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Assange, il funerale della democrazia

di Michele Paris

La notizia, resa nota nel fine settimana, dell’episodio ischemico sofferto da Julian Assange durante un’udienza lo scorso mese di ottobre ha ingigantito il senso di disgusto provocato dalla vergognosa sentenza, pronunciata venerdì dall’Alta Corte britannica, con cui è stato dato il via libera all’estradizione negli Stati Uniti del fondatore di WikiLeaks. Contro l’appello del governo di Washington vi era semplicemente una montagna di elementi che un tribunale anche solo passabilmente democratico avrebbe preso in considerazione. Al contrario, la farsa giudiziaria della persecuzione di Assange si è avviata verso l’epilogo peggiore per fare della sua vicenda un esempio in grado di scoraggiare qualsiasi futura rivelazione dei crimini dell’imperialismo americano.

A raccontare del grave problema di salute avuto da Assange è stata la compagna, Stella Moris, in un’intervista al quotidiano Daily Mail. Il giornalista australiano era stato vittima di quello che i medici hanno descritto come una “mini ischemia” o “attacco ischemico transitorio” mentre assisteva in video-conferenza al dibattimento per la sua estradizione il 26 ottobre scorso. Alcuni di coloro che avevano assistito alle udienze in quel periodo hanno raccontato in effetti di un Assange visibilmente sofferente e che faticava anche solo a rimanere cosciente o seduto sulla propria sedia.

Le visite a cui era stato sottoposto dopo l’attacco avevano evidenziato segni di “danni neurologici”. Stella Moris ha spiegato al Daily Mail che quanto accaduto è la diretta e inevitabile conseguenza degli insostenibili livelli di stress a cui Assange viene sottoposto da ormai un decennio, soprattutto dopo i quasi tre anni di detenzione nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh seguiti all’arresto illegale nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra nell’aprile del 2019.

Il deterioramento delle condizioni di salute di Assange è documentato da tempo, essendo anche oggetto di ripetute critiche e appelli al governo britannico da parte di organizzazioni umanitarie, di medici da ogni parte del pianeta e dalle stesse Nazioni Unite. Nonostante questa mobilitazione, Londra, di concerto con Washington, continua a impiegare metodi di tortura contro Assange per piegarne la resistenza e, di fatto, provocarne il decesso come vendetta per il suo lavoro al servizio del giornalismo e della verità.

Secondo il medico americano Bill Hogan, membro del gruppo internazionale Doctors4Assange, l’episodio ischemico sofferto a ottobre da Assange è molto raro per un cinquantenne ed esiste perciò “una diretta catena di eventi psicologici” che lo hanno determinato. L’evento, ha spiegato Hogan, era “del tutto prevedibile ed evitabile”, ma gli USA e il Regno Unito “hanno ignorato gli allarmi”, così che entrambi i governi sono “responsabili” delle condizioni di Assange e ciò conferma ulteriormente “come il loro obiettivo sia quello di assassinare” il fondatore di WikiLeaks.

Per la compagna, i famigliari e i sostenitori di Assange il timore è che la “mini-ischemia” di fine ottobre rappresenti un preavviso di un attacco più grave. Il relatore speciale sulle torture dell’ONU, Nils Melzer, ha a sua volta avvertito che le condizioni di salute di Assange rischiano di entrare in una “spirale di peggioramento che mette in pericolo la sua stessa vita”. Come lo stesso Melzer aveva già evidenziato in un durissimo rapporto sulle sue condizioni, l’unica soluzione è la fine “delle pressioni, dell’isolamento e della persecuzione” a cui Assange viene sottoposto. Sempre a proposito di quanto successo a fine ottobre, Melzer si è chiesto come sia possibile che si possa discutere della legittimità dell’estradizione e di un processo-farsa negli USA se lo stato di salute di Assange “non gli consentiva nemmeno di presenziare al suo processo in video-conferenza”.

La più recente rivelazione di Stella Moris sulle condizioni di Assange costituisce un ulteriore elemento a conferma del fatto che il dibattimento per l’estradizione negli Stati Uniti non è stato altro che un procedimento persecutorio e anti-democratico, messo in piedi per ratificare una decisione già presa a Washington e a Londra. Basti pensare, a proposito della serissima situazione del numero uno di WikiLeaks, che l’attacco ischemico è avvenuto mentre in aula i legali del governo americano cercavano di screditare le testimonianze dei medici della difesa per dimostrare che i rischi per la salute e la stessa vita di Assange in caso di estradizione sarebbero stati inesistenti o tutt’al più trascurabili.

Per quanto riguarda il verdetto emesso venerdì scorso, la questione verteva sul ricorso presentato dal dipartimento di Giustizia USA contro la sentenza di gennaio della giudice distrettuale, Vanessa Baraitser, con la quale aveva respinto la richiesta di estradizione per Assange. Quella sentenza aveva in sostanza accolto la tesi di Washington, cioè che un giornalista può essere processato per avere rivelato documenti governativi riservati, ma aveva negato il trasferimento negli Stati Uniti a causa del pericolo concreto per la salute dell’imputato e, soprattutto, per il rischio di suicidio in caso di detenzione in un carcere americano.

L’Alta Corte britannica ha confermato le conclusioni del tribunale distrettuale circa le precarie condizioni mentali di Assange, ma ha accettato le rassicurazioni del governo americano sullo stato detentivo che verrà applicato a quest’ultimo una volta estradato negli USA. Washington aveva promesso che Assange non sarebbe stato messo in isolamento né rinchiuso in un carcere di massima sicurezza, visto che queste condizioni non sarebbero compatibili con il quadro sanitario del giornalista australiano.

Su queste basi, i giudici hanno deciso di consegnare Assange nelle mani di un governo che, come è stato dimostrato ampiamente e con prove indiscutibili anche nelle recenti settimane, ha fatto di tutto per provare a rapirlo e assassinarlo, per non parlare delle clamorose violazioni dei suoi diritti democratici, prima fra tutte il regime di sorveglianza ultra-pervasiva implementato segretamente durante la permanenza forzata nella sede diplomatica ecuadoriana di Londra.

Le garanzie americane sono dunque carta straccia e, come sanno perfettamente i giudici e il governo britannico, verranno rimangiate nel momento stesso in cui Assange metterà piede sul territorio degli Stati Uniti per affrontare un processo che potrebbe costargli una pena fino a175 anni di carcere. L’impegno americano nei confronti di Assange è ad esempio vincolato all’eventualità che quest’ultimo, “in futuro”, non commetta una qualsiasi azione che comporti l’imposizione di un regime speciale di detenzione, ovvero delle cosiddette “misure amministrative speciali” (SAM).

Un’altra finta promessa è la possibilità che Assange sconti un’eventuale condanna in un carcere nel suo paese d’origine, l’Australia. Anche in questo caso le rassicurazioni americane valgono zero, dal momento che il governo australiano dovrebbe manifestare la sua disponibilità ad accettare Assange, ma il rafforzamento in funzione anti-cinese delle relazioni strategiche tra i due paesi alleati nell’ultimo periodo fanno di Canberra in pratica una colonia di Washington e non ci si può quindi aspettare nessuna decisione indipendente su una questione così importante per gli USA.

In molti hanno citato in questi giorni il caso del detenuto spagnolo David Mendoza Herrarte per avvertire dei pericoli che attendono Assange una volta in mano alla giustizia americana. Quest’ultimo era stato estradato nel 2009 negli Stati Uniti per traffico di droga in seguito a un accordo che prevedeva una serie di “garanzie” offerte dagli USA. Tra di esse vi era appunto la possibilità di scontare la pena in Spagna, ma ciò che Washington avrebbe poi permesso fu soltanto la facoltà di Mendoza di presentare una richiesta di trasferimento in territorio iberico. Questa e altre promesse sono state puntualmente disattese dagli Stati Uniti e al condannato è stato alla fine concesso di tornare in Spagna nel 2015 solo dopo una campagna di mobilitazione e in seguito alla minaccia da parte di Madrid di sospendere il trattato di estradizione con Washington.

A livello generale, l’Alta Corte britannica ha agito da strumento politico per attribuire una facciata (pseudo-)legale alla persecuzione contro Assange dei governi di Londra e Washington, offrendo uno scandaloso verdetto che si risolverà molto probabilmente nella detenzione a vita o, più probabilmente, nella morte di un giornalista, con metodi degni di un regime dittatoriale. Questa nuova fase della vicenda Assange segna anche un nuovo passo verso il baratro per la “democrazia” in Occidente, i cui governi, come ha spiegato il direttore della testata on-line Consortium News, Joe Lauria, esigono che i propri giornalisti appoggino esclusivamente la linea dettata dalle esigenze della “sicurezza nazionale”. Assange, invece, “ha fatto esattamente il contrario”, ha cioè “adempiuto in pieno al compito del giornalista”, e per questo “finirà per pagare con la propria vita”.

In maniera grottesca, il verdetto dell’Alta Corte di Londra è arrivato in concomitanza con la celebrazione da parte dell’ONU della giornata mondiale dei Diritti Umani, ma anche con il ridicolo summit per la Democrazia promosso dall’amministrazione Biden, al quale hanno partecipato anche dittatori sanguinari. Proprio durante quest’ultimo evento è stato lanciato un progetto orwelliano per la difesa dei giornalisti “a rischio”, completo di un fondo di qualche milione di dollari, da utilizzare, in fin dei conti, a garanzia che chiunque svolga questo mestiere assecondi la linea dettata da Washington e di Washington e dei suoi alleati promuova gli interessi strategici.

In definitiva, il fatto che l’enorme mole di prove a discarico di Julian Assange sia stata completamente ignorata dimostra, in primo luogo, che il sistema giudiziario in quella che è considerata la “culla” dello stato di diritto occidentale non è altro che uno strumento di un sistema avviato verso una chiarissima deriva autoritaria, evidente peraltro in numerosi altri ambiti. Inoltre, il verdetto di venerdì scorso conferma che l’importanza di Assange per il governo americano è tale da calpestare ogni norma democratica. Sia per mettere in atto una vendetta esemplare contro colui che più di ogni altro ha mostrato al mondo la violenza e l’illegalità che guidano le azioni degli Stati Uniti sia per impedire nuovi casi Assange che minaccino di ostacolare le politiche imperialiste proiettate su scala globale. Questo obiettivo è talmente cruciale che, per conseguirlo, gli USA e i loro alleati sono disposti a liquidare anche formalmente i principi democratici più basilari.

Le implicazioni per la libertà di stampa e, di riflesso, per la democrazia in generale dell’estradizione di Assange sono difficili da sopravvalutare e tutti gli effetti del provvedimento che diventerà probabilmente esecutivo nel prossimo futuro si inizieranno a vedere una volta che il fondatore di WikiLeaks arriverà negli Stati Uniti. Nella sostanziale indifferenza del governo del suo paese, nonché dei politici di opposizione in Gran Bretagna e della stampa ufficiale, le ultime carte che la difesa potrà giocarsi risiedono nella Corte Suprema del Regno Unito e nella Corte Europea per i Diritti dell’Uomo. Visti gli interessi a cui anche queste ultime istituzioni rispondono, nonché il grado di deterioramento della “democrazia” occidentale, senza una massiccia mobilitazione dal basso a favore di Assange non ci sono ragioni per attendersi, nei prossimi mesi, un esito diverso da quello a cui si è assistito lo scorso fine settimana.

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