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comidad

Autocolonialismo delle oligarchie contro le classi subalterne

di comidad

La pubblicazione degli atti riservati del Comitato Tecnico Scientifico che ha assistito il governo nel corso dell’emergenza Covid, conferma quanto già si poteva intuire. La scelta governativa di drammatizzare l’emergenza e di imporre il lockdown generalizzato, non era imposta dalla “Scienza”, bensì dettata da altre considerazioni rimaste inconfessate. Incurante della smentita del proprio operato derivante da quegli atti ora resi pubblici, il governo imbocca la strada di una nuova stretta emergenziale.

Gli effetti economici di questa nuova stretta saranno disastrosi, poiché sarà sufficiente il timore di un nuovo lockdown generalizzato a scoraggiare la ripresa di molte attività industriali e commerciali nel prossimo settembre. L’ipotesi di un movimento a vu del PIL, cioè una rapida risalita dopo la drastica discesa, andrà a farsi benedire. Ciò che invece ne risulterà rafforzato sarà il vincolo europeo, l’eurodipendenza dell’Italia dal Recovery Fund e dal MES. Le classi dirigenti italiane non hanno esitato a sacrificare l’economia pur di assicurarsi la perpetuazione di quel vincolo esterno che consente loro di tenere in condizione di crescente sottomissione le classi subalterne.

È chiaro infatti che si sacrifica l’economia, si scopre che il PIL non è poi così sacro come ci avevano raccontato, ma non si tralascia il business riservato a pochi. Per le multinazionali del digitale il lockdown è stato un affare, poiché ha impresso una spinta decisiva alla concentrazione monopolistica del commercio ed al caporalato digitale.

Tutto ciò accade nel Sacro Occidente dei “diritti umani” e dello “Stato di Diritto”, lo stesso Occidente che non rinuncia mai a fare la morale agli altri e non rinuncia neppure ad usare questa “morale” per destabilizzare altri Paesi. Ora sta toccando anche alla Bielorussia. Quel Macron che non aveva esitato ad usare l’emergenza Covid per stroncare l’ondata di scioperi contro la sua “riforma” delle pensioni, ora lancia proclami per sostenere le manifestazioni, vere o presunte, contro il “dittatore”. L’appello di Macron all’Unione Europea contro il regime bielorusso non è soltanto un’ingerenza negli affari interni di un altro Paese, è un vero e proprio atto di guerra declinato secondo i canoni dell’ipocrisia propagandistica, che manda avanti la UE per dissimulare le mire del vero padrone dell’Europa, cioè la NATO, anch’essa con tanto di sede centrale a Bruxelles.

Il copione è quello consolidato, già visto sette anni fa in Ucraina: un’informazione unilaterale che dipinge il “dittatore” Lukashenko assediato da folle (invariabilmente “oceaniche”) che invocano la “democrazia”, con il corollario dell’isolamento internazionale e delle sanzioni economiche. L’attuale regime di Minsk non è particolarmente filorusso, anzi conduce da anni un contenzioso economico con la Russia; ma non è neppure pregiudizialmente antirusso, e ciò è sufficiente per la vicina Polonia e per la NATO per considerarlo come non affidabile.

L’elezione dell’ex attore Zelensky alla presidenza dell’Ucraina aveva segnato l’emarginazione delle formazioni neonaziste. Nel dicembre scorso Russia e Ucraina avevano addirittura avviato un processo di distensione che sembrava preludere ad una normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi. La destabilizzazione della Bielorussia ora rimette tutto in discussione e vanifica l’attività diplomatica di Putin e Zelensky. Il regime di Mosca rischia ora di ritrovarsi un altro Paese ostile ai confini e non è affatto detto che anche stavolta Putin riesca a tenere buono l’esercito; tanto più che attualmente la multinazionale russa Gazprom è in difficoltà finanziaria e non ha più i soldi per comprarsi i generali e i colonnelli, come fece nel 1991, quando liquidò l’Unione Sovietica.

Il Sacro Occidente si getta quindi in una nuova avventura della destabilizzazione e la ludica superficialità con cui la propaganda mediatica chiama l’opinione pubblica a partecipare al mobbing ed al linciaggio, rende il quadro ancora più preoccupante. In questo contesto i nostri media non hanno trovato di meglio che sgridare il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che, in un vago sussulto di cinquestellismo dei vecchi tempi, stava esitando ad imbarcare il governo italiano nell’ennesima impresa salvifica da parte dell’occidentalismo. I media hanno ammonito Di Maio dicendogli che in tal modo egli rischia di isolare l’Italia dall’Occidente, come era già accaduto nel caso del Venezuela. Alla fine perciò, dopo tante esitazioni, anche il nostro tremebondo ministro degli esteri si è allineato al coretto europeo

Per i nostri media non esistono le considerazioni di prudenza, non esistono le preoccupazioni di carattere economico e politico che consiglierebbero di non mettere la Russia con le spalle al muro. Certo, c’è la disciplina NATO che nelle occasioni belliche irreggimenta i media più di quanto già non lo siano di solito. Ma c’è anche un “richiamo della foresta” più profondo che la nostra oligarchia subisce di fronte all’Occidente, cioè a quel vincolo esterno, quell’assetto di alleanze internazionali che garantisce i rapporti di classe interni.

Anche negli anni ’90 con la destabilizzazione della Jugoslavia e nel 2011 con l’attacco alla Libia, i media italiani non considerarono il grado di integrazione economica che quei due Paesi avevano con l’Italia. I banchieri e gli industriali che possiedono i nostri media non diedero peso alle conseguenze per l’export italiano derivante dalla perdita del mercato jugoslavo; tantomeno si fecero commuovere dai danni che la caduta del regime di Gheddafi comportava per ENI, Finmeccanica e Impregilo. Il riflesso condizionato delle oligarchie non è quindi di assicurare lo sviluppo economico ma di garantirsi quel vincolo coloniale che consente loro di ricattare e sottomettere le classi subalterne. Ogni colonialismo quindi è un autocolonialismo, un modo di gettare nello scontro di classe il peso degli alleati esterni.

L’autocolonialismo italiano contribuisce peraltro al clima generale di destabilizzazione internazionale, dato che deforma l’autopercezione dei nostri “partner”. Con la loro querula deferenza verso la Merkel, i nostri governi puntellano e gonfiano il mito della potenza tedesca a dispetto di ogni dato oggettivo. Analogamente, il governo italiano sta offrendo a Paesi poco rilevanti, come ad esempio la Finlandia, un’occasione di sfrenato protagonismo, confermandoli persino nell’idea assurda di essere loro a sostenere le economie del Sud Europa.

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