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mauro poggi

Greta Thunberg e dintorni

di Mauro Poggi

Discussione sulla sempre interessante pagina FB di Pierluigi Fagan a proposito del fenomeno Greta Thunberg.

Il post del padrone di casa e la maggior parte dei successivi commenti fanno bella mostra di erudizione: citazioni, dotti riferimenti, linguaggio tendenzialmente esoterico, incursioni nel territorio della filosia analitica. In breve: un dibattito autoreferenziale.

Fra i tanti, il commento di Giorgio Bianchi (fotogiornalista free-lance autore di splendide immagini sul Donbass che meriterebbero di essere raccolte in un libro) si distingue a mio avviso per la concretezza e la chiarezza con cui mette a fuoco i termini di riferimento cruciali che occorre avere presenti per un giudizio.

Lo trascrivo nelle righe che seguono. Le note in parentesi quadre sono mie.

§

Commento

di Giorgio Bianchi

La cartina di tornasole per giudicare un movimento asseritamente antisistema è la risposta che ad esso rivolge il sistema stesso.

Lasciando l’ironia sul fenomeno Greta, dove è giusto che resti, ciò su cui ci dobbiamo essenzialmente concentrare è la reazione dei cosiddetti poteri forti [i padroni del discorso] al fenomeno.

Gli esempi citati nell’articolo [Rosa Parker e M. L. King] obbligarono il sistema a reagire in maniera isterica e furibonda.

Attorno alla giovane ragazza invece notiamo una convergenza tra potenti della terra, istituzioni e media di regime, che non può non far sospettare sulla genuinità del caso.

Sorvolando sull’efficacia o meno della riduzione della CO2 come panacea per risolvere le problematiche relative al clima (ci troviamo in un’epoca interglaciale pertanto è difficile quantificare la componente antropica e quella fisiologica del riscaldamento… Magari, ammesso che saremo ancora su questa terra, tra 10000 anni avremo la necessità di una Greta che ci inviti a immettere CO2 a manetta) ritengo che questo sia solo uno dei tanti modi per far uscire un po’ di pressione dalla pentola, unito ad una concreta possibilità di business.

Mi spiego meglio.

Il problema del clima e più generalmente dell’ambiente non è inerente alla sopravvivenza del pianeta bensì alla nostra.

Il nostro pianeta ne ha viste di ben peggiori della presenza dell’uomo e se l’è cavata sempre egregiamente.

Quindi il problema centrale è la nostra sopravvivenza o quantomeno il nostro benessere e il nostro equilibrio con il pianeta.

Questi due ultimi fattori sono minacciati sicuramente dal surriscaldamento, ma soprattutto dal sovrappopolamento (Claude Lévi-Strauss era solito dire di essere nato in un mondo con poco più di un miliardo di esseri umani, e di essere sul punto di andarsene da un mondo di quasi 6 miliardi), da un ritorno alla proliferazione degli ordigni nucleari (uscita dal trattato IDF), dalla competizione sfrenata spinta dal concetto di crescita, dalle guerre e dall’inquinamento [entrambi i fenomeni riconducibili alla competizione sfrenata].

Mentre i potenti sono ben disposti a dare ascolto alla piccola Greta, sono completamente ciechi e sordi rispetto a tutte le altre istanze.

Non sarà forse che il loro ruolo è neutrale rispetto alle problematiche sollevate dalla ragazza (magari ci sono anche ottime prospettive di guadagno e di egemonia sui paesi emergenti) mentre sarebbe gravemente messo in discussione dalle altre istanze?

 

E’ un po’ come la questione dei diritti individuali e quelli sociali.

Si apre il coperchio per abbassare la pressione cedendo sui diritti individuali, per poi richiuderlo sui diritti sociali (che sono anch’essi diritti umani inseriti nella carta).

Insomma il potere si mostra sempre magnanimo quando non è intaccato(figuriamoci poi quando viene favorito), mentre reagisce alla minima richiesta che lo possa minacciare.

Abbiamo una vaga idea di quanto inquini una guerra?

Ricordo ancora con orrore i pozzi petroliferi dati alle fiamme in Iraq e il petrolio sversato nei corsi d’acqua; e questa è solo la punta dell’iceberg.

Vogliamo parlare dei poligoni militari, dell’uranio impoverito o dei test nucleari?

Mi sto occupando del caso Alpi: avete idea delle tonnellate di rifiuti industriali e ospedalieri e di scorie chimiche sversate in Somalia in cambio di armi? In quel periodo si spiaggiò addirittura una nave con tutto l’equipaggio deceduto a causa delle radiazioni.

All’epoca si potè parlare del traffico di armi mentre il tabù era la questione ambientale, cui tutto il mondo stava contribuendo (In Somalia sversavano Francia, Germania, Italia, USA, più chi sa chi altri).

Le armi sono dicibili, mentre le scorie sono indicibili.

Questo perchè le scorie mettono implicitamente in dubbio il modello di sviluppo.

Sono il costo della competizione globale.

In tutto questo dibattito c’è un grande assente che è appunto il modello di sviluppo: una riedizione del “chicken game” di “Rebel without a cause” dove nessuno vuole tirare il freno a mano prima del precipizio per paura che i competitor si fermino un metro più avanti; per questo stiamo finendo tutti nel burrone.

La differenza però tra noi e i paesi emergenti è che noi abbiamo un benessere diffuso superiore a loro e pertanto ci possiamo permettere determinati discorsi (in più siamo sempre pronti a soffiare sui dissensi interni delle altre realtà, a maggior ragione non offrendogli scelta) e secondariamente abbiamo ancora in mano il pallino del gioco.

Ogni movimento che non rimetta in discussione il modello di sviluppo è destinato ad essere la pillola di zucchero data al malato terminale di cancro.

La risposta del sistema e dei media è il segnale che indica la direzione.

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