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Caro Nicola, qualche domanda sul Mes

di Stefano Fassina

Si stringe la morsa intorno al Presidente del Consiglio per l’accesso al “Mes sanitario”. Dopo il diplomatico invito della Cancelliera Merkel qualche giorno fa, arriva oggi il perentorio ‘avvertimento’ dal Segretario Nazionale del Partito Democratico: è pronto un favoloso piano di 10 punti per la rigenerazione e lo sviluppo del nostro Servizio Sanitario Nazionale, possibile, a gratis, da “risorse mai viste prima”, ma bloccato dai capricci ideologici del M5S. Nella narrazione dominante, da una parte ci sono gli anti-europeisti, gli “ancorati al passato” come scrive Nicola Zingaretti, finanche gli utili idioti accodati a Salvini e alla Meloni; dall’altra, ovviamente con il Pd, i progressisti, gli europeisti illuminati, gli uomini e le donne aperti a cogliere le “opportunità e le cose possibili da fare per il bene comune”.

Caro Nicola, sarebbe utile discutere nel merito, anche su Mes. Sarebbe utile provare a farlo attraverso le risposte ad alcune semplici domande.

Prima: perché nessun altro Stato accorre a ritirare il ‘regalo’ offerto dal Mes? Eppure, un significativo risparmio di spese per interessi lo maturerebbero anche Grecia, Portogallo, Spagna, Francia solo per menzionare gli Stati che avrebbero maggior convenienza.

Seconda: come ripetiamo da mesi, il problema sono le condizionalità all’accesso o la valutazione del rischio di solvibilità del debitore dopo l’accesso e le conseguenti azioni richieste per ridurre tale rischio, ossia un programma di ‘aggiustamento’ macroeconomico e strutturale, come previsto dalle normative vigenti?

Ricordo che, a fine anno, il nostro debito pubblico sarà prossimo al 170% del Pil e la valutazione di sostenibilità è oggettivamente aperta in uno scenario che rimane anemico in un’Ue zavorrata dal suo impianto di estremismo mercantilista.

Terza domanda: le norme dei vigenti trattati europei e internazionali, dal Trattato di Funzionamento dell’Ue al Mes, dal Fiscal Compact ai regolamenti attuativi del ‘Two Pack’ sono derogati dai comunicati dell’Eurogruppo o del Consiglio europeo? No, ovviamente.

La sottoscrizione dei prestiti implica l’assoggettamento a sorveglianza speciale della Commissione Ue e l’osservanza di obiettivi di finanza pubblica irraggiungibili e soffocanti per l’economia reale. Sarebbe utile aprire alla luce del sole e con determinazione un’offensiva per riscrivere alla radice le regole di politica economica dell’Ue e dell’eurozona, invece di continuare a celebrare come “svolta storica” una sospensione inevitabile del Patto di Stabilità e Crescita e del Fiscal Compact, dato che nel 2020 la media dei deficit dell’eurozona in rapporto al collassato Pil si avvicina al 10%.

Quinta e ultima domanda: il risparmio di spesa per interessi reso possibile dai finanziamenti del Mes è stato valutato in relazione all’aumento possibile del costo sul restante debito pubblico in via di rinnovo a causa della natura privilegiata del credito ottenibile dal fondo del Lussemburgo? I 400-500 milioni annui di minor spesa per interessi generata dai fondi Mes verrebbe annullata dall’aumento di 10 punti base (0,1%) del tasso sui 400-500 miliardi di Titoli di Stato in scadenza ogni anno.

In conclusione, l’accesso al Mes sanitario è una scelta inutilmente pericolosa, per tirare a campare qualche mese, di fronte all’evidente e prevista inutilizzabilità del Sure (quanta propaganda sui 100 miliardi pronti per gli ammortizzatori sociali) e i tempi lunghi, travagliati e incerti dei fantastilioni regalati dal Recovery Fund. Dobbiamo dire un chiaro no al Mes e concentrare tutto il nostro capitale politico nel sostegno alla Bce, affinché aumenti gli acquisti e sterilizzi i Titoli di Stato in mano alle banche centrali nazionali. È l’unica strada per la salvezza nostra e dell’eurozona in uno scenario di macerie economiche e sociali ancora poco riconosciuto nella sua gravità, profondità e durata.

Su un punto Nicola Zingaretti ha ragione: è ora di portare in Parlamento la discussione e la scelta sul Mes. Basta far finta che la scelta dipenda dalle note a pie di pagina dell’ultimo allegato del dodicesimo Annex del protocollo di accesso al Mes sanitario. La scelta dipende dall’analisi dello scenario economico e dagli interessi che si intende salvaguardare. Si dovrebbe anche tener conto che, restringere le basi elettorali del M5S imponendogli una scelta contro la sua natura, restringe anche l’area di consenso alla attuale maggioranza, unica alternativa al dominio del campo nazionalista.

 

Comments

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carlo rao
Wednesday, 01 July 2020 03:16
Che il MES, ed ogni altro meccanismo che eroghi prestiti contenga condizioni da rispettare, va da se, e Fassina (come peraltro la destra di Lega e post fascisti) ha buon gioco nel denunciare l’ipocrisia e la disinformazione insite nelle tesi di chi invece mostra gran fretta di aderirvi. E’ un accesso a prestiti che comporta l’ulteriore accentramento delle politiche fiscali e dunque di welfare di una nazione nelle mani della Commissione europea, della BCE e indirettamente del FMI (insomma, la “troika”). Ma, chiedo a Fassina, quale sarebbe l’alternativa, se si vuole essere realistici? Tre questioni da chiarire al riguardo:
1) col debito pubblico che si ritroverà lo Stato italiano nei prossimi mesi, MES o non MES l’Italia dovrà reperire crediti massicci sul mercato finanziario globale: pensa Fassina che i cosiddetti “investitori internazionali” pongano minori condizionalità agli Stati debitori di quelle previste dai fondi europei? E perché, di grazia?
2) in che senso per Fassina il QE della BCE sarebbe una valida alternativa ai vari MES e simili, considerato che MES, SURE e RECOVERY PLAN sono istituti inevitabilmente coordinati con e dalla BCE? E’ la BCE che ebbe (ed ha!) il potere di chiudere i bancomat in Grecia nel 2015, dunque che la banca centrale europea ponga meno condizioni del MES e simili mi pare una ingenuità.
3) non pensa Fassina che la sola alternativa a ricorrere ai prestiti internazionali per tamponare il debito pubblico sarebbe, detta in breve, una patrimoniale? È singolare che anche lui oggi nemmeno citi questa alternativa, dopo che la sinistra “riformista” ne aveva fatto un “classico” della propria ideologia. Non che sia una ipotesi politicamente realistica nelle condizioni date delle classi sociali oggi in Italia, ma spiegare perché non lo sia forse aiuterebbe a fare chiarezza sullo stato effettivo della distribuzione del reddito e delle conseguenti fortissime diseguaglianze che caratterizzano il capitalismo mondiale oggi. Non era forse la questione della redistribuzione del reddito un cavallo di battaglia dei riformisti di sinistra? Un tempo (antico!) la diatriba era tra i socialdemocratici, che intendevano agire sul livello redistributivo, e i comunisti, attestati sulla critica radicale al modo di produzione. Insomma, abbiamo perso per strada pure la socialdemocrazia dopo il comunismo! Persino Keynes è divenuto un pericoloso sovversivo...
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