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Cingolani e le guerre puniche

di nlp

Si vede era destino: mentre un secolo fa la cultura italiana istituzionale si dibatteva, via Croce e Gentile, sulla scienza come pseudoconcetto producendo quel pregiudizio che voleva i concetti “pratici” come qualcosa di stupido, oggi la cultura manageriale che occupa posti di governo ribalta completamente le convinzioni di allora. Per cui il sapere delle scienze umane è accettabile, e ha cittadinanza nei desideri di riforma, nel momento in cui accetta il predominio dei concetti “pratici” tra i quali il digitale che, a dar retta a ministri come Cingolani e Colao, è giusto questione di saper calcolare o avere competenze organizzative. Viene da dire: come rendere stupidi i concetti anche quando proprio non lo sono, quando oramai da decenni le teorie della complessità ci hanno fatto capire che nei tremendi livelli di caos e di ordine del sapere tanto più si alzano barriere disciplinari tanto meno si comprende e si governa l’oggetto della propria indagine o il proprio progetto educativo.

Cingolani, secondo dopo Colao (che in una conferenza stampa è uscito con una sorta di riforma del sapere specialistico non si sa bene concordata con chi), si è quindi avventurato in una idea di riforma della scuola, mettiamola sul generico, nella quale il principale accusato è ovviamente il sapere storiografico con il suo presunto indifendibile racconto sulle guerre puniche ripetuto in quattro fasi del processo educativo.

Ora, a parte il fatto che nei programmi ministeriali attuali le guerre puniche si affrontano due volte, nel percorso che va dalla primaria al diploma, viene da chiedersi a cosa, e a chi, servano le dichiarazioni di un ministro che, oltre a gestire una parte importante del budget del Pnrr, va avanti a colpi di spot.

Dal punto di vista in un governo balcanizzato come quello Draghi le dichiarazioni di Cingolani ovviamente non servono a nulla vista l’assenza di discussione pubblica con il ministero dell’educazione e con quello dell’università su questi temi. Ma, come sappiamo, le riforme politiche, di quelle fatte tra ministeri che si confrontano, sono arnesi del passato. Oggi ogni progetto di riforma è un terreno di scontro tra cordate parlamentari, trasversali e confuse, legate a lobby rissose tra loro e al loro interno. Il peggio del passato, quello che inquinava i progetti di riforma, e  del presente assieme. Queste dichiarazioni servono, probabilmente, allo stesso Cingolani per dire quello che Confindustria vuol sentir dire: togliere ulteriore spazio, e in prospettiva risorse, all’insegnamento delle scienze umane nel nostro paese. Per produrre, come da logica fine anni ’90 della riforma Berlinguer, pacchetti di specializzati che possono anche vedere evaporate le proprie competenze in pochi anni. Tanto le specializzazioni, e i ruoli, durevoli appartengono a un circuito del sapere premium, tra circuiti di relazione di alto livello e specializzazioni di ottimo profilo, impermeabili a questo genere di rischi. Insomma, Cingolani dà il proprio personale contributo al lungo processo di svuotamento del sapere pubblico prodotto in Italia proprio attaccando quello che pensa essere l’aspetto più indifendibile: il nozionismo storiografico.

Ora, non si pretende che Cingolani, pagata meteora della politica istituzionale, reciti a memoria la lezione che vuole che anche al MIT, come ripetuto in questi giorni, si insegni filosofia. Si pretende molto di più: ovvero che si comprenda che senza la percezione della profondità temporale e spaziale, senza quella della complessità e dei rovesci degli eventi la costruzione del sapere digitale, a livello di programmi educativi, sia tecnicamente difettosa e socialmente dannosa. Certo non è questione che riguarda un ministero o un governo che ripetono sempre i soliti mantra da convention aziendale di una volta oltretutto totalmente sorpassati dalle modalità di evoluzione delle convention oltreoceano.

In realtà sia Cingolani che chi ce l’ha messo (Grillo) provengono, al contrario dei proclami fatti, da una idea d’innovazione oramai decotta, formatasi negli anni ’50 e arrivata fino a noi, nella quale innovazione tecnologica e sogno si sposano entro un progressivo evolvere della società. È roba vecchia di cui questo paese non ha bisogno. Avremmo bisogno di un sistema dell’educazione formato alla complessità, capace d’invertire lo svuotamento di sapere reale presente nei percorsi formativi in grado d’intrecciare differenti piani di conoscenza, capace di affrontare i tremendi livelli di caos e di ordine presenti nel sapere contemporaneo. Avremmo bisogno di rovesciare l’attuale assetto del sapere proprio come nelle guerre puniche: passare dal dominio di uno schieramento per poi arrivare a spargere sopra il sale sulle rovine proprio sulla capitale di questo schieramento prima dominante. Giusto per parlare di guerre puniche, naturalmente.

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