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mariogangarossa

Gli individui e gli strati sociali colpiti dalla crisi si ribellano

di Mario Gangarossa

Cosa c'è di singolare in questo loro ribellarsi?

Lo fanno con violenza.

E in che altro modo potrebbero rivoltarsi in una società in cui i rapporti sociali sono caratterizzati dalla prevaricazione del più forte (economicamente) sul più debole?

Lo fanno in maniera caotica, disordinata, irrazionale.

C'è forse qualcuno, o qualcosa, capace di mettere ordine "materialmente" nella loro "spontaneità"?

Di dirigere e indirizzare la rivolta?

Ognuno lotta a suo modo. E ogni strato sociale si ribella spinto dalla necessità e col livello di coscienza "storicamente" acquisito nel corso delle sue passate esperienze (quando queste ci sono state).

Col fardello dei propri limiti e delle proprie illusioni.

Coi propri generali alla testa e le salmerie al seguito.

La realtà funziona così.

E la piccola borghesia, gli strati intermedi, il semi proletariato disorganizzato, il diffuso sottoproletariato, quelli che per primi sentono i morsi della crisi, si comportano come si sono sempre comportati gli strati sociali di fronte alla minaccia di un brusco declassamento che per molti rasenta l'estinzione.

L'attacco alle condizioni di vita (a cui si è abituati per quanto miserabili esse siano) genera la reazione "popolare".

In quanto popolare, indistinta e confusa.

Ma questo non è un buon motivo per sputarci su.

Ne per fargli "l'esame del sangue". Esame quest'ultimo che tanti critici del "movimento reale", tutte le volte che la realtà fa a pugni coi propri desideri, farebbero bene a fare a se stessi.

Ma, oddio, strilla qualcuno. Questi lottano da "bottegai".

Ci stanno i fascisti, i camorristi, i demagoghi, i mestatori.

Forse non ve ne siete accorti, ma ci stavano già prima e svolgevano già allora egregiamente il loro mestiere.

Ma cosa vi aspettavate? Che i bottegai scendessero in piazza cantando l'Internazionale e i disperati senza risorse agitassero le rosse bandiere del socialismo?

Benvenuti nel mondo reale.

Nel disordine, nel caos. Nell'esplodere disordinato delle contraddizioni.

Nella complessità dello scontro sociale.

Dargli una direzione, un senso di marcia, è molto più complicato che metterci su il cappello o esorcizzarne gli effetti che non vi piacciono.

Comprenderne le dinamiche è molto più complesso di quanto possiate pensare.

Una "complessità" che avete sempre rifiutato ma che ora vi presenta il conto.

Ognuno lotta a suo modo.

E' un dato di fatto.

Le classi si muovono spinte dai loro bisogni elementari, dalla necessità. Non ha senso ne "soffiare sul fuoco della rivolta" ne arruolarsi fra i difensori dell'ordine pubblico.

Anche perché i "fatti" andranno per la loro strada fottendosene delle nostre analisi e dei nostri "ritardi".

Le rivolte sono un fatto, prodotte dalle condizioni oggettive.

Se si vuole svolgere un ruolo, ci si "attrezza" per adeguarci alle mutate situazioni.

Anche perché le ribellioni, gli "assalti ai forni", segneranno la cronaca degli anni a venire.

In un quadro di "ingovernabilità" dei processi che si svilupperanno "spontaneamente", almeno fin quando dallo scontro fra opposti interessi non verrà fuori quella consapevolezza soggettiva, quella coscienza, capace di trasformarle in qualcosa qualitativamente diverso.

Non sono al momento "lotte rivoluzionarie", ma non lo sono nemmeno quelle degli operai della Whirlpool o della Logistica.

Non si pongono sul terreno della guerra di classe contro il capitale.

Chi è colpito dalla crisi lotta per garantirsi le stesse condizioni di vita di prima. Lo stato di cose esistente, il meno peggio.

Sopravvivere è l'unico movente che li spinge a agire.

Che il loro diritto alla vita sia incompatibile con l'esistenza stessa del capitale è un elemento di coscienza tutto ancora da acquisire.

Ma è ovvio che, se non iniziano a difendersi, non acquisiranno nulla. Non impareranno nulla. Non riusciranno nemmeno a immaginare la possibilità di trasformare la resistenza in attacco.

La questione non è quindi discutere dei limiti e dei "pericoli" dei movimenti di protesta. Del loro ristretto orizzonte politico, della loro scarsa coscienza.

Al momento, più che le rivolte di strada sintomatiche della difficoltà crescente di governare la crisi, mi preoccupa l'assenza della classe a cui da comunista dilettante faccio riferimento.

Anche questo ha una spiegazione.

Decenni di educazione al corporativismo, alla comunanza di interessi fra capitale e lavoro, non si cancellano in poche settimane.

E fin quando ci saranno fondi per la cassa integrazione e verrà mantenuto il blocco dei licenziamenti, la classe operaia, complice la politica delle sue "avanguardie" e dei suoi sindacati, se ne starà a guardare.

Baratterà, come gli hanno insegnato a fare i suoi "dirigenti" che ne hanno formato la coscienza, la sicurezza del presente in cambio della sua esistenza futura.

Non sarà punto di riferimento per gli altri strati sociali in lotta, il che segnerà la sconfitta dei "rivoltosi" ma anche la propria sconfitta di classe.

L'ennesima occasione persa.

Su quel terreno la borghesia ha lavorato bene.

Evitare il conflitto sociale dove si produce, dove si crea la ricchezza, è la sua preoccupazione principale.

Se cede lì, cede tutto il fronte.

Ed è li che si gioca la partita.

Comments

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claudio
Monday, 02 November 2020 11:39
Alla fine del primo capocerso, dopo i giovani, le donne, gli immigrati, aggiungere: ma anche tantissimi lavoratori autonomi, nonché tantissime piccole e medie imprese, ...
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claudio
Monday, 02 November 2020 11:10
Gangarossa traccia un quadro indubbiamente reale della caotica situazione in cui ci troviamo, e come tale non ci si può certamente dare torto, ma partendo da questo caos, ritengo che si possa anche azzardare di poter tracciare qualche previsione, non proprio idilliaca, sul suo futuro, ossia nel considerarla, se continua con la confusione che l’ha caratterizzata fino ad ora, la solita bolla di sapone destinata al suo naturale esaurimento. La spontaneità, infatti, non è mai riuscita a portare ad un qualche risultato duraturo nel tempo. Cosa assai diversa se essa inizia a darsi forme di organizzazione che mettono politicamente insieme tutte le classi subordinate, dandosi concreti obbiettivo, che non possono che essere il superamento di un sistema sociale che produce soltanto incommensurabili disastri che vanno da quelli ambientali, allo sviluppo di virus sempre più letali, dalla disoccupazione di massa che colpisce soprattutto i giovani, le donne e gli immigrati, che porta alla fame e alle guerre sempre più catastrofiche.
Certo che non sono e non saranno mai "lotte rivoluzionarie" quelle degli operai della Whirlpool o della Logistica, finché saranno concepite come lotte interne al sistema capitalistico di produzione, che come si sa, è basato non soltanto sullo sfruttamento della forza-lavoro per profitto capitalistico, ma anche sulla concorrenza, sulla convenienza economica e politica di mantenere in vita un’azienda, oppure di chiuderla, di de/localizzarla, e quant’altro. Insomma, per non farla tanto lunga, o si mette in discussione il sistema capitalistico di produzione, oppure, come tante altre lotte passate, anche questa è destinata ad un misero fallimento entro un relativamente breve lasso di tempo.
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