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Il mistero dell'altruismo

di Pierluigi Fagan

La biologia evolutiva è una disciplina che discende da i due ambiti teorici, quello biologico da una parte, quello della teoria dell’evoluzione dall’altra. Questo secondo viene storicamente prima del primo, nel senso che le conoscenze concrete di biologia al tempo in cui Darwin scrisse l’Origine (1859), non erano sviluppate. Addirittura Darwin non conosceva neanche le teorie di Mendel che pure erano a lui coeve e senz’altro non poteva conoscere tutti i successivi raggiungimenti culminati poi nella scoperta del DNA (1953).

Tutto questo sviluppo quindi, è sorto dandosi come limiti insuperabili la teoria dell’evoluzione data come caposaldo teorico generale, inviolabile.

In più, va notato che la versione data di “teoria dell’evoluzione” è solo in parte derivata dall’Origine di Darwin poiché per buona altra parte si è invece basata sulle interpretazioni date all’Origine. Di queste, la più influente è stata quella del filosofo H. Spencer, sociologo con chiari fini politici. Si noti la struttura di questa storia che è del tutto simile al rapporto tra Marx, testi di Marx e marxismo.

Il canone del darwinismo è stato compendiato in una costruzione teorica che si chiama “Sintesi moderna”. Questa teoria maggiore, presuppone in accordo alle interpretazioni di Spencer (non di Darwin), che l’uomo sia un animale individualista, egoista, competitivo.

Del resto l’inglese Spencer culmina l’antica tradizione che partiva da Hobbes e quindi siamo in pieno canone anglosassone. Adam Smith, per dire, era invece scozzese e fintanto rimase in vita, lui ed i suoi contemporanei credevano che il suo opus magnum non fosse come riteniamo noi la Ricchezza delle nazioni (1776) ma la Teoria dei sentimenti morali (1759), opera basata sul concetto di “simpatia umana” che è poi molto simile a quella che noi oggi chiamiamo “empatia”, che ovviamente è ben più in armonia con concetto di altruismo.

Ai darwinisti anglosassoni che dominano l’interpretazione della teoria dell’evoluzione a tutt’oggi, interpretazione saldata nell’idm con l’antropologia profonda, certa sociologia, certa teoria economica e quindi certa teoria politica, non risulta quindi che l’uomo o qualsiasi animale, abbia potuto sviluppare oltretutto a base genetica, una qualche propensione all’altruismo, tant’è che tutt’oggi, scrivono libri in cui facendo spericolati esercizi di logica apparente, cercano di darne una qualche spiegazione. Definito quindi l’altruismo un “mistero”, finiscono in quei libri col sostenere che in realtà è una forma mascherata di egoismo genetico. Cosa non si fa pur di difendere il proprio paradigma!

Non c’è alcun mistero nell’altruismo che fa parte della dotazione caratteriale di molti animali e dell’uomo assieme all’egoismo. Il vaglio adattivo che i darwinisti chiamano per amore delle drammatizzazioni “selezione naturale”, agisce su geni, genomi, individui, gruppi, intere specie. A livello di individui e gruppi, agisce su entrambi. Molte specie hanno sviluppato strategie adattive gruppali, dette con scivolamento antropomorfico “sociali” (la società umana non è la società delle api, è una falsa analogia). Lo hanno fatto perché “l’unione fa la forza”, per cui i gruppi hanno più facoltà adattive dei singoli ed i singoli più che alla natura si adattano quindi ai gruppi e per adattarti ai gruppi, se sei asociale sei tendenzialmente dis-adatto. A meno tu non faccia parte di una intera società di disturbati sociali quali sono in genere quelle degli anglosassoni.

Ecco allora che ieri, un gigante nero di origini africane pagato da una squadra posseduta da cinesi che lo hanno pagato la bellezza di 80 milioni di euro, un bomber in gara per la classifica individuale di chi segna più gol e quindi deputato a battere i calci di rigore, inaspettatamente lascia l’onore di tirare un rigore ad un ragazzino di 17 anni di Castellamare di Stabia, attaccante anch’egli, al suo esordio in serie A. Il ragazzino ha poi fatto gol ed è andato a piangere tra le braccia della mamma a bordo campo. Tutto ciò un neo-darwinista non può accettarlo, spiegarlo, giustificarlo. L’intelligenza sociale del gigante nero non è nei parametri della teoria, sebbene lo sia appieno nei parametri dell’effettiva evoluzione di molte specie animali, l'umana in particolare.

Capirete bene allora che razza di problema sia la concezione dell’uomo che domina la nostra immagine di mondo dominata dagli anglosassoni?

[Nella foto, il gigante nero già pronto a battere il rigore lancia la palla al ragazzino invitandolo a prendersi ònere ed onore perché una riserva felice fa la squadra più forte ed anche un campione da 80 milioni di euro, dipende dalla forza generale del gruppo in cui opera]

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Comments

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Giulio Bonali
Wednesday, 25 December 2019 18:04
Non riesco a capire come possa essere spacciata per l’ “interpretazione della teoria dell’evoluzione a tutt’oggi” dominata “dai darwinisti anglosassoni” quanto qui giustamente criticato (salvo il parallelo con Marx e il marxismo, per quanto personalmente mi riguarda), ignorando i fondamentali contributi, fra gli altri, degli americani (e dunque inequivocabilmente “anglosassoni”) Stephen Jay Gould, Niles Eldredge, Richard Lewontin, che dimostrano inequivocabilmente quanto la pretesa “lotta forsennata di tutti contro tutti per la sopravvivenza-riproduzione”, di ascendenza spenceriana e tuttora comunque viva a vegeta (e pour cause, in questi tempi di cupa reazione), nonché il preteso e conseguente “egoismo dei geni” siano comunque nient’ altro che ciarpame ideologico reazionario antisicentifico.
Da studente di medicina al I anno (in tempi ahimé remoti e molto migliori di questi odierni non certo soltanto per ragioni anagrafiche mie personali) imparai la molto istruttiva storia della biston betularia, la falena britannica delle betulle, sopravvissuta alla prima rivoluzione industriale, che aveva annerito col fumo del carbone la precedentemente bianca corteccia delle betulle sulla quale la farfalla si mimetizzava, solo perché i geni “del colore bianco” precedentemente dominanti, alquanto “altruisticamente”, non eliminarono affatto quelli “del colore nero” ma invece si dimostrarono piuttosto “altruisticamente tolleranti nei loro confronti”: se fossero stati “troppo egoisti” -così come inevitabilmente accadrebbe sempre e comunque a qualsiasi gene che per assurdo fosse “troppo egoista”- sarebbero stati spietatamente eliminati dalla selezione naturale con la falena stessa, impossibilitata a mimetizzarsi e scampare ai predatori in seguito alle conseguenze “cromatiche” della prima rivoluzione industriale.
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