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teleborsa

Dominati dal Partito oppure dal Mercato?

di Guido Salerno Aletta

Le finte democrazie del socialismo cinese e del liberismo occidentale

Non è ancora matura la riflessione su quanto è accaduto negli scorsi vent'anni, da quando la Cina è entrata a far parte del WTO.

Ci si limita infatti a considerare i limiti antidumping che tuttora vigono nei suoi confronti in quanto "non è economia di mercato". Ancora a giugno scorso, infatti, il WTO ha confermato questo status per la Cina, dopo una controversia attivata nel 2016 dalla Unione europea, che aveva chiesto di mantenere una serie di dazi all'importazione di merci dalla Cina, in quanto beneficiavano di aiuti di Stato, nonostante fosse scaduto il periodo di adattamento quindicennale che era stato stabilito all'atto dell'ingresso nel WTO.

Anche il dibattito sulla convertibilità internazionale dello yuan e sul controllo politico del cambio con le altre valute è rimasto confinato agli addetti ai lavori.

Anche la ruvida partita sui dazi alle merci cinesi iniziata dal Presidente americano Donald Trump si è fermata alla superficie: ha chiesto una maggiore apertura del mercato cinese ai servizi assicurativi e bancari delle imprese americane, la rimozione del limite del 49% al possesso di imprese in Cina da parte di partner stranieri e dell'obbligo di condividere il know-how coperto dai brevetti di proprietà del partner.

Il dibattito sul riequilibrio delle partite commerciali è stato serrato, ma ha messo in chiaro solo il fatto che il mercantilismo cinese prevaleva inizialmente sui mercati occidentali approfittando dei bassi costi salariali e di produzione per via delle normative meno stringenti in materia di protezione sociale ed ambientale.

C'è stata, a dire il vero, in Occidente, una polemica forte per via della repressione degli Uiguri, ma è apparsa strumentale.

Il tema del confronto tra la Cina e l'Occidente va posto sia in termini storici che sistematici.

La rapidità con cui la Cina si è affermata sui mercati nello scorso ventennio può essere paragonata a quella della Germania tra il 1870 e la fine del secolo. La Germania non solo approfittò della vittoria riportata nei confronti della Francia e della pingue risorsa di capitale che ricevette come compenso per i danni di guerra che aveva subito, ma procedette alla creazione di un sistema di imprese di grandi dimensioni, protette da un sistema di dazi: sviluppò una enorme capacità industriale partendo praticamente da zero, importando le tecnologie avanzate solo nella misura in cui era necessario per incorporarle e migliorarle.

I giacimenti carboniferi collinari, risorse disponibili a cielo aperto e non da scavare nelle viscere della terra, rappresentò per la Germania un vantaggio competitivo enorme rispetto all'Inghilterra in termini di minori costi di produzione. Un sistema bancario orientato al sostegno delle imprese, mediante la partecipazione al capitale necessario agli investimenti ed il finanziamento degli acquisti da parte dei terzi importatori di merci tedesche, fece ribaltare sui mercati internazionali il peso commerciale della Germania rispetto a quello che aveva avuto l'Inghilterra in tutto il periodo della prima rivoluzione industriale, e dunque fino al 1870 che rappresenta simbolicamente l'anno di svolta.

Si può dunque paragonare il rapporto instauratosi in questi ultimi venti anni tra la Cina e gli Stati Uniti alla crescita registrata a fine Ottocento dalla Germania, che si espanse soprattutto in Italia oltre che nell'Est europeo, rispetto al declino industriale dell'Inghilterra imperiale. Londra si rinserrò nel controllo economico dell'India e nel segmento dei servizi finanziari, laddove la City rappresentava la piazza di riferimento anche rispetto al fabbisogno di credito degli Usa.

Il disavanzo commerciale inglese e la sterlina di quel tempo sono assimilabili al disavanzo commerciale ed al dollaro di oggi: è Wall Street che assorbe capitali da tutto il mondo, che finanziano i disavanzi statunitensi e che muovono vorticosamente i corsi azionari delle aziende di tutto il mondo che lì si quotano, anche se come mercato secondario.

L'espansionismo tedesco a danno dell'Inghilterra, quando il primo decise di sfidarne la flotta da guerra che dominava i mari, ebbe un esito nefasto. Ecco quale è il punto di crisi tra Cina ed Usa a cui dobbiamo guardare.

La Cina attuale non ha nulla che la accomuni all'Occidente nato con le Rivoluzioni borghesi, da quella inglese di fine Seicento a quella americana ed a quella francese di fine Settecento. I principi di libertà politica e la garanzia della proprietà privata che le caratterizzarono erano il portato del prevalere della classe borghese. Così come in Europa si abbatteva il dominio della nobiltà feudale, in America si schiantava il dominio coloniale dell'Inghilterra. Non è un caso, poi, che l'Impero prussiano, nonostante le sconfitte e le scorrerie subite al tempo di Napoleone, non subì nessuna conseguenza della ventata eversiva della Rivoluzione francese.

In Cina, il Partito Comunista è l'organizzazione politica che prevale sullo Stato: la proprietà privata non è dunque il frutto di una garanzia costituzionale derivante dalla supremazia conquistata dalla borghesia, come è avvenuto in Europa e negli Usa. Lo Stato cinese è dunque uno strumento della politica, e questa è decisa dal Partito: non è una sovrastruttura della borghesia, che ha usato il liberalismo come garanzia costituzionale per mantenere la propria supremazia.

Il Mercato, nell'Occidente capitalistico e democratico, coesiste con lo Stato che ne deve rispettare la libertà di azione e di decisione. Il Liberismo predica la presenza del Mercato dovunque sia possibile e quella dello Stato solo laddove sia necessario: è la teoria dello Stato minimo.

La Cina ha uno sviluppo economico deciso a priori a livello politico, in termini di priorità, di settori e di modello di sviluppo: il Mercato e la concorrenza tra le imprese sono strumenti che si collocano solo a valle di queste decisioni politiche: il Piano decennale Made in Cina 2025 è emblematico di questo modo di procedere.

Ancor più conta in Cina la presenza dei funzionari del Partito comunista ai vertici delle imprese possedute dallo Stato, e la esistenza di organi politici nelle imprese, volti a garantire la coerenza tra le scelte gestionali e gli indirizzi politici: avere la maggioranza del capitale di una impresa non basta. E' dunque una illusione, quella americana ed occidentale, che basti avere il controllo del capitale di una impresa in Cina per fare a modo proprio. Il punto non sta dunque nella abolizione della proprietà privata, che era la prospettiva rivoluzionaria del comunismo, ma nella capacità di indirizzare l'attività dell'impresa.

Non c'è la libertà di impresa come la si intende in Occidente. Così come non c'è la libertà politica e quella di espressione delle proprie idee: chi critica le decisioni del Partito o anche la mancanza di democrazia nel dibattito al suo interno, può essere punito per slealtà e tradimento.

Ci accontentiamo, in Occidente di un dibattito sognante sulla moderna Democrazia della Rete e sulla efficienza dei Parlamenti che si conquista riducendo il numero dei Rappresentanti, senza mai riflettere sul valore delle libertà politiche e civili conquistate a duro prezzo.

Ci lasciamo dividere in segmenti sociali, in perenne lotta tra loro: generazionali, familiari, sessuali, territoriali e razziali. Mentre il Mercato domina: ci accontentiamo di mettere o togliere i dazi alla Cina.

Le finte democrazie del socialismo cinese e del liberismo occidentale

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