo di un sistema da rovesciare? La verità è che ogni soggetto politico che ha lasciato un segno nella storia ha sempre detto dei "sì" e dei "no". Si pensa forse che sia adesso arrivata l'epoca dei "ni"? Noi non crediamo proprio.

Ovviamente non siamo così sciocchi da non considerare alcune esigenze tattiche. Riguardo all'Italexit, in decine di nostri scritti abbiamo parlato dell'utilità di un Piano A e di un Piano B. Dunque, a prima vista, potremmo essere d'accordo con Porcaro quando scrive che:

«Si tratta di non presentare l’exit come programma immediato, di avere per ogni evenienza un programma di governo sic stantibus rebus, e di definire contemporaneamente un piano A di uscita negoziata e di apertura ad una ricostruzione dell’Ue su basi confederali, ed un piano B di uscita unilaterale in risposta al precipitare di una crisi non altrimenti gestibile».

Bene, dov'è allora il problema? Il problema è che nel Manifesto per la Sovranità Costituzionale il Piano B proprio non c'è. E' semplicemente scomparso, cancellato, defunto. Che si dice allora a proposito dell'euro? Leggiamo:

«La sovranità costituzionale è, quindi, condizione per abolire la tirannia del principio della libera concorrenza, subordinandolo all’utilità sociale e alla dignità della persona. A tal fine, la moneta è variabile politica decisiva, da portare al servizio del welfare e della democrazia costituzionale».

Che dire? Una scoperta sconvolgente, che non ci rivela però di quale moneta si stia parlando. Peccato, sarà per un'altra volta. Magari, nel frattempo, qualcuno potrebbe spiegarci che senso abbia parlare di sovranità se non si dice chiaramente che bisogna liberarsi dal giogo eurista.

Ora, noi saremo "sovranisti storici" (e siamo felici di esserlo), ma chi pensa di nascondere le debolezze strategiche e le ambiguità politiche del Manifesto dietro a simili argomenti non rende di certo un bel servizio alla sua causa.

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