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kriticaeconomica

Adults in the room: come un film racconta il vero volto degli eurocrati

di Edoardo Quercia

Nel cuore dell’Europa, dove a parole si dice di voler vincolare gli aiuti finanziari al rispetto dello Stato di diritto e si tuona – per convenienza politica più che per attaccamento ai valori – contro l’autoritarismo strisciante dell’Ungheria di Orban, c’è un caso di “censura” di cui poco si parla. Un caso che però è un buon indicatore del grado reale di democrazia quando a guidare le decisioni non è un sedicente spirito di solidarietà europeo bensì la ferrea legge dell’interesse nazionale di pochi paesi, ed in particolare quello tedesco che con il suo mercantilismo ha esportato nel resto dell’Unione depressione, stagnazione, disoccupazione e indebitamento.

Il “caso” è quello di Adults in the room, ultima fatica del regista greco Costa-Gavras, da anni in volontario esilio in Francia. Questo film è una fedele e asciutta ricostruzione dei drammatici eventi che precedettero la disfatta greca del luglio 2015 con la firma del memorandum, adattamento delle memorie di Yanis Varoufakis, all’epoca dei fatti ministro delle finanze ad Atene e vero protagonista della disperata resistenza greca ai diktat inflessibili dei creditori.

Il film, presentato fuori concorso a Venezia nel 2019, è stato oggetto di un controverso boicottaggio in terra tedesca, dove la distribuzione è stata tacitamente bloccata, ma soprattutto di una grave interferenza politica dal momento che la realizzazione dell’opera fu “caldamente sconsigliata” al regista direttamente da Klaus Regling, potentissimo direttore del MES, in un incontro avvenuto a Parigi, e da funzionari della Repubblica Federale Tedesca.

Il film, di difficile reperibilità e ostracizzato dalle sale tedesche, è un documento molto importante sull’operato delle istituzioni politiche e finanziarie europee. Per una curiosa coincidenza, mi è capitato di vederlo recentemente, proprio il giorno in cui a Bruxelles è stato raggiunto l’accordo sul Recovery Fund, dopo più di cinque giorni di trattative tra i fratelli-coltelli dell’Unione europea.

Al di là delle narrazioni edulcorate dei media italiani filogovernativi ed europeisti fino alla cecità (aneddoto curioso: Cecità di Saramago è stato proprio il regalo di compleanno fatto durante il vertice ad Angela Merkel da parte di Antonio Costa, premier socialista portoghese: l’ironia è un’arma potente), l’esito del vertice europeo è coerente con una partitura già eseguita più volte. L’Italia torna a casa con una montagna di debiti spacciati come “aiuti”e vincolati a tagli draconiani alla spesa pubblica, con il baricentro della governance spostato dalle strutture comunitarie a “gruppi di Paesi” che possono arbitrariamente bloccare i pagamenti della Commissione nel caso notassero “deviazioni dai target”, ponendo così de facto (ma praticamente anche de iure) il Paese sotto una sorveglianza ferrea.

Come nelle precedenti interpretazioni della sinfonia, gli esecutori sono stati i Paesi virtuosi del Nord (stavolta ribattezzati dalla stampa “frugali”, con evidente accento moralistico sul rigore contabile di cui si fanno portavoci), con l’Olanda campione di dumping fiscale a guidarne la carica, ma che nella realtà non è nient’altro che longa manus di un’onnipresente e onnipotente “direttore d’orchestra”, la Germania, che in questa occasione ha vestito i panni del poliziotto buono senza esporsi più di tanto.

Vedere il film di Costa-Gavras proprio negli stessi momenti in cui a Bruxelles, cinque anni dopo quella di Tsipras, si consumava un’altra resa, dunque, seppure più soft e seppure sia stata fatta passare come vittoria, italiana e finanche comunitaria, è stato un ottimo strumento critico per capire come funzionano le cose a livello europeo, tanto nei palazzi del potere quanto nelle dinamiche personali tra i vari leaders.

Adults in the room è infatti molte cose allo stesso tempo. Prima di tutto, è una testimonianza. Essendo basato sulle memorie personali di Varoufakis, il film di Costa-Gavras assume immediatamente il valore di documento storico, con un uso democratico – perché connaturato al mezzo cinematografico – dello strumento narrativo a favore di uno spettatore pensato da subito come cittadino, se greco o tedesco non importa, ma investito di una responsabilità civile bruciante proprio in quanto ormai testimone egli stesso.

Quella di Costa-Gavras per la testimonianza è una necessità etica che usa il racconto per forza di cose parziale di Varoufakis (interpretato nel film da Christos Loullis) per dare una dimensione tutta pubblica ad un pezzo della Storia recente che è stato per anni privato, sottratto alla divulgazione per una grave carenza di democrazia in seno alle istituzioni europee, Eurogruppo in primis, dove le decisioni sul piano di salvataggio della Grecia che hanno avuto un impatto terribile su milioni di vite sono avvenute a porte chiuse, in un’istituzione dai caratteri sfumati e informali che non prevede verbali né consente trasparenza.

Il film è poi una tanto personale quanto collettiva – perché collettivo è l’evento – “elaborazione del lutto”: la perdita dell’illusione di una traiettoria diversa, quella della liberazione dalle politiche di austerity, e la fine brusca dell’euforia delle moltitudini nelle piazze. Ma anche la fine di un generale senso di ritrovata appartenenza ad un’idea di sinistra alternativa a quella, ideologicamente ed elettoralmente svuotata, che complice sedeva – e tuttora siede – sugli scranni di Bruxelles al fianco di chi al paese ha imposto un dramma umanitario per il mantenimento dell’egemonia tedesca.

Tuttavia, il lutto non ha, in questo caso, solo il volto tragico della perdita, bensì anche quello amaro del tradimento, su cui Costa-Gavras insiste e che è la vera linea di demarcazione narrativa in un film che essendo smaccatamente politico non ha l’ipocrita pretesa dell’imparzialità documentaria: ci sono dei buoni e ci sono dei cattivi e il sentimento di essere stati traditi funge da collante in un pubblico di cittadini e militanti non solo greci, ma europei, intenzione confermata anche dalla presenza di un cast internazionale.

Se il tradimento c’è stato, infatti, esso si è verificato su due livelli: tanto dell’Europa verso la Grecia, quanto della Sinistra europea verso i propri popoli.

Nel racconto di Varoufakis, non a caso, spiccano il silenzio, rumorosissimo, e l’assenza di solidarietà da parte dei partiti socialisti e socialdemocratici europei dinanzi alla catastrofe umanitaria greca, fino al tradimento vile, mostrato con asciutta chiarezza nel film, dei socialisti francesi all’epoca al governo quando Varoufakis cercò appoggio a Parigi dal ministro delle Finanze Michel Sapin, che offrì alla stampa una versione completamente opposta di quello che aveva detto in privato all’omologo greco, cui aveva ipocritamente offerto un sostegno negoziale nel già deciso round finale contro la Troika, salvo poi confidargli che “la Francia non è più quella di una volta”. A quanto pare, la Sinistra nemmeno.

Ma l’aspetto forse più interessante del film è il modo in Costa-Gavras dipinge un’oligarchia burocratica sì inflessibile ma senza le tinte tragiche della ferocia, della crudeltà smaccata: persino nei momenti di più acceso conflitto, i vari Schäuble, Lagarde e Djisselbloem sembrano degli “infanti” più che dei colonnelli, dei “bambinoni” potenti ma miopi, ritratti in tutta la vanagloria degli ampollosi ruoli che ricoprono non per visione, capacità strategica o altro, ma perché, in fin dei conti, non sono nient’altro che funzionari, puppets, marionette.

Chiusi, anche fisicamente, nelle stanze asettiche di istituzioni impenetrabili – la claustrofobia strisciante è un elemento scenografico di notevole rilievo simbolico – i leaders europei ripetono i propri dogmi fino alla contraddizione tecnica, fino alla volontaria cecità nell’ignorare che le stesse misure che propongono per risanare il debito greco non faranno altro che farlo schizzare alle stelle.

La stupidità è l’elemento che risalta dopo l’infinita e futile sequela di balletti, rinvii, comunicati e vertici che Costa-Gavras inquadra con occhio disincantato e con una nemmeno troppo velata ironia, perché la tragedia c’è già stata, nella realtà del popolo greco, e la sua resa cinematografica è solo una rappresentazione, un racconto.

La storia si ripete sempre due volte, la prima come tragedia, la seconda come farsa.

Non può che essere farsesco il tono con cui il regista greco sceglie di rappresentare quel teatro dell’assurdo che è stata (ma continua ad essere) la crisi greca, anzi, europea – perché crisi dei valori e della solidarietà alla base del fu progetto comunitario. Ecco allora che la semplificazione dei personaggi, oltre che per esigenze di scrittura e comprensibilità da parte del pubblico, assume nel finale il carattere grottesco della parodia, laddove per tutto il film, invece, avevamo visto all’opera una satira sottile ma pungente sulle riconoscibili vanità dei protagonisti della vicenda, non esclusi i “buoni”, Varoufakis e Tsipras.

Nell’impossibilità storiografica (per mancanza di fonti) di riprodurre con esattezza quella notte del 12 luglio 2015 quando Tsipras capitolò firmando il memorandum e consegnando la Grecia alla Troika dopo mesi di inutili battaglie, Costa-Gavras sceglie il paradosso, l’extradiegetico, inscenando un balletto surreale e vagamente trash per “mostrarci” la seduzione fatale dell’UE sul premier ellenico, la sua narcotizzazione – e fine politica – dipinta con una regia dinamica che rappresenta nient’altro che una stasi.

Ed è nell’ineluttabilità, nell’accettazione farsesca, parodistica, che sta il nucleo originariamente tragico del film.

Come Z-L’orgia del potere fu il pesante e grottesco j’accuse di Costa-Gavras alla dittatura dei colonnelli che avevano violentato la Grecia del tempo, così Adults in the room, 50 anni più tardi, conserva intatto il valore primario di denuncia proprio del cinema politico. “Ogni riferimento a persone e accadimenti reali non è casuale; è voluto!” ci diceva Costa-Gavras in apertura di Z, e così ci dice oggi mostrandoci e chiamando per nome e cognome le marionette che hanno deciso il tracollo economico, politico, sociale e soprattutto umanitario della Grecia, perché sia pur mettendone a nudo l’inconsistente ottusità, è alla loro responsabilità che il regista è interessato sopra ogni cosa.

Perché se è vero che i valzer a vuoto dei burocrati europei ben mostrati nella pellicola rivelano istericamente la loro stupidità, è anche vero che questa stupidità è colpevole, accettata, modellata per coprire interessi particolari e profondi, sistemici e connaturati alla creazione stessa dell’euro, e che il film, in un modo forse involontario, fa emergere in quanto rimosso della narrazione ufficiale: Tsipras è sempre al telefono con una Merkel invisibile, che compare, parodiata, solamente nella scena finale, con il compito di sedurre Alexis e portarlo a firmare il memorandum.

Ecco allora che è proprio l’assenza di quegli “adults in the room” di cui si lamentava la direttrice del FMI Lagarde durante un Eurogruppo, a rivelarsi, nell’uso rovesciato e satirico del titolo, condizione di necessità per la sopravvivenza di un sistema cieco e malato. Non è un caso che questo film abbia subito una strisciante censura proprio a causa dell’establishment tedesco: la “fiction” del film accende il cortocircuito tra Storia e fantasia, e offre una versione diversa della vicenda, scomoda proprio in quanto è la “fantasia” di aver immaginato un sistema diverso ad essere stata schiacciata con l’imposizione di un’austerity mortifera e funzionale.

Chiudo quindi con una citazione da Z-L’orgia del potere, valida nella Grecia dei colonnelli come in quella della Troika:

Viviamo in un paese in cui persino la fantasia è sospetta. E invece ci vuole fantasia per risolvere i problemi di questo pianeta.

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