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sinistra

Comunismo queer

di Salvatore Bravo

Il comunismo queer1 è la costola dell’omonima teoria. In una cornice di relativismo indifferenziato, il comunismo queer si propone di abbattere il capitalismo mediante il superamento delle logiche di dominio e produzione intrinseche all’eterosessualità. Quest’ultima è automaticamente associata alla sussunzione e al dominio, poiché accentra in se stessa il modello di “normalità”, e quindi compara ogni manifestazione altra all’eterosessualità decretando la gerarchizzazione dei generi, l’esclusione e l’inclusione, ma vi è di più, l’eterosessualità come lo schema latente di Bacone, è il modello che ha fatto lievitare il capitalismo, poiché la sussunzione e la fabbricazione dei generi sono l’anima perversa dell’eterosessualità trasmessa al capitalismo. Esse hanno posto le condizioni per la germinazione del capitalismo, il quale si è sviluppato in nome della gerarchia e della sperequazione amplificando le relazioni di potere eterosessuali. La gerarchia opera un taglio tra i generi, divide e privatizza, formula parametri etici con cui valutare le differenze, distribuisce patenti normalità con il possesso autoritario delle parole.

La gerarchizzazione implica la proprietà privata, in quanto “il taglio operato”, insegna la divisione proprietaria e la logica acquisitiva e manipolativa. Il maschio eterosessuale possiede la donna, la usa, la definisce per porla in un confine invalicabile. La logica del porre il confine acquisitivo diviene la prassi ideologica entro cui orientarsi. L’eterosessualità è associata all’essenzialismo, in quanto ha stabilito il fine degli organi, in tal modo, ha determinato i limiti teleologici dei corpi, ha innalzato barriere tra il lecito e l’illecito. Per abbattere il capitalismo bisogna neutralizzare la cultura eterosessuale che ne è il fondamento, si potrebbe dire che l’eterosessualità, nell’ottica queer, è la verità/totalità del capitalismo, il punto archimedico che regge il capitale. La soluzione per realizzare il comunismo è liberare ogni forma di differenza dall’asservimento all’eterosessualità, dalla comparazione con essa produttrice di classificazione ed incasellamento in un ordine, la cui razionalità è solo potere.

 

Pregiudizi queer

In primis il “comunismo queer” svela già nel nome l’organicità alla globalizzazione anglofona. L’uso dei termini non è neutro, ma essi sono veicolo di visioni del mondo e di adesioni ideologiche. La globalizzazione ed il capitalismo assoluto non patteggiano per le identità stabili, ma sono schierati con le identità fluide, cangianti, tutto è lecito, tutto è ammesso, purché si consumi. L’identità instabile insegna la precarietà, l’individualizzazione e la frammentazione atomistica delle identità, non è affatto rivoluzionaria, non a caso trova i suoi cantori ed aedi in ogni mezzo mediatico ed accademia. La globalizzazione prolifera sull’irrilevanza delle scelte e dei progetti esistenziali: si accetta ogni differenza, la si fa emergere dal mondo mitico della marginalità, per farne prodotto da vendere nel mercato. Ogni differenza, anche la più parossistica, trova ospitalità in ogni trasmissione televisiva, è proibito manifestare argomentata contrarietà dinanzi alle scelte “più inusuali”. Si incoraggia a sperimentare, poiché, se il soggetto vive per il suo narcisistico piacere, è politicamente disimpegnato, e quindi, è innalzato a modello da imitare. Ogni appello alla comunità ed alla condivisione è interpretato come un attentato alla libertà di consumare identità. Ogni potenziale comunità è, così, resa nulla dall’attacco frontale all’affettività stabile, in quanto cela tra le sue pieghe la progettualità. Le omelie queer dagli altari atei e laicisti del nuovo clero orante innalzano il diritto all’identità multipla ed evanescente, all’intersessualità, si scoraggia ogni nucleo comunitario in nome del diritto individuale alla trasformazione. Il nichilismo senza confini e limiti diviene il fine della liberazione dai vincoli dell’eterosessualità, la metafisica è la catena da cui liberarsi per librarsi tra le identità e perdersi tra di esse.

 

Ipertrofia queer

L’umanità è al plurale, le affettività sono diversamente declinate, ma se il tutto è ridotto alla sola pulsione liberata da ogni limite e metafisica il discorso è pericoloso e distruttivo. La sessualità è polimorfa, ha aspetti anche distruttivi e sadici, la liberazione queer rischia di legittimare ogni genere di pulsione, tranne l’eterosessuale, in quanto figura del katechon, del padre che dà la misura al piacere ed al consumo. L’ipertrofia dell’io è sostenuta dalla spinta mediatica ad appoggiare la cultura queer e le sue filiazioni, dato che legittimano la globalizzazione liberale. In primis insegnano che ogni identità fluida va vissuta e non pensata concettualmente. Se ogni desiderio è legittimo, anche l’illimitato appetito indotto dal capitale ha la sua ragion d’essere: il desiderio senza confini è la struttura del capitale, l’ideale su cui il sistema si regge, è l’orizzonte di possibilità verso cui tutto si orienta e converge. Il comunismo queer è sostenuto dal femminismo radicale e dai gruppi LGBT. Le loro rivendicazioni non sono rivoluzionarie, ovunque si assiste alla trasgressione veicolata dall’economicismo. La vera trasgressione nella contemporaneità è la chiarezza dell’identità all’interno di relazioni stabili che fecondano la psiche con la creatività del pensiero e della condivisione.

 

Pregiudizio queer

Il modello eterosessuale padre di ogni male è trattato in modo preconcetto, anche in questo, niente di nuovo sotto il sole, continuamente siamo informati dei crimini eterosessuali maschili, in tal modo, si occultano gli innumerevoli crimini del capitale e le sue vittime. Il fine è distogliere l’attenzione dai crimini finanziari per demonizzare l’eterosessuale quale simbolo, del limite, della famiglia, della comunità. Non vi è comunità senza la consapevolezza del limite. La parola comunismo implica l’universale, la partecipazione collettiva delle differenze che si ritrovano nella comune essenza ed umanità. Puntare sulle differenze, sull’empirico è assai semplice, il percorso di cui necessitiamo è fondare l’universale concreto della filosofia, ovvero universale ed individuale debbono essere tra loro in tensione positiva, altrimenti ci esponiamo in nome della liberazione di ogni differenza ad un relativismo nichilistico, nel quale ogni persona vive la propria esistenza da monade globalizzata. Le differenze non possono diventare un dogma indiscutibile. Ci sono differenze legittime, ma anche patologiche che non vanno incoraggiate. La censura agisce sui dubbi, neutralizza la dialettica, poiché ogni affermazione critica sulla teoria queer è interpretata come aggressione ai diritti individuali. Il problema è come e chi stabilisce quali differenze sono legittime. La filosofia ci dona categorie interpretative eterne: la dialettica, il logos, la comunicazione interdisciplinare. Più ampio è il numero delle persone e delle istituzioni coinvolte pubblica discussione, maggiore sarà la qualità della condivisione. Nel regno del “politicamente corretto”, dell’adesione calcolata agli ideali della globalizzazione finanziaria, ciò è quasi impossibile. Si tratta di congedarsi dalle esemplificazione e dalla ricerca del facile applauso, per riportare al centro la razionalità oggettiva e confrontarsi con le innumerevoli difficoltà e contraddizioni che essa comporta, e specialmente si tratta di abbandonare i dogmi del politicamente corretto, oggi tragicamente trasversale in ogni compagine politica ed accademica. L’eterosessuale, in generale, astratto dalla condizione materiale non esiste, ma ciascuna persona è situata nel modo di produzione, taluni in posizione di privilegiati, molti altri come sudditi. L’eterosessualità quale forma assoluta del male che precede il capitalismo, secondo il comunismo queer, e rischia di sopravvivergli, sembra piuttosto un nuovo archetipo organico all’economicismo del turbo capitalismo. L’eterosessualità maschile ha assunto tante forme in tante culture, è oggi giudicata mediante uno schema unidirezionale: eterosessualità maschile è equiparata alla violenza. Nei propugnatori di tale “visione” dovrebbe emergere il dubbio, la consapevolezza che stanno ricostruendo la storia dell’oppressione mediante un pregiudizio che rende semplice e manichea la lettura della stessa. L’eterosessualità è, in tale interpretazione, espressione della proprietà privata, della chiusura all’alterità, è il vaso di Pandora da cui si originano tutti i mali, pertanto attaccandola frontalmente si pongono le premesse per la comunione dei corpi, degli spazi, si trascende ogni recinto che coincide, sempre e solo, con l’eterosessualità (maschile)2:

In questo senso, una politica queer anticapitalista in grado di aprire alla costituzione di un nuovo blocco storico potrebbe focalizzarsi sulla messa a valore delle esperienze del «comune», delle forme di affettività non privatizzate e non diadiche, delle forme di contestazione e di ridefinizione dello spazio pubblico, delle strade, delle piazze, dei luoghi di battuage, come anche degli spazi politici occupati e autogestiti, e tutto ciò al fine di sottrarre spazio all’eterosessualità. Non si tratta solo di rivendicare una maggiore visibilità. Si tratta, piuttosto, di costruire fermi punti d’appoggio contro la privatizzazione neoliberale, agendo in autonomia, ma in modi che possano entrare in risonanza e convergere puntualmente con le lotte dei migranti, ad esempio, contro il razzismo strutturale di Stato, fondato anch’esso sulla creazione di spazi d’apartheid razziale, e spalleggiato dalle forze di polizia”.

Non è chiaro il destino degli eterosessuali e di coloro che rifuggono dalla transumanza identitaria, in nome della stabilità affettiva, se saranno rieducati, e in che modo. L’eteronormatività diviene il nemico da abbattere con gran pace degli apparati finanziari, che siamo certi, appoggeranno la rivoluzione arcobaleno queer3:

Un’interpretazione gramsciana dell’eteronormatività potrebbe mostrarci come l’eterosessualità a fondamento delle società capitalistiche è uno degli aspetti del «blocco ideologico» dell’egemonia (un insieme ideologico coerente) di tali società, organico a ciò che Gramsci definisce «apparati egemonici» (la struttura materiale del blocco ideologico). L’eteronormatività, tuttavia, o l’«eterosessualizzazione», non è che uno degli elementi che partecipano organicamente del processo di formazione del blocco storico delle società del tardo-capitalismo e che vanno a costituire «l’insieme complesso, contraddittorio e discordante delle sovrastrutture”.

La liberazione delle minoranze è un valore indiscutibile, ma la sostituzione del maschile e del femminile con l’androgino indeterminato dai mille colori e sfumature, è parte dell’operazione economica e culturale di distruzione di ogni ricerca e non solo, del fondamento naturale della comunità con annessa verità. L’androgino senza natura, senza identità è il trionfo dell’artificiale, della grande manipolazione in atto finalizzata a sradicare ogni limite e resistenza all’economicismo che avanza. L’emancipazione deve avvenire all’interno di un fondazione metafisica, in caso contrario non vi può che essere la violenza dell’illimitato dipinto di arcobaleno ad avanzare ed annichilire la libertà. Senza sovranità etica non vi è libertà, ma solo il regno dell’assoluta peccaminosità4:

Il modello androgino esalta ovviamente la centralità simbolica del gay maschile e femminile, che viene imposta mediaticamente come la figura sessuale centrale e più significativa della società contemporanea. In un mondo in cui non esiste più naturalità, sostituita dall’artificialità integrale della società capitalistica, è del tutto ovvio che anche il “genere” (gender) si scelga, ed uno nasce più maschio o femmina, ma “sceglie” di diventare maschio o femmina”.


Note
1 Queer termine che indica una pluralità di differenze sessuali: gay(omosessuali), lesbiche, pansessuali, bisessuali, asessuali, transessuali, transgender e/o intersessuali.
2 Gianfranco Rebucini Verso un comunismo queer, Autonomia, disidentificazione, rivoluzione sessuale 29 Novenbre 2017
3 Ibidem
4 Costanzo Preve Una storia alternativa della filosofia Petite Plaisance Pistoia 2013 pag. 451

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