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Che senso ha pagare interessi sul debito pubblico?

di Marco Cattaneo

La banca centrale, o più precisamente l’istituto di emissione (che non ha nessun bisogno di essere una banca: la sua funzione potrebbe benissimo essere svolta da un dipartimento del ministero dell’economia) può fissare a suo piacimento i tassi d’interesse sul debito pubblico. Lo può fare perché è in grado di creare moneta, e di comunicare al mercato che si impegna ad acquistare i titoli in circolazione a un determinato prezzo. Impegno credibile per un soggetto emittente della moneta in cui sono denominati i titoli.

E in effetti non è neanche indispensabile che lo Stato emetta titoli. Se controlla l’istituto di emissione, può spendere moneta di nuova creazione. In tal modo, crea risparmio privato: la moneta emessa con la spesa pubblica rimane nel sistema economico.

L’offerta di titoli di debito pubblico non è, quindi, necessaria per finanziare lo Stato. Svolge invece un’altra funzione: offrire ai privati una forma di impiego a basso rischio del risparmio che si è generato, appunto, tramite la spesa pubblica netta (cioè per effetto dei deficit pubblici).

Che senso ha, quindi, pagare interessi sul debito pubblico ?

Ci sono due finalità. La prima è, appunto, garantire ai risparmiatori privati un minimo di rendimento sul proprio risparmio. Un titolo a breve scadenza (o anche un deposito in conto corrente presso il ministero dell’economia) potrebbe ad esempio offrire un rendimento pari al tasso d’inflazione corrente, in modo da garantire la stabilità del potere d’acquisto del risparmio.

La seconda è fissare un tasso soglia di rendimento. Soglia nel senso che questo tasso dovrà, come minimo essere garantito dal sistema bancario al risparmiatore. E sarà anche il tasso minimo richiesto dagli istituti di credito a chi prende a prestito.

Perché questo ? perché non ha senso lasciare depositi in banca a tassi inferiori a quelli a cui è possibile comprare titoli di Stato a breve termine (o depositare presso l’istituto di emissione). Né ha senso, per una banca, erogare credito a un tasso inferiore a quello garantito dall’acquisto di titoli di Stato.

Pagare interessi sul debito pubblico ha quindi almeno due finalità, senz’altro legittime. Il punto da aver chiaro, tuttavia, è che uno Stato che emette la propria moneta NON ha un vincolo di mercato che impone di contenere la spesa, il deficit, il debito “perché altrimenti gli investitori ci penalizzano chiedendo maggiori interessi”. Il tasso d’interesse è una scelta di POLITICA ECONOMICA. Politicamente, si decide che quota di spesa pubblica destinare a remunerazione del risparmio. Politicamente, si decide come intervenire, rendendola più o meno oneroso, sull’erogazione di credito privato.

Tutti gli articoli che leggete sui giornaloni paludati, che praticamente ogni giorno lanciano strali e ammonimenti sui rischi derivanti dai tassi d’interesse che “non potranno rimanere così bassi all’infinito”, e che “potrebbero schizzare se l’indisciplina prendesse piede nella gestione della finanza pubblica” nascono SOLO da un assetto economico-monetario disfunzionale. Dal fatto che l’Italia usa una moneta straniera.

Emettendo la propria moneta, non si è soggetti a vincoli di finanza pubblica. Emettendo la propria moneta, ci sono limiti all’espansione monetaria e al sostegno al potere d’acquisto della collettività, ma sono dati dall’inflazione, non dai mercati finanziari.

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