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Clima e letteratura: se il nostro futuro è un mondo post-apocalittico

di Guy Van Stratten

Chissà quanti dei capi di Stato riuniti a Glasgow in occasione del recente vertice sul clima svoltosi lo scorso novembre, hanno visto il disaster movie del 2004 diretto da Roland Emmerich, The Day After Tomorrow. Il film racconta gli effetti devastanti del cambiamento climatico secondo un’ottica apocalittica ma soprattutto lo racconta come un avvenimento repentino, mentre sta avvenendo. Il disastro giunge all’improvviso come lo scoppio di una bomba atomica o come un attacco alieno alla Terra, raccontato già dallo stesso Emmerich in Independence Day (1996). L’apocalisse si realizza in modo repentino, nell’arco implausibile di una mezza giornata, proprio mentre gli esperti stanno discutendo delle problematiche legate al clima: l’emisfero boreale del globo si raffredda rapidamente, per effetto dell’interruzione della Corrente del Golfo provocata dallo scioglimento dei ghiacci mentre New York e altre grandi città vengono invase dall’acqua[1]. Nonostante il suo impianto spettacolare, tuttavia il film ci offre l’inedita rappresentazione degli statunitensi come migranti climatici, in fuga dal raffreddamento del loro territorio, costretti a rifugiarsi in Messico. La drammatica situazione esistente ai confini fra Stati Uniti e Messico, in cui sono sempre più numerosi gli immigrati messicani che, a rischio della propria vita, cercano di entrare negli stati americani, viene ironicamente rovesciata.

Se il film di Emmerich rappresenta l’apocalisse come un evento improvviso e repentino, molta letteratura, per raccontare gli effetti catastrofici del cambiamento del clima, preferisce invece affrescare la vita sulla Terra una volta che si è già consumato il disastro. Rivestendo, quindi, di tonalità post-apocalittiche la vita sulla Terra del futuro, molti romanzi contemporanei mirano a scuotere le coscienze sui possibili effetti del cambiamento del clima provocato in gran parte da fattori inquinanti umani. I pattern narrativi sono sempre gli stessi: sulla Terra devastata dal disastro, in mezzo a scenari di distruzione, si muovono, come migranti post-apocalittici, alcuni superstiti che cercano un luogo dove potersi insediare e poter ricostruire la vita.

Un mondo devastato dall’innalzamento dei mari viene raccontato da Kassandra Montag in After the Flood (2019, trad. it. Mondi sommersi, 2020): nel romanzo viene narrata la peregrinazione di un gruppo di sopravvissuti, a bordo di una barca, attraverso il mare che avvolge quasi completamente la superficie del globo terrestre, in mezzo a pericoli e a insidie di ogni genere. Come altri romanzi che mettono in scena un mondo post-apocalittico, in modalità rivestite di tratti iperbolici[2], anche After the Flood mostra una vera e propria cronistoria dei disastri che, gradatamente, sono avvenuti prima della catastrofe finale. Gli eventi catastrofici si sono succeduti in due fasi, chiamate “Diluvio dei Sei Anni” e “Diluvio dei Cent’anni”. Prima del Diluvio dei Sei Anni, afferma la narratrice, la Terra era stata percossa da terremoti e tsunami, mentre gli anni in cui le coste sono scomparse coincidono col Diluvio dei Cent’anni. Dopo la catastrofe, le città e le costruzioni umane giacciono sotto il mare. In corrispondenza con gli eventi disastrosi, gradatamente, cominciano a smettere di funzionare anche l’elettricità e Internet, elementi su cui si basano le abitudini sociali e le comunicazioni nella contemporanea epoca digitalizzata.

Anche la narrativa italiana contemporanea si è cimentata nella rappresentazione di possibili scenari futuri devastati dalle mutazioni del clima e da altri disastri naturali (accelerati, se non provocati direttamente, dalla presenza umana). Estremamente interessante, in questo senso, è Bambini bonsai (2007) di Paolo Zanotti, un romanzo che riveste di un clima fiabesco e onirico lo scenario di devastazione che si trova a descrivere. La storia è ambientata in una Genova del futuro, divenuta ormai solo una piccola parte di una gigantesca megalopoli che si estende su tutta la costa ligure, caratterizzata da palazzoni di venti e trenta piani. I superstiti alla catastrofe naturale che ha causato mutamenti climatici e la scomparsa di tutti gli animali vivono in una baraccopoli allestita dove un tempo c’era il cimitero di Staglieno, attanagliati da un caldo torrido. La narrazione è affidata al racconto del protagonista, Pepe, il quale, ormai adulto in un mondo racchiuso da una serra che riproduce gli effetti del cielo sereno, ricorda gli avvenimenti della sua infanzia quando, all’inizio della stagione delle piogge, lui e altri bambini si misero in cammino intraprendendo una vera e propria migrazione, tra rifiuti di ogni tipo e l’inquietante presenza del mare, ormai super inquinato e trasformatosi in una putrida “superficie oleosa”. La dimensione post-apocalittica, come già accennato, nel romanzo di Zanotti, si stempera in un’atmosfera di fiaba e il viaggio dei bambini continua, stavolta, verso un universo magico e incantato, rivestito di connotazioni utopistiche.

Uno scenario post-apocalittico è tratteggiato anche da Qualcosa, là fuori (2016) di Bruno Arpaia. Anche qui viene rappresentata l’Italia del futuro sconvolta da inondazioni, aumento delle temperature e inaridimento del territorio. Il protagonista, un anziano professore di neuroscienze, è costretto a lasciare la sua città, Napoli, per mettersi in cammino insieme ad altri migranti climatici verso la Scandinavia, l’unica zona europea ancora abitabile. La narrazione è intercalata da numerosi flashback che, come in After the Flood, si focalizzano sui vari ‘passaggi’ che, anni prima, hanno condotto al disastro. Il personaggio ricorda gli anni della sua giovinezza, gli studi negli Stati Uniti, le numerose avvisaglie del cambiamento climatico annunciate da eventi metereologici estremi, le sue lotte, insieme a un gruppo di giovani attivisti, per denunciare la situazione in corso e, naturalmente, la cecità dei governanti di fronte a questo problema. In effetti, tutte le narrazioni di natura post-apocalittica incentrate sugli effetti catastrofici del cambiamento climatico, rilevano l’incapacità, da parte dei governanti, di impegnarsi per risolvere il problema. La problematica viene, in un certo senso, ‘antropomorfizzata’, individuando le colpe principali nelle politiche e nei modi di comportamento degli esseri umani, preda, questi ultimi, di una vera e propria “ecofobia” la quale, come ha osservato il critico Simon C. Estok, “trasforma la natura in un oggetto temibile che necessita della nostra guida, una cosa pericolosa e odiata che, se lasciata al controllo, può solo produrre dolore e tragedia”[3]. Nel rappresentare la devastazione naturale, il romanzo di Arpaia possiede anche un’ottica profondamente sociale: la migrazione verso nord degli italiani e degli altri europei, fra mille difficoltà e a rischio costante della vita, allude infatti alle migrazioni contemporanee. Gli italiani che migrano, simbolicamente, rappresentano gli attuali migranti in fuga dall’inaridimento e conseguente impoverimento dei loro paesi e da devastanti guerre civili. La narrazione allestita da Arpaia possiede comunque anche un’impronta saggistica e documentaristica, basandosi in parte su documenti scientifici: come nota l’autore in una avvertenza finale, gli scenari del libro riprendono quelli tratteggiati in diversi saggi scientifici sul clima, confrontati con i rapporti dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) e dell’European Environment Agency.

Uno scenario italiano post-apocalittico è presentato anche dal romanzo Pietra nera (2019) di Alessandro Bertante, srotolato però in una dimensione più avventurosa. Il protagonista, Alessio Slaviero, deve compiere un lungo viaggio dal suo paese di montagna fino al mare. Si troverà ad attraversare la “grande pianura” al cui centro si trova una “grande città” che altro non sono che la Pianura Padana e Milano. Le devastazioni affrescate da Bertante segnano comunque una riappropriazione del territorio da parte della natura, anche se sono ancora evidenti gli effetti inquinanti dello sconvolgimento avvenuto: fra gli edifici e le carcasse di automobili di cui è disseminata Milano, l’erba, le piante e gli alberi hanno ormai ripreso il sopravvento avvolgendo ogni cosa. La civiltà umana, come spesso avviene in questo tipo di narrazioni, è invece segnata da un imbarbarimento diffuso: le strade sono piene di bande di feroci predoni mentre alcuni sopravvissuti, muniti di arco e frecce, hanno trovato rifugio presso il Castello Sforzesco, il quale ha riacquistato la sua originaria funzione di baluardo difensivo.

Infine, si può ricordare il romanzo, costituito da una raccolta di racconti, dal titolo Quando qui sarà tornato il mare. Storie dal clima che ci attende (2020), realizzato dal collettivo Moira Dal Sito e curato da Wu Ming 1. La narrazione si concentra adesso sul territorio del basso ferrarese e ce lo presenta come sarà nel 2070 o giù di lì, ormai completamente allagato, disseminato di villaggi costruiti su palafitte dove vigono l’abbrutimento e la violenza (ma anche una solida auto-organizzazione comunitaria) come in uno scenario distopico che si rispetti. Le storie sono tutte intrecciate fra di loro e, secondo il profondo carattere militante che sta alla base dell’esperimento, intendono denunciare la scarsa attenzione al clima da parte dei governanti e di buona parte della società. Come i precedenti romanzi analizzati, anche l’esperimento letterario (molto ben riuscito) realizzato dal collettivo, riunitosi nella biblioteca “Mario Soldati” (il cui anagramma va a formare il nome “Moira Dal Sito”) di Ostellato, in provincia di Ferrara, sceglie un territorio e decide di mostrarlo come sarà nel futuro, se oggi non si correrà immediatamente ai ripari. L’urgenza della situazione è infatti una caratteristica che tutte le narrazioni analizzate pongono in campo. Se la pandemia da Sars-Cov 2 è, in qualche modo, legata al mutamento del clima e alle cattive interazioni fra uomo e ecosistema, l’emergenza che essa ha portato con sé, come nota Wu Ming 1, ha fatto fare numerosi passi indietro a movimenti come Fridays for Future o Extinction Rebellion.

Come abbiamo visto, la letteratura, tramite la sua forte capacità di rappresentazione simbolica, riveste un ruolo di primo piano nella lotta, incentrata sulle problematiche del cambiamento climatico, per salvaguardare la vita sulla Terra. La letteratura (e anche il cinema) è capace di liberare un immaginario creativo che può andare anche e ben oltre l’immaginario stesso innestando varie dinamiche di resistenza. E, probabilmente, parlando ‘dal basso’ a tutti noi, può fare molto di più di un gruppo di politici e capi di Stato che discutono e discutono nelle loro austere stanze del potere e nei loro convegni blindati.


Note
[1] Cfr. M. Malvestio, Raccontare la fine del mondo. Fantascienza e Antropocene, Nottetempo, Milano, 2021, p. 105: “L’altro elemento profondamente implausibile è la velocità con cui tutto si svolge: per rispettare le consuetudini del genere a cui appartiene e conservare un ritmo più incalzante possibile, The Day After Tomorrow è costretto a rappresentare il cambiamento climatico come qualcosa i cui effetti si manifestano nell’arco di mezza giornata, e non su vari secoli, finendo per risultare non troppo diverso, per esempio, dall’invasione aliena di Independence Day (1996), diretto dallo stesso Emmerich”.
[2] Cfr. ivi, p. 98: “Eppure la metafora apocalittica è spesso una componente necessaria del discorso ambientalista, perché è quella più in grado di impressionare il pubblico e i governi; benché sia, allo stesso tempo, inevitabilmente inadatta a una rappresentazione fedele del cambiamento climatico”.
[3] Ivi, p. 101.
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