Print Friendly, PDF & Email

mariogangarossa

La libertà di pensiero

di Mario Gangarossa

La libertà di pensiero è proprio una bella cosa.

Ti permette di pensare tutto quello che vuoi. Qualsiasi cosa ti passi per la testa, qualsiasi composizione assumano gli scambi di informazioni fra i tuoi pochi o tanti neuroni attivi, qualsiasi idea, puoi ipotizzarla, rimuginarla, ponderarla.

La libertà di pensiero non è un diritto. Non c'è legge che possa limitarla. I limiti semmai nascono dal fatto che pensi ciò che sperimenti, non sei una monade isolata da un contesto sociale e da una miriade di relazioni che costituiscono il tuo mondo materiale. Un mondo materiale che si riflette inevitabilmente sull'idea che di quel mondo te ne fai.

Se poi il tuo libero pensiero è influenzato da altri "liberi pensatori" ben attrezzati a condurre la guerra delle idee, capaci di creare suggestioni e condizionamenti e di modificare la tua stessa percezione della realtà, se il mondo materiale è costruito su contrapposti interessi e su contrapposte visioni che a questi interessi rispondono, va da se che più che di libertà dovremmo parlare di "libertà condizionata".

Intanto e comunque, per pensare bisogna avere il tempo per farlo e gli strumenti che possano stimolare la capacità di pensare. Bisogna aver ben mangiato e non vivere una situazione di precarietà in cui il bisogno di lavorare diventa il principale, se non l'unico, interesse.

Bisogna aver superato le necessità del mondo materiale per poter apprezzare la libertà del mondo delle idee. Dubito fortemente che Platone e Aristotele avrebbero potuto raggiungere l'immortalità, se squadre di schiavi non avessero pensato alla loro mortale esistenza permettendo loro di passare le giornate passeggiando nel Perìpato. E che Leonardo avesse avuto voglia di dipingere la Gioconda dopo 15 ore di lavoro nei campi passate a accumulare grano per la decima alla chiesa e al signorotto locale.

Ciò non di meno il libero pensiero è una bella cosa e, del resto, le idee non fanno male fin quando se ne stanno racchiuse nella testa di chi le pensa.

Cominciano a diventare un problema nel momento in cui hai la presunzione di volerle socializzate. Nel momento in cui quello che tu pensi se ne va in giro per il mondo alla ricerca di consenso, si confronta con altre idee, cerca altri "liberi pensatori" che hanno percorso gli stessi sentieri e sono arrivati alle tue medesime conclusioni o trova sul suo cammino chi reputa il tuo pensare un cattivo pensare.

L'idea fondativa della democrazia è proprio questa. La libertà di pensiero comporta il diritto di esprimerlo questo pensiero con tutti i mezzi con cui è possibile farlo. Ora, questo si che è un diritto legalmente riconosciuto, almeno per quella parte del popolo che ha il privilegio di poter pensare.

E' un diritto civile che, come tutti i diritti civili, non tiene conto dell'ineguaglianza e della frattura che rende le donne e gli uomini "liberi" nella misura in cui hanno il potere economico per esercitarli questi diritti.

È ovvio che leggere un giornale non è la stessa cosa che scriverci su. O scrivere queste righe non ha lo stessi peso di chi questo strumento lo ha inventato e lo gestisce.

Ma il problema non è solo il semplice e banale fatto che chi detiene il potere economico ha gli strumenti per giustificarne l'esistenza. Chi produce merci in regime di libero mercato (e libero sfruttamento) produce anche le idee che servono a perpetuare all'infinito quel regime e ha i mezzi per essere convincente.

L'equivoco di fondo è che la democrazia non è una costruzione teorica dell'astratto mondo delle idee, a cui il mondo reale deve adattarsi, per il raggiungimento di un presunto bene comune. La democrazia è un concreto strumento di governo in una società divisa in classi in cui il bene comune si identifica col profitto concretissimo di chi detiene il potere economico.

In questo senso la democrazia è esclusiva ricacciando fuori da se tutte le espressioni e i comportamenti che possano mettere in discussione quel potere economico.

La platea degli esclusi dai diritti democratici si allarga o si restringe a seconda delle contingenze, della possibilità di acquistare o meno maggior consenso, della forza delle "idee" antagoniste alla democrazia.

La libertà di pensiero, nella democrazia sorta con la borghesia, è strumento della sua dittatura. E' libertà di "pensare bene". Pensare esattamente allo stesso modo di come pensano le classi dirigenti.

Puoi parteggiare per l'una o per l'altra delle varie correnti di idee che si scontrano. Puoi tifare per il "pensiero" di questo o di quell'altro amministratore del capitale. Ma non provarci nemmeno a mettere in discussione l'intero castello ideologico su cui si basa la ricchezza dei pochi e la miseria dei molti.

La professoressa di Palermo sarà reintegrata con tutti gli onori del caso, il sindacalista in costume di Zorro avrà il suo quarto d'ora di pubblicità, le lenzuola ingialliranno come le bandiere della pace sfilacciate dal vento, impotenti a fermare i conflitti armati (e non) del capitale. A giorni si voterà e si delegherà ai propri rappresentanti, maestri nell'arte del ben pensare, la soluzione dei nostri problemi.

La libertà di pensiero trionferà e la costituzione tornerà ad essere faro di civiltà. Gli operai continueranno a morire, a non potersi curare, a sopravvivere a una pensione di fame frugando nei cassonetti. Perché non di astratti diritti civili hanno bisogno ma della consapevolezza di dover lottare per conquistarsi il diritto elementare all'esistenza.

Non di "libero pensiero" ma di libera azione hanno bisogno. Rimettendo "sui suoi piedi" questo mondo nell'unico modo capace di cambiare lo stato di cose esistente. Con la lotta di classe. A partire dai propri bisogni. Dalla propria "pancia" anche se questo farà strabuzzare gli occhi ai "comunisti" dalla pancia piena e dalla testa confusa da troppi pensieri "elevati".

Rivendichiamo la "volgarità" della lotta elementare per la sopravvivenza. E sui nostri bisogni, sulla nostre necessità, cominciamo a decidere cosa è "giusto" e cosa è "sbagliato".

Nel primo e insuperato programma dei comunisti c'è scritto: "I comunisti sdegnano di nascondere le loro opinioni e le loro intenzioni. Dichiarano apertamente che i loro fini possono esser raggiunti soltanto col rovesciamento violento di tutto l'ordinamento sociale finora esistente. Le classi dominanti tremino al pensiero d'una rivoluzione comunista. I proletari non hanno da perdervi che le loro catene. Hanno un mondo da guadagnare."

Provate, non dico a metterlo in pratica, ma solo a scriverlo su un lenzuolo un tale concetto. Il 41bis non ve lo toglie nessuno.

Add comment

Submit