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La distruzione della ragione

di Carlo Bordoni

L’Europa è attraversata da una ventata di irrazionalismo. Assistiamo al crollo delle idee illuministe che avevano forgiato un mondo, quello occidentale, aperto alla ragione e confortato dalla luce della scienza

Che cosa succede in Europa? Ma si potrebbe ugualmente chiedere che cosa succede nel mondo occidentale? Sembra sia attraversato da una ventata di irrazionalismo. La pandemia è più un’occasione che una causa, e l’aggressività, la rabbia, la violenza emergenti appaiono come il frutto di un atteggiamento sopito che attendeva solo la classica goccia che fa traboccare il vaso per manifestarsi.

Non c’è neppure una ragione politica. Qualcuno ha avanzato l’ipotesi di una recrudescenza di fascismo, fornita dai sovranismi, dall’odio razziale e dalla chiusura delle frontiere, mentre alcuni gruppi consistenti accusano gli Stati che restringono le libertà e obbligano a mostrare il green pass, applicando in tal modo uno stringente controllo di massa.

Secondo Charles Tilly c’è il timore che una volta emanate disposizioni restrittive dei diritti democratici per ragioni d’emergenza (come nel caso del Covid-19), le restrizioni rimangano attive e si trasformino in una significativa riduzione di democrazia. Quella che si definisce infatti un processo di “de-democratizzazione”.

In realtà ciò che sta accadendo in Europa ha ben poco a che fare con la politica. Semmai è qualcosa che va ben oltre o al di sopra della politica. Anzi, la politica ne raccoglie solo le conseguenze negative e si tratta piuttosto di una “anti-politica”. Si rende esplicito ciò che Zygmunt Bauman aveva intuito con largo anticipo, il divorzio tra politica e potere; tra la capacità di decidere e la possibilità di mettere in atto le decisioni prese.

Quindi al di là dell’ambito politico arrivano segnali inquietanti che possono essere spiegati solo col ricorso alla complessità di una condizione esistenziale che sta vivendo una delicata e dolorosa fase di passaggio verso un nuovo equilibrio sociale.

Non si tratta, come si può ben capire, di un ritorno al passato, a suo modo rassicurante, ma della messa in discussione dei valori del passato. In questo caso specifico assistiamo al crollo delle idee illuministe che avevano forgiato un mondo, quello occidentale, aperto alla ragione e confortato dalla luce della scienza. Sappiamo che modernità e razionalità vanno di pari passo: lo spirito moderno ha fatto del logos il suo cardine fondamentale, al punto da spingere la razionalità alle sue estreme conseguenze. Fino a rendersi controproducente e a contrastare l’umano, visto che l’essere umano non è fatto di sola ragione.

E pur vero che l’eccesso di ragione talvolta si giustifica con la perenne minaccia dell’irrazionalità. Ovvero di quell’oscurità che è sempre pronta a prendere il sopravvento, come avevano denunciato Horkheimer e Adorno nella loro Dialettica dell’Illuminismo. Dunque una ragione fragile e una irrazionalità dominante.

Se dovessimo chiedere agli psicologi il perché di questa fragilità del pensiero razionale, forse ci direbbero che l’oscurantismo è la massa grigia dell’umano, il suo fondamento, il suo essere profondo, la sua natura, a cui tende sempre a ritornare, così come si torna volentieri ai luoghi d’origine per ritrovare un senso di pace. E che, soprattutto, la ragione è una conquista. In quanto figli dell’Illuminismo siamo portati a ritenerci esseri razionali e pensanti, di godere di questo privilegio per natura e, grazie a questo dono, di differenziarci dalle altre forme viventi.

Niente di più erroneo. Non è un attributo scontato, e pertanto deve essere preservato. La ragione è un privilegio che va coltivato come una pianta preziosa.

Il declino della modernità si porta inevitabilmente dietro il declino del pensiero illuminista e, di conseguenza, dell’età della ragione. È inevitabile, perché vengono a mancare quelle solide basi sulle quali la ragione si poteva reggere o, se si preferisce, il terreno da cui trarre nutrimento.

Questa deriva viene da lontano: cinquant’anni fa la postmodernità di Jean-François Lyotard e Gianni Vattimo ha sferrato un primo colpo mortale al mondo moderno, cancellando le ideologie (una delle più significative “invenzioni” della modernità) e decostruendo le “grandi narrazioni”.

Cioè quelle costruzioni di pensiero, quelle matrici culturali alle quali la modernità aveva affidato il compito di alimentare i suoi valori. Tra questi, appunto, l’Illuminismo. In quella generale opera di decostruzione delle grandi narrazioni, a cui Jacques Derrida ha contribuito con efficacia, in quella grandiosa operazione di messa in discussione di ogni verità data per acquisita, senza alcuna riflessione critica, la ragione è stata messa a dura prova.

C’è da sospettare che le tanto bistrattate ideologie avessero un preciso compito, al di là dei dogmatismi e delle verità rivelate. Che, insomma, anche le ideologie contribuissero in qualche modo a reggere il pensiero razionale.

Dal postmoderno è iniziata la fase di disgregazione della modernità, non più attraverso il pensiero negativo di Nietzsche, né di quello reazionario e fascistizzante lungo l’asse Spengler-Guénon-Evola. Adesso, cinquant’anni dopo la postmodernità, ci troviamo di fronte a un altro decisivo passaggio che rompe con la tradizione illuminista e ci consegna a un’epoca a rischio di oscurantismo, dove la scienza è negata e disconosciuta, mentre si innalza un nuovo dio, anche se un dio minore, la tecnologia.

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