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manifesto

Lenin e gli elementi di una rivoluzione

di Luciano Beolchi

Una crisi mondiale. L’indicazione di trasformare la guerra imperialista in guerra civile

Al tempo di Lenin la crisi si chiamava guerra mondiale, la più colossale somma di sofferenze di ingiustizie e di distruzione mai vista al mondo. Ma non è sufficiente che la gente soffra perché una crisi per quanto micidiale e profonda si trasformi in una situazione rivoluzionaria. Nel 1915, a un anno dallo scoppio della guerra mondiale, analizzando il collasso della Seconda Internazionale, Lenin scriveva: «Quali sono i segni di una situazione rivoluzionaria? Non sbaglieremo se li indicheremo in questi 3 elementi: 1) l’impossibilità per le classi dominanti di mantenere immutato il loro dominio, questa o quella crisi di coloro che stanno in alto, una crisi della politica della classe dominante che crea la rottura la rottura attraverso la quale irrompe lo scontento e l’ira delle classi oppresse. Perché intervenga la rivoluzione non è sufficiente che coloro che stanno in basso non vogliano più, ma si esige che coloro che stanno in alto non possano più vivere come per l’innanzi; 2) l’acutizzarsi oltre il normale dei bisogni e delle difficoltà delle classi oppresse; 3) un aumento, in seguito alle cose ora indicate, dell’attività delle masse le quali nei momenti di tranquillità si lasciano depredare senza proteste e che nei momenti di tempesta, come in ogni situazione di crisi, sono sospinte a un proprio autonomo intervento, altrettanto quanto coloro che stanno in alto».

Mentre tutte le classi dirigenti e larghissima parte del movimento socialista dell’epoca si compiacevano nell’apologia patriottica della guerra – all’epoca il nazionalismo non si declinava come America first, ma come Dio è con noi, senza con questo modificarne la sostanza – Lenin fu tra i pochi che non solo combatté la guerra, ma lanciò anche una parola d’ordine che suonava più una petizione di principio che una prospettiva per l’azione: trasformare la guerra imperialista in guerra civile.

Lenin e i pochi che in Europa la pensavano come lui, Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht in prima fila, continuarono a denunciare le atrocità della guerra, le ipocrisie e le menzogne diffuse da tutte le parti in lotta e l’ignobile tradimento di quanti avevano proclamato per decenni «proletari di tutti i paesi unitevi!» e ora inneggiavano allo scannamento reciproco.

Lenin per primo non si faceva illusioni. Alla vigilia della rivoluzione russa di febbraio, all’inizio del 1917, esule a Zurigo, tenne una Conferenza sulla rivoluzione russa del 1905. «La rivoluzione che verrà non potrà che essere una rivoluzione proletaria, una rivoluzione proletaria e socialista nel senso stretto della parola e nei suoi contenuti» sostenne, ma avvertì: «noi della vecchia generazione forse non vivremo abbastanza per vedere le battaglie della rivoluzione in arrivo»… Meno di un mese dopo a Pietroburgo scoppiò la rivoluzione…

Mentre si dava da fare per rientrare in patria, Lenin inviava ai compagni a Pietroburgo una serie di lettere, conosciute come Le lettere da lontano. «La prima rivoluzione generata dal mondo capitalista è scoppiata. La prima rivoluzione, ma non certamente l’ultima. Ed era naturale che la crisi scoppiasse prima che altrove in Russia, dove la disorganizzazione era più spaventosa e il proletariato più rivoluzionario, non in virtù di chissà quali speciali qualità, ma a causa delle tradizioni vive del 1905. Non ci sono miracoli nella natura o nella storia… L’onnipotente regista, il grande acceleratore della storia è stata proprio la guerra mondiale imperialista…» scrisse in una di queste.

Quando arrivò in Russia, all’inizio di aprile, lo accolsero con fastidio, come fosse un pazzo anche molti bolscevichi proprio perché si sottrasse subito al «siamo tutti nella stessa barca» mentre imperversava una retorica patriottica che travolgeva i suoi stessi compagni. In quelle che furono conosciute come le Tesi di aprile scandalizzò tutti affermando che la rivoluzione non si sarebbe fermata allo stadio della democrazia parlamentare, ma sarebbe andata avanti fino a consegnare il potere a un governo di operai e contadini, ai Soviet.

E a chi tacciava i bolscevichi di estremismo – lo ricorda Trotsky nella sua Storia della rivoluzione russa – rispondeva: «il paese degli operai e dei contadini poveri, glielo assicuro cittadino, è mille volte più a sinistra di Cernov Tsereteli e cento volte più a sinistra di noi. Chi vivrà, vedrà».

A breve Lenin, gli operai e i contadini avrebbero dimostrato di saper tutto osare per dare l’assalto al cielo.

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