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Sara' il caso di eliminare il Premio Nobel per l'Economia?

E. Nunziato intervista Emiliano Brancaccio e Giacomo Bracci

Un testo provocante, ben documentato, puntellato di "indizi" chiari e argomentazioni originali, quello a firma di Emiliano Brancaccio che lo ha scritto assieme a Giacomo Bracci

Sarà il caso di eliminare il Premio Nobel per l'economia?

Una domanda energica e irriverente racchiusa in un libro dal titolo "Il discorso del potere" edito da il Saggiatore.

Un testo provocante, ben documentato, puntellato di "indizi" chiari e argomentazioni originali, quello a firma di Emiliano Brancaccio (foto), docente di Politica Economica all'Università del Sannio, opinion leader apprezzato e conteso dai migliori talk giornalistici televisivi.

Il volume elaborato a quattro mani con Giacomo Bracci, dottorando di ricerca in Economia presso l'Università di Trento, ha come motivo conduttore proprio il Premio Nobel per l'economia "esaminato" e valutato negli anni, tra scienza, ideologia e politica.

Il prestigioso riconoscimento svedese, il cui valore culturale e scientifico è universalmente riconosciuto, induce i due autori a una riflessione forte sul senso intrinseco del premio assegnato all’Economia, istituito molti anni dopo la morte di Alfred Nobel, su iniziativa della Banca di Svezia.

Inserendo l'Economia e di fatto collocandola sullo stesso piano delle altre branche umanistico-scientifiche, ha consentito di equiparare la scienza economica con la fisica, la chimica e la medicina che dovrebbero, almeno nelle intenzioni di Nobel, essere l'emblema "(de)i maggiori servizi resi all'umanità".

Ma un'elaborazione critica, attenta e meticolosa delle motivazioni alla base delle scelte degli economisti vincitori dei Nobel, ha posto dinanzi agli autori l'essenza del premio stesso, evidenziando quanto sia controversa l'assimilazione dell'Economia alle altre discipline premiate.

Abbiamo interpellato i due autori sul senso del loro libro, e sulle prospettive del controverso premio Nobel per le scienze economiche.

* * * *

Professor Brancaccio, ci può spiegare perché l'Economia "tradisce" il valore del Premio Nobel?

Perché a vostro avviso sarebbe meglio eliminarlo?

Non siamo certo noi ad aver proposto di abolire il premio Nobel per l'economia.

Questa idea è piuttosto diffusa, anche tra gli addetti ai lavori.

Il Premio per l'Economia è in un certo senso un Nobel "millantato", che è stato assegnato per la prima volta molti anni dopo la proclamazione dei primi Nobel nelle materie originarie: fisica, chimica, medicina, letteratura e politiche di pace.

Fu la Banca di Svezia a volere fortemente questo Nobel aggiuntivo, per ragioni che spieghiamo nel libro.

Alcuni discendenti di Alfred Nobel sostengono che questa aggiunta abbia tradito le volontà testamentarie del fondatore, che in effetti aveva sostenuto di "odiare con tutto il cuore” le discipline economiche e di non volere avere a che fare nulla con esse...

 

Dottor Bracci, nel libro voi fate notare che persino due economisti insigniti del Premio, Hayek e Myrdal, hanno poi in un certo senso rinnegato l’onorificenza, proponendo di eliminarla.

Sì. Myrdal arrivò a contestare la scelta di istituire un Nobel per l'economia sostenendo che la "molle" scienza economica fosse troppo influenzata dai giudizi di valore e quindi non potesse essere equiparata alle cosiddette scienze "dure", come la fisica o la chimica.

Nel libro noi contestiamo questa tesi: per esempio, facciamo notare che anche le scienze "dure" possono essere in qualche modo influenzate da giudizi soggettivi e da interessi politici.

 

Voi però precisate che, a differenza di quanto accade con le altre tipologie di Premi Nobel, quello per l’Economia contribuisce a creare il "discorso del potere". Cosa intendete dire?

Che, a differenza delle altre scienze, ci ha detto Bracci, l'economia contribuisce a determinare il linguaggio delle decisioni politiche, e per questo a sua volta risulta particolarmente condizionata dalle dinamiche del potere.

Nel libro approfondiamo questo discrimine della scienza economica rispetto alle altre branche della ricerca scientifica.

 

Nel libro analizzate uno per uno anche i vincitori dei Nobel per l'Economia lungo questo secolo.

Dopo la crisi esplosa con il fallimento di Lehman Brothers, c'è stato qualche cambiamento nelle assegnazioni del Nobel da parte dell'Accademia delle scienze di Svezia?

Dopo la crisi esplosa con il fallimento di Lehman Brothers, ci ha risposto Brancaccio, c'è stato qualche cambiamento nelle assegnazioni del Nobel da parte dell'Accademia delle scienze di Svezia?

Brancaccio ci ha risposto dicendoci che alcuni hanno intravisto nell'assegnazione del Premio Nobel a studiosi come Krugman o Shiller un crollo della fede nel libero mercato e nell'efficienza dei mercati.

Noi spieghiamo che questa è un'interpretazione discutibile, che confonde l'orientamento politico degli economisti citati con l'architettura teorica di fondo che ispira le loro ricerche.

In realtà, queste restano quasi sempre ancorate al paradigma "mainstream" di matrice neoclassica, che è tuttora egemone anche dopo la grande crisi iniziata nel 2007-2008.

Le eccezioni a questo paradigma sono ancora piuttosto rare.

 

Nel libro voi vi soffermate su queste eccezioni, segnalando che qualche vincitore del Nobel ha iniziato a riconoscere alcuni limiti dell’impostazione teorica dominante.

Per esempio, voi ricordate che Vernon Smith ha definito l'approccio mainstream una teoria "ecclesiastica". Cosa significa?

E' stato ancora Brancaccio a risponderci dicendoci che con quella espressione Smith ha inteso affermare che la teoria economica dominante si è basata per troppo tempo su assiomi indimostrati, una specie di dogmi religiosi che non venivano sottoposti a verifica empirica.

Prendiamo ad esempio l'ipotesi di "razionalità" degli individui, secondo la quale un consumatore che preferisce la scelta A alla scelta B e la scelta B alla scelta C, dovrebbe logicamente anche preferire la scelta A alla scelta C.

Smith e altri hanno vinto il Nobel per avere mostrato che sul banco di prova dei dati empirici queste ipotesi vengono spesso smentite, il che può mettere in crisi alcuni caposaldi della teoria prevalente.

 

Dottor Bracci, lei è stato anche uno dei promotori della rete studentesca "Rethinking Economics", che lotta per fare sì che l'insegnamento dell'economia nelle aule universitarie non sia basato solo sulla teoria "mainstream" ma guardi anche a paradigmi di ricerca alternativi.

Perché ritenete che una didattica basata solo sull'approccio "mainstream" sia insoddisfacente?

L'approccio "mainstream" intende l'economia come la scienza che individua i criteri razionali per impiegare al meglio le risorse scarse di cui disponiamo.

Questi criteri razionali dovrebbero essere in primo luogo le libere forze del mercato, che attraverso il sistema dei prezzi dovrebbero garantire l'impiego migliore possibile delle forze produttive disponibili.

Alcuni esponenti dell'approccio dominante ammettono che non sempre il libero mercato riesce a garantire questo risultato, ma in genere ritengono che ciò dipenda da una serie di "imperfezioni" che ostacolano il consueto gioco della domanda e dell'offerta.

Non a caso, quasi tutti gli studiosi di questa scuola ritengono che in una situazione ideale, priva di "imperfezioni", il capitalismo lasciato a sé stesso dovrebbe essere in grado di produrre il mondo migliore possibile.

A nostro avviso questo approccio teorico presenta dei limiti, perché impedisce di mettere in luce le contraddizioni che sono insite nel meccanismo capitalistico.

Il capitalismo tende intrinsecamente alla crisi, al di là dell'esistenza o meno di "imperfezioni" che ostacolino il libero gioco del mercato. Basare la formazione dei giovani economisti solo sull'impostazione teorica "mainstream" può, dunque, rivelarsi fuorviante per la loro comprensione della realtà che ci circonda.

 

Bracci, lei è un giovanissimo studioso. Se un giorno dovessero chiamarla per ricevere il Premio Nobel per l'Economia, cosa direbbe al momento della proclamazione?...

In effetti negli anni passati, il Nobel è stato assegnato anche a studiosi eterodossi più o meno dichiarati, come Simon o Leontief.

Riguardo a me, però, credo che non ci sia proprio da preoccuparsi di questa possibilità... (ride).

Al di là del sottoscritto, comunque, magari in futuro le cose cambieranno.

Ma per adesso l'università rimane ancora piuttosto ostile alle teorie economiche alternative: Oggi, per gli economisti "critici" verso l'approccio dominante, anche solo riuscire a sopravvivere in accademia è già un bel traguardo!


Il discorso del potere. Il premio Nobel per l'Economia tra scienza, ideologia e politica, di Emiliano Brancaccio con Giacomo Bracci (Il Saggiatore, Milano 2019; 240 pagine, 19 euro).

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