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Per cambiare il cambiamento

di Pierluigi Fagan

Settanta anni fa circa, il mondo è entrato in una rapida e potente inflazione di complessità. Sono aumentate le varietà che compongono il sistema umano nel mondo, dagli individui che si sono triplicati in pochi decenni, a gli Stati (triplicati anch’essi), a varie formazioni organizzate non statali. Sono anche molte aumentate le interrelazioni. Tra 1950 e 1973, gli scambi commerciali internazionali crebbero di sette volte, molto prima della “globalizzazione”. L’infrastruttura-mondo, che fosse Internet o i viaggi intercontinentali per affari o per turismo, seguiti poi dall’intelaiatura di interrelazioni economiche e finanziarie esplose a partire dagli anni ’90, si è tessuta velocemente. Tempo fa leggevo in un interessante libro di quanto i film di Bollywood e la musica pop indiana, oggi coreana, spopolassero nei mercatini di molti paesi arabi ed africani, anche a seguito della silenziosa diaspora dei sarti e commercianti di tessuti indiani. Se con “globalizzazione” intendiamo un preciso format economico-finanziario giuridico legato al WTO ed altre istituzioni, dovremmo anche considerare una concetto più ampio che è quello di “planetarizzazione”.

Planetarizzazione è il risultato di molte più varietà e vari livelli di interrelazione tra queste dentro un contenitore dato, nel nostro caso il pianeta. Poiché varietà per interrelazioni è l’esatta definizione del concetto di “sistema”, possiamo dire che il sistema umano terrestre, negli ultimi settanta anni, ha subito una inflazione di complessità, poiché “complessità” è ciò che naturalmente emerge da varietà in interrelazione (Varietà X Interrelazioni = Complessità). Siamo dunque -da decenni- in una inflazione di complessità.

A partire da poco dopo l’inizio di questo potente cambiamento, si è andata strutturando e diffondendo, una nuova attitudine alla previsione. A cominciare da un pioneristico scritto di un giurista e scienziato politico tedesco. O.K. Flechteim nel 1945, inizia la versione moderna dell’antica attitudine umana alla previsione dei tempi a venire, la futurologia. Ma al di là delle vicende specifiche della disciplina che ha intenti scientifici e non divinatori, con diverse cattedre universitarie dagli Stati Uniti alla Cina, dalla Finlandia all’Iran (con una cattedra anche a Sociologia a Trento), si aprono a ventaglio molti centri di studio del futuro sotto diversi aspetti, da quello demografico a quello economico, da quello ambientale a quello tecnologico, politico-sociale-geopolitico. La punta di questo iceberg poco conosciuto, prende le forme di noti rapporti, da quelli del World Economic Forum di Davos di cui parlai qui qualche mese fa, al rapporto annuale “State of the World” giunto alla sua 19° edizione e molti altri. Questi studi tendono a trattare i fenomeni del cosa sarà, non separati tra loro poiché mentre le nostre forme di conoscenza sono disciplinari, il mondo e la sua complessità sono un tutt’uno. Come capita spesso con coloro che ancora di recente, scoprono dopo decenni il rapporto The Limits to Growth del MIT- Club of Rome, che è del 1972, alcuni pensano che queste operazioni di previsione abbiano poi informato il comportamento attivo delle élite, che cioè il presente sia il futuro previsto e voluto di chi ci ha pensato per tempo.

Come capita con questo video di Bill Gates che allego sotto, che dopo la sua lunga storia in Microsoft, ha deciso di investire il suo restante tempo di vita e parte delle sue sostanze personali, nella lotta soprattutto in Africa, ai rischi epidemici e non solo. Il video è noto, gira molto in questi giorni, è del 2015 e di solito è accompagnato dall’annuncio un po’ malizioso di “La profezia di Bill Gates”. Tenete conto che i rischi pandemici erano precisamente previsti nella cascata di effetti dell’inflazione di complessità che era l’oggetto del rapporto del Club of Rome nel 1972, quasi cinquanta anni fa. In questi giorni mi è capitato di postare nelle varie discussioni un intero documento di decine di pagine su i rischi pandemici del WHO del 2007 e ci sono copertine di Time e dell’ Economist sull’argomento di qualche anno fa. Sono parte integrante ovviamente tanto dei rapporti su i “rischi globali” del WEF di cui vi parlai che di quelli “State of the World” già nel 2002. Sono tutte cose note da tempo, per alcuni ma non per tutti. E lo sono per la semplice ragione che in ambiente complesso-sistemico, tra il locale ed il globale, c’è il planetario, la semplice e spontanea infrastrutturazione di un sistema macroscopico fatto di densità crescenti in ambiente anelastico, in cui viaggia di tutto, dai dati ai virus. I dati li generiamo noi dall’interno, i virus li importiamo, data la densità, dall’incrocio tra sistema umano e sistema animale, la “zoonosi” , ovvero agenti di malattie di ambiente animale nel quale ormai non producono più malattie, a quello umano.

Tutto ciò appare strano e misterioso a molti. Il fatto che le élite sappiano cose che noi non sappiamo induce il sospetto. La questione qui, che è poi il senso di questo post, si fa molto complicata. E’ vero che alcune élite sanno queste cose e di queste cose discutono da tempo, ed è legittimo razionalmente pensare che nel sentire certe previsioni si possano ingolosire all’idea di usare certi fenomeni a loro tornaconto. Ed in molti casi ciò avviene, tentano effettivamente di manipolare gli eventi ai loro fini. Ma posso assicurarvi (anche se so in anticipo e per certo che -forse giustamente- ve ne fregherete ampiamente delle mie rassicurazioni) che da questo punto di vista, le élite non sono più intelligenti di voi, sono abbastanza stupide, come lo siete voi, come lo siamo tutti. Il fatto è che davanti alla grande complessità del mondo che inavvertitamente abbiamo creato noi stessi, (e che s’è formata per varie cause che qui non posso riportare ma di cui indico almeno un forte vettore inintenzionale: la rivoluzione verde degli anni ’60), siamo tutti disadattati, non sappiamo leggerla, analizzarla, porvi sopra controllo (che dei fenomeni complessi non si dà per principio) o almeno gestione. Oltre all’endemica stupidità, in molti casi, le élite vanno in ontologico conflitto di interesse poiché le vere soluzioni di certi problemi, vere nel senso le uniche che funzionerebbero concretamente a prescindere dalle nostre preferenze ideologiche, annullerebbero le ragioni che le fanno essere élite. Per questo nonostante loro sappiano di queste cose da molto tempo non hanno fatto nulla per evitarle, perché non possono agire contro il sistema da cui dipendono.

In un altro caso noto, la questione ambientale, altrettanto siamo in presenza di previsioni addirittura precedenti quelle epidemico-pandemiche, ignote ai più e deliberatamente negate ed ostracizzate dalle élite per decenni, fino a quando recentemente, una parte di esse (le élite sono plurali sebbene solidali sull’unico principio che è la difesa del loro potere sociale nell’assetto Pochi vs Molti), non ha preso atto che non si potevano più negare certi problemi perché i loro effetti andavano anche contro i loro interessi e trasformando il problema in opportunità, li stanno cavalcando come nel c.d. New Green Deal. Anche qui, alcuni, del tutto ignari della sostanza del problema reale sottostante, notato questo improvviso e coordinato fervore ecologista, lo hanno interpretato come una invenzione sposando le tesi dei negazionisti consapevoli, altre élite legate al potere (politico, economico e geopolitico) del controllo delle energie fossili. Critici feroci del potere delle élite, si sono scagliati con violenza contro le élite neo-verdi, sposando le tesi delle élite ultra-grigie avversarie delle prime, poiché sostanzialmente ignoranti del problema oggetto della contesa. I critici arguti, non sapendo dove andare di propria intenzione, si sono orientati a naso secondo il noto principio de “il nemico del mio nemico è mio amico”.

Il post che ha un che di antipatico perché non s’iscrive alla corrente facile del “odiamo qualcuno”, ed anzi porta ad auto-accusarci di una sostanziale grave ignoranza di cui pagheremo grave prezzo se non vi poniamo rimedio, era solo per dire: tenete conto che ci sono molte, ma molte cose che non sapete. Tenete aperta l’ansiosa porta della necessaria conoscenza di fatti complessi, non chiudetela subito, non passate subito al giudizio, non siete in grado –forse- di dare giudizio, a volte è prematuro dare giudizi quando non si conoscono i vari aspetti delle questioni complesse. Dopo decenni di spensieratezza in cui queste e molte altre questioni della realtà concreta, erano ai più del tutto ignote, non è saggio passare di colpo dall’ignoranza al giudizio. Siete reclusi a casa? Investite tempo nell’apprendere cose nuove, incamerate capitale di conoscenza, chi avrà più capitale di conoscenza potrà meglio giocarsi la partita dell’adattamento ai tempi nuovi. Non vi orientate a naso, non guardate cosa dice tizio o caio, cercate di approcciare i problemi non le opinioni che altri hanno su quel problema. Nei prossimi tempi, il mondo andrà rifatto daccapo, non lasciate che il mondo si faccia da sé e venga rifatto da chi sta dando ampie dimostrazioni di drammatica incapacità il cui prezzo tanto poi pagherete voi stessi ed i vostri cari, come già lo state pagando.

Chiudo con le belle parole di un filosofo che, negli anni ’70, a proposito dell’incessante cambiamento del mondo richiamava la necessità di interpretare attivamente e non passivamente questo cambiamento … “E ciò, precisamente, per cambiare il cambiamento. Affinché il mondo non continui a cambiare senza di noi”.

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