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Filantrocapitalismo e politica del terrore

di Ilaria Bifarini

Ci sono predisposizioni dell’animo ambigue, in cui è difficile distinguere tra intenti dichiarati, a se stessi e al mondo esterno, e reali motivazioni all’agire, spinte pulsionali che travestono di buoni propositi la realizzazione dei desideri più biechi. In questo ambito di analisi rientra senz’altro la questione della cosiddetta filantropia, etimologicamente “amore per l’uomo”, che con la crisi pandemica e l’attuazione del piano del Grande Reset assume un ruolo di primissimo piano all’interno del nuovo discorso dominante.

Il patto siglato a Davos, e sul quale l’élite lavora da tempo, proclama la definitiva incoronazione dei magnati del capitalismo, ormai sempre più declinato nella sua versione speculativo-finanziaria e alienato dall’economia reale di produzione e consumo, a salvatori del mondo. L’umanità è fragile e in costante pericolo, come dimostra l’attuale e infinita crisi pandemica nonchè il famigerato riscaldamento di circa 1,5 gradi di temperatura in oltre un secolo e mezzo, da imputare esclusivamente all’attività antropica o, ancora meglio, del cittadino medio, irresponsabile e dissipatore.

Il nostro pianeta è stato effettivamente martoriato da un modello economico predatorio, che ha abusato di tecniche e materiali di produzione altamente inquinanti – e continua a farlo, come dimostra il consumo sconsiderato di milioni di tonnellate di mascherine e altri presidi parasanitari anti-ecologici, che stanno invadendo i nostri mari-, ha attuato urbanizzazioni e cementificazioni selvagge e generato un dissesto idrogeologico foriero di disastri. Eppure, nella logica paradossale di questi tempi, sono proprio gli stessi artefici di tale scempio a ergersi a moralizzatori e castigatori dei comportamenti e degli stili di vita dei cittadini. Coloro che hanno creato un sistema insostenibile, quello neoliberista, dove la ricchezza mondiale è accentrata nelle mani di un manipolo ristrettissimo di persone, si autoproclamano fautori di un capitalismo inclusivo e profeti di uno sviluppo sostenibile. La lotta al “cambiamento climatico” – si è deciso che sia più corretto chiamarlo così, visto che fino agli anni Settanta veniva paventato l’avvento di una nuova era glaciale – è divenuto il mantra della nuova religione, che conta già milioni, miliardi di adepti, grazie a una sapiente e capillare operazione di propaganda, che fa leva sulle paure inconsce dell’individuo.

Poco spazio, del tutto marginale, viene riservato al rispetto e alla cura dell’ambiente in sé, il focus è tutto concentrato su una questione numerica, asettica, il calcolo della temperature media di tutto il mondo, senza tener conto delle differenziazioni geografiche, della storia climatica del pianeta e delle sue variazioni. I padroni del discorso, la cui autorità è stata loro conferita dal dio denaro e i cui patrimoni sono superiori a quelli di interi Stati, hanno deciso: l’uomo non può adattarsi a mutazioni climatiche come sempre avvenuto nel passato, la temperatura deve rimanere inalterata, con una riabilitazione della hybris prometeica che caratterizza l’attuale scientismo. Come sostiene la vulgata dominante degli scienziati, gli unici autorizzati a esprimersi e discettare pubblicamente, una terribile e imminente catastrofe si abbatterà sull’umanità. Non c’è tempo da perdere, ce lo ripete Greta Thunberg, che pur non vantando studi e competenza in materia gode della simpatia dei filantropi, e lo affermano da decenni i gruppi elitocratici più influenti.

Era il 1972 quando il Club di Roma dava alle stampe il bestseller “I limiti dello sviluppo umano”, che attraverso un modello matematico simulava con un programma informatico gli scenari disastrosi cui il modello di crescita economica e demografica ci avrebbe condotto. Già allora l’accento era posto sull’urgenza e l’irreparabilità di una catastrofe che si sarebbe verificata entro il Ventunesimo secolo, nonché sull’incapacità del cittadino medio di avere una visione del mondo che andasse oltre il contingente e sulla necessità dell’élite di ergersi a guida. Da allora questo progetto, che prevede un’inversione del trend di crescita economica e demografica e l’introduzione di un cambio radicale di paradigma, non è mai stato abbandonato.

Oggi Klaus Schwab, ambasciatore del Grande Reset, spiega come il Covid rappresenti una “rara ma stretta finestra” per attuare questo mutamento copernicano e come la stessa esperienza dei vaccini indichi un esempio di partnership tra pubblico e privato da seguire. Nel nuovo “capitalismo degli stakeholder”, o capitalismo inclusivo come amano edulcorarlo, i principali attori economici sono investiti del compito di intercettare i bisogni dei cittadini e offrire la risposta alle sfide sociali e ambientali del futuro. Da squali dell’economia a benefattori del mondo, da misantropi che considerano l’uomo “un cancro per il pianeta” a causa della sua impronta ecologica a filantropi: il futuro è stato consegnato nelle loro mani e partorito dalle loro menti.

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