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Due parole su Galileo

di Emilio Mordini* e Maurizio Matteoli**

Galileo Galilei è ritenuto l’inventore del “metodo scientifico”. Fu lui il primo a parlare di “sensate esperienze et necessarie dimostrazioni”. In pratica il metodo scientifico deve esprimersi con teoremi, cioè le necessarie dimostrazioni, che però devono trovare riscontro nella realtà e tale verifica avviene con le “sensate esperienze”. L’idea geniale di Galileo – quella che rivoluzionò la scienza – fu che la conoscenza non potesse riguardare quelle che Aristotele chiamava “cause finali” quanto piuttosto solo le “cause efficienti”. Detto in termini semplici: Galileo era convinto che la ricerca del fine, dello scopo, di ciò che esisteva fosse compito della religione e della metafisica e non della fisica. La fisica, per Galileo si deve occupare delle cause che danno origine alla cose, non di quelle in vista di cui esse esistono. Ad esempio lo scienziato del passato si domandava “Perché esiste il sole?” e si rispondeva in molti modi: per illuminare la terra, per scaldare gli uomini, per far crescere le piante, e così via. Galileo trovava queste risposte del tutto insensate e non credeva che vi potesse essere una risposta sensata alla domanda.

L’unica risposta possibile è che il sole esiste perché prima di lui vi è stato qualcosa che lo ha generato: la scienza può investigare le cause di questo qualcosa ma non il suo significato proprio perché mentre le cause possono essere dimostrate con l’esperimento, i fini e i significati non potranno mai essere verificati. Con Galileo, quindi, nasce la scienza moderna, che non si occupa più del senso del mondo ma solo come esso funzioni.

Tuttavia, la storia di Galileo è appassionante anche da un altro punto di vista: infatti lui stesso smentì, come oggi sappiamo, il suo metodo. Una delle più clamorose dimostrazioni della teoria eliocentrica fu, infatti la scoperta dei satelliti di Giove, i cosiddetti “pianeti medicei", che Galileo previde e quindi scoprì sperimentalmente al telescopio. Gli studiosi moderni che hanno cercato di ripetere l’esperimento di Galileo nelle condizioni da lui descritte si resero presto conto che era impossibile da ripetere. Si giunse così alla conclusione che molto probabilmente il buon Galileo - assolutamente convinto della giustezza della propria teoria - finse soltanto esperimenti che non fece mai, in qualche modo contraddicendo il suo metodo (ma anche dando una sublime dimostrazione di come le regole esistano per essere infrante dalle persone geniali). Il secondo aspetto interessante e contraddittorio in Galileo lo si ritrova nella disputa sull’eliocentrismo che lo oppose al gesuita, anch’egli raffinato scienziato, Roberto Bellarmino (i due erano personalmente amici e si stimavano vicendevolmente). Non è assolutamente vero che lo scontro fosse attorno la teoria eliocentrica, teoria professata sin dall’antichità, ad esempio, dal più grande astronomo del mondo ellenistico, Alessandro di Samo, e, nell’epoca di Galileo, da Copernico apprezzatissimo studioso anche in ambito cattolico.

La disputa era molto più sottile: Bellarmino era d’accordo che il modello eliocentrico galileiano desse conto meglio di quello basato sulla centralità della terra di tutta di una serie di fenomeni e permettesse di far previsioni astronomiche più precise e eleganti; non riteneva, però, che si dovesse dire che il modello di Galileo fosse “vero” in senso assoluto: era sicuramente un strumento più utile nel predire i movimenti degli astri, ma sarebbe stato azzardato chiamarlo “vero”, perché l’unica disciplina che trattava del vero assoluto era la teologia. In realtà, oggi noi sappiamo che il modello di Galileo era in qualche modo falso, cioè era valido solo localmente ma oltre un certo termine di grandezza non funzionava, proprio come la fisica newtoniana. Galileo fa scoprire, cioè, che la scienza moderna è sempre scienza del particolare e non riesce, per sua struttura intrinseca a fare affermazioni universali. Le affermazioni che riguardano la totalità sono teologiche e filosofiche ma non scientifiche.

Questa è la ragione per cui la scienza è un’avventura senza fine, che procede attraverso errori e smentite. Galileo non fu, però portato alla sottigliezza di questi ragionamenti solo dalle difficoltà che incontrò: dovette scegliere perché fu messo ad un dato momento davanti all’alternativa se abiurare o far una brutta fine. Si sa cosa scelse Galileo, che non era uomo, probabilmente, molto coraggioso.

In molti aspetti, la avventura di Galileo si ripete oggi. Prendiamo in esame, utilizzando il metodo scientifico e classificandola come un vero e proprio esperimento, la ricerca sui vaccini.

Abbiamo riscontrato, attraverso “sensate esperienze”, che la vaccinazione è stata fondamentale nel ridurre ospedalizzazioni e mortalità nelle categorie che avevano contribuito all’incremento di questi due “fenomeni” e cioè negli anziani e nei fragili. Abbiamo altresì riscontrato che la vaccinazione non è stata utile nel ridurre il numero di contagi, intesi come positività di individui asintomatici (nella maggior parte di casi) o paucisintomatici. Le “sensate esperienze” in questo caso sono rappresentate dall’osservazione di paesi come Gibilterra, Italia, Gran Bretagna, Israele.

Le conclusioni dovrebbero a questo punto essere chiare: utilizzando il metodo scientifico si è dimostrato che la vaccinazione agisce significativamente sulla diminuzione del numero di decessi e ricoveri, ma non così bene sul numero dei contagi.

E allora perché perseverare nell’errore di credere che vaccinando l’intero genere umano (compresi coloro, i bambini sani, che rientrano in misura insignificante nella categoria che contribuisce a ricoveri e decessi) si possa raggiungere un risultato che “la scienza” ha mostrato essere irraggiungibile? Perché i fautori tout court dei vaccini hanno una visione pre-Galileiana, prescientifica, del problema: non esaminano caso per caso, con umilità le evidenze locali di un fenomeno, ma cercano di enunziare regole universali che riguardano questa malattie e le vaccinazioni nella sua totalità. Credono di essere moderni scienziati, in realtà ragionano come Don Ferrante dei Promessi Sposi.

Alla fine, la grandezza di Galileo fu riconosciuta sia dalla scienza, che ne aveva fatto un fasullo idolo anticlericale, sia dalla Chiesa, poco avvezza, ai tempi e alla pazienza richiesti dal dibattito pubblico e scientifico. La nostra epoca, come il Seicento, sembra in realtà preferire le posizioni dettate dalla certezza più che dal dubbio e dall’intelligenza.

La Scienza, invece, non ha regole immutabili, enunzia procedure per non rispettarle lei stessa per prima – se e quando necessario- e si occupa di piccole cose e variazioni locali e non di verità universali; è sempre pronta a smentirsi se necessario; non è tronfia e stupidamente sicura di sé, è dignitosa e non si vende per un pezzo di pane.

Ancora più importante, la scienza moderna, quella che nasce con Galileo, insegna che il sapere non è fredda informazione decontestualizzata ma comprensione del messaggio, del suo contesto e conseguenze.

Galileo aveva ragione avendo torto e torto pur avendo ragione: questa fu la sua vera grandezza e la lezione che può ancora insegnare anche a noi oggi.


* Psicoanalista
** Pediatra

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