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La casta togata

di Leonardo Mazzei

Siamo dunque alla scoperta dell'acqua calda: la Magistratura (quella con la emme rigorosamente maiuscola) è corrotta. Ma guarda un po'! Come sempre in questi casi, i giornaloni fingono grande stupore. Riferendosi alle note vicende del Consiglio Superiore della Magistratura (Csm), Ernesto Galli della Loggia scriveva ieri sul Corriere della Sera che «l'immagine che esce dalle inchieste è devastante».

Ovviamente ha ragione. Ma ridurre tutto a un problema di «borghesucci ineducati a caccia di privilegi», come fa il noto editorialista, è decisamente troppo poco. Certo, il solito elenco di omaggi - dalle vacanze ai biglietti della Lazio elargiti dall'impagabile Lotito - è cosa piuttosto pittoresca. Ma anche qui niente di nuovo sotto il sole. La "borghesia reale", la "classe dirigente reale" (di cui il Csm è parte integrante a pieno titolo) è quella roba lì. Roba miserevole e schifosetta, ma non sorprendente.

 

La casta di Palazzo dei Marescialli

Da quando è entrato nel linguaggio corrente, il termine "casta" è stato solitamente applicato in esclusiva ai politici. E la cosa mi ha sempre fatto ridere assai. La casta, parola che se usata correttamente è in effetti utile a comprendere la vera natura dei soggetti di cui stiamo parlando, va ben oltre il mondo delle istituzioni politiche in senso stretto. La casta la troviamo nell'alta burocrazia, nei vari corpi dello Stato, nelle Università, nei media, nei consigli d'amministrazione delle grandi aziende, ed appunto nella Magistratura.

Tra tutti questi "mondi chiusi", disposti al massimo ad aprirsi al grazioso meccanismo delle "porte girevoli", la Magistratura è uno dei più impenetrabili in assoluto. Il sano principio costituzionale (art. 104) della sua autonomia ed indipendenza, si è da tempo rovesciato nell'insana pratica dell'esercizio di un potere assoluto e privo di ogni controllo.

«I giudici sono soggetti soltanto alla legge», così recita l'art. 101 della Carta, ma solo dopo aver affermato che: «La giustizia è amministrata in nome del popolo». Il problema - qui siamo d'accordo con Galli della Loggia - è che nessuno saprebbe dire oggi in cosa consista questa amministrazione in "nome del popolo", benché sempre richiamata alla lettura della più insulsa, come della più ingiusta delle sentenze. E' necessario dunque salvaguardare i principi costituzionali, ma mettendo al centro la cruda realtà delle cose.

Depositario di questa amministrazione chiusa, dunque castale, della giustizia è appunto il Csm. E qui veniamo alla nuda cronaca di questi giorni.

 

La tempesta in corso

Come noto, l'ex presidente dell'Anm (Associazione nazionale magistrati), Luca Palamara, membro togato del Csm fino all'anno scorso, è ora accusato di corruzione per aver «ricevuto 40mila euro per agevolare la nomina di Giancarlo Longo a procuratore di Gela» (Corriere della Sera del 5 giugno). Ma questo è stato solo il punto di partenza che ha fatto emergere un verminaio ben più esteso.

Se Palamara è stato così costretto alle dimissioni dall'Anm, dopo di lui è arrivata l'autosospensione dal Csm di Luigi Spina, accusato di rivelazione del segreto d'ufficio e di favoreggiamento nei confronti del Palamara. Poi sono saltati altri quattro membri togati dell'organo di autogoverno della magistratura: Antonio Lepre, Corrado Cartoni, Gianluigi Morlini e Paolo Criscuoli. Secondo quel che riferisce la stampa (ad esempio nel resoconto del già citato Corsera), i quattro, insieme al Palamara, si sarebbero incontrati ripetutamente con due distinti signori, attualmente parlamentari del Pd, ma entrambi con precedenti incarichi di governo. Il tutto per mettere mano alla designazione dei nuovi vertici di alcune procure: Brescia, Perugia, ma soprattutto Roma. A provarlo una serie di intercettazioni, ottenute con un "trojan" inserito nel cellulare di un magistrato.

Per il Csm una tempesta davvero seria. Non che simili pratiche extra-istituzionali possano essere considerate una novità, tutt'altro. Ma la gravità resta, e comunque la verità di certi mercanteggiamenti non doveva venire a galla. Sta di fatto che su 16 membri togati del Csm, i dimissionari sono al momento 5: una percentuale del 31,2%, roba da fare invidia a quella degli inquisiti tra gli amministratori del Psi negli anni '90.

 

Una guerra per bande targata Pd

Se del Csm si è detto, chi erano i due esimi signori degli incontri notturni in quel di Roma? Pur non potendone omettere i nomi, sul punto i giornaloni sono assai meno ciarlieri. Eppure non si tratta di due semplici parlamentari, ma di due pezzi da novanta del Pd renziano: Luca Lotti e Cosimo Ferri. Il primo è stato sottosegretario alla presidenza del consiglio con Renzi e, successivamente, ministro per lo Sport nel governo Gentiloni. Il secondo è meno noto, ma non meno importante. Anch'egli magistrato (ecco le porte girevoli) ha fatto il sottosegretario alla Giustizia nei governi Letta, Renzi e Gentiloni. E della sua indefessa adesione al principio dell'autonomia della magistratura ha già lasciato ampie tracce in passato.

Bene, presente non si sa per quali meriti pure il noto giurista Claudio Lotito, i due piddini di rango trattavano l'assegnazione di alcune importanti procure come fosse cosa loro. Sul deputato fiorentino così scrive sempre la Sarzanini:

«L’abitudine a incontrarsi di notte appare una costante in questa indagine, probabilmente nella convinzione di sfuggire ai controlli. Palamara e Lotti si vedono spesso al riparo da occhi indiscreti e si trovano d’accordo sui nomi da portare ai vertici delle Procure. L’ex sottosegretario del governo Renzi appare determinato a vendicarsi di Pignatone e Ielo che ne hanno chiesto il rinvio a giudizio per Consip, ma anche a poter contare in futuro su una pubblica accusa a lui più favorevole. Per questo spiega di voler escludere dalla corsa anche Creazzo che ha fatto arrestare i genitori di Matteo Renzi e a Firenze ha condotto svariate inchieste sui familiari dell’ex premier».

Quella di Lotti è dunque un'azione politica, ma anche a tutela della sua persona e nell'interesse dell'ammirevole famigliola di Rignano sull'Arno. Ma sia Lotti che Ferri sono due personaggi del Pd attuale, non solo di quello dell'era renziana. Che dice dunque Zingaretti? Assolutamente nulla, come notava ieri il Fatto Quotidiano. Ora, che Zingaretti parli senza dir nulla una notizia non è. Ma qui c'è qualcosa di più, perché il fatto è che quella in corso nei dintorni di Palazzo dei Marescialli è in primo luogo una guerra interna al Pd. Meglio dunque, per il neosegretario, glissare e parlar d'altro.

L'iniziativa di Lotti e Ferri sulla procura di Roma è difatti in contrasto con i desiderata di Mattarella (che del Csm è presidente) e di Ermini (che ne è il vice). Se il primo sanno tutti chi è, il secondo era anch'egli un deputato Pd (e pure toscano come Ferri e Lotti, dev'essere una maledizione!), dimessosi da tale carica giusto per assumere la guida del Csm.

 

Una crisi di regime

E' insomma il mondo piddino a traballare. Quel mondo è ancora forte, proprio perché vive sul potente intreccio tra il potere politico, quello economico, quello giudiziario, e si potrebbe continuare. Quando dico "mondo piddino", intendo qui un ambiente assai più vasto del solo Pd, peraltro nato formalmente solo nel 2007.

Prima del Pd c'erano le forze dalle quali il Partito democratico è poi sorto. Forze che si sono coalizzate nella Seconda repubblica, ma con un personale politico (inteso in senso lato) in gran parte attivo già nella Prima. Forze che, a dispetto della momentanea collocazione parlamentare, hanno avuto un peso rilevante anche negli anni di Berlusconi, costituendo di fatto la continuità e l'ossatura centrale del regime eurista.

Forze che oggi sentono l'acqua alla gola. Che proveranno perciò ad usare l'arma della magistratura per rovesciare la stessa volontà democratica. E che proprio per questo lavorano ad un controllo del potere giudiziario ancora più stretto.

Sfortunatamente per loro queste forze sono oggi divise, preda di tanti conflitti e di mille interessi personali e di gruppo, come lo scandaloso conflitto di interessi del signor Lotti sta lì a dimostrare. Ma tutto ciò non deve rassicurare. Proprio perché largamente corrotto, non sarà difficile trovare in quel mondo magistrati pronti a sparare il loro colpo a difesa del blocco eurista, che è poi lo stesso blocco di potere che ha consentito a costoro di costituirsi come una delle principali caste su cui si è strutturato il regime della Seconda repubblica.

Occhio dunque a quel che accadrà. Occhio, perché il vecchio regime in crisi è pronto ad usare ogni arma. Occhio!

Comments

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Armando Luigi Palma
Wednesday, 12 June 2019 20:32
A Galli della Loggia vorrei segnalare che dopo l'art. 101 della Costituzione, lì dove è affermato che "La giustizia è amministrata in nome del popolo", c'è l'art. 102 che nel terzo comma afferma: "La legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia". Manca solo la legge che regoli i casi e le forme della PARTECIPAZIONE DIRETTA DEL POPOLO all'amministrazione della giustizia. Potrebbe cortesemente provvedere alla bisogna il Ministro Bonafede? Grazie.
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