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Inflazione o deflazione? Domande serie per l’Italia del 2022

di nlp

Il tasso di inflazione tendenziale negli Stati Uniti è arrivato a novembre al 6,8%, mentre la crescita dei prezzi ha sfiorato il cinque per cento attestandosi al 4,9%. Se i dati più recenti non attirano l’attenzione della politica italiana allora basta aggiungere che si tratta dei nuovi massimi rispettivamente da 40 e 30 anni a oggi. Su questi temi il dibattito economico e politico, globale non solo americano, si è da tempo attestato sulla questione se questo genere di tassi di inflazione rappresenti un fatto transitorio o meno. Si tratta di una questione strutturalmente seria così, dal punto di vista politico, diventa essenziale capire quali sono le alternative in campo nel caso prevalesse, a livello globale, uno scenario inflattivo o uno deflattivo. Certo, negli ultimi anni, anche dopo la grande iniezione di liquidità da parte delle più importanti banche centrali per risolvere una serie impressionante di crisi (da Lehman, al debito sovrano europeo, alla bassa crescita) l’inflazione è rimasta bassa, persino sotto l’obiettivo delle banche centrali, assieme alla crescita e, questione non da poco, all’aumento esponenziale del debito globale.

La discussione quindi è tutta sul significato della ripresa post covid: se si tratta di qualcosa di permanente magari accompagnato da un forte ritorno dell’inflazione, con effetto sul costo della vita oltre che sul taglio del debito, oppure se fenomeno transitorio destinato a essere assorbito nelle tendenze deflazionistiche di questi ultimi anni. Le conseguenze sociali, di uno scenario piuttosto che un altro, ci sono tutte ed è meglio quindi delinearle. Restringiamo quindi il campo di osservazione all’Italia e vediamo quali possono essere le conseguenze di una ripresa non transitoria e aggressiva dell’inflazione:

1) un aumento dei tassi di interesse della BCE, per non far fuggire capitali, con conseguente fine dell’attuale politica di acquisto dei bond dei singoli paesi dell’Unione. In automatico l’aumento dello spread si farebbe vedere, e sul serio, nonostante Draghi perché il vero compratore forte dei titoli italiani è la Bce

2) un aumento del debito pubblico, e quindi un taglio della spesa sociale, legato non solo all’aumento dei tassi di interesse ma anche al rallentamento della “crescita” dovuta a questo scenario. Insomma a un tasso sostenuto, e permamente, di inflazione, non a una semplice fiammata, corrisponderebbe, se guardiamo agli immediati interessi politici e sociali, una depressione del potere di acquisto e un aumento del debito pubblico pagato direttamente in tagli dei servizi.

Va anche considerato che sostenitori del rischio dello scenario deflattivo partono da considerazioni simili a quelle dei sostenitori del rischio inflattivo: in entrambi il rapporto caotico tra debito e “crescita” genera enormi squilibri economici e sociali. Solo che, da considerazioni simili, si tirano conclusioni differenti ovvero, dal punto di vista degli analisti della deflazione, che il debito non solo, in definitiva, non finisce per stimolare la crescita ma che questo, assieme all’intervento delle banche centrali, genera la classica trappola della liquidità (i soldi ci sono ma non circolano nell’economia) fatta di bassa inflazione e di deflazione. Ora, l’Italia non è certo immune, né potrebbe esserlo visto che è nell’eurozona, alla bassa inflazione ma, recentemente, è anche entrata in deflazione due volte a distanza di pochi anni (2016 e 2020) quando la volta precedente risaliva agli anni ’50, segno che lo scenario deflattivo ha preso confidenza con il nostro paese. Lo scenario deflattivo oltretutto è compatibile con due fenomeni ben presenti in Italia: alto debito e alto tasso di invecchiamento della popolazione.

Quali sono le dinamiche che investono un paese quando arriva la deflazione?

  • diminuzione del prezzo di beni e servizi per rincorrere la crisi del potere di acquisto
  • diminuzione della liquidità a disposizione di chi abbassa prezzi
  • conseguente scenario di licenziamenti o serio abbassamento del costo del lavoro per sostenere la diminuzione di prezzi e servizi e la minore disponibilità di liquidità. Come si vede, una dinamica di distruzione delle forze produttive, e di deflazione tecnologica per rimpiazzare la forza lavoro, di forte impatto per ogni paese e particolarmente per il nostro nel quale già crescono regolarmente gli inattivi (coloro che, semplicemente, non partecipano al mercato del lavoro).

C’è qui un aspetto da non trascurare: se prevalesse uno scenario inflazionistico o uno deflazionistico l’attacco sarebbe comunque, anche se da angolature diverse, al salario e al potere d’acquisto mentre differente sarebbe la risposta di politica monetaria e, di qui, differenti, a seconda di cosa prevale, dovrebbero essere le risposte politiche al fenomeno prevalente.

Visti questi orizzonti, sarà molto importante capire, nel corso del 2022, se prevarrà lo scenario deflattivo o quello inflattivo, visto che dalla prevalenza dell’uno o dell’altro discendono effetti, politiche economiche e impatto sociale. Anche il Pnrr, in questi scenari, non è un oggetto neutro visto che, a seconda di come viene implementato, può entrare in una dimensione di trappola della liquidità o in uno di regole troppo stringenti per combattere l’inflazione. Va anche considerato che sia uno scenario di inflazione alta che uno di deflazione possono rendere possibile, per motivi diversi, quella volatilità finanziaria nelle borse che è la condizione grazie alla quale i “mercati” aggrediscono gli stati per estrarre risorse dai beni pubblici. Certo, magari si tratta solo di allarmi e il 2022 si rivela, alla fine, uno scenario di transizione. Magari uno che prelude a un nuovo scenario da grande moderazione globale – bassa inflazione, crescita sostenuta e governance riconosciuta delle banche centrali. Però ricordiamo che anche la grande moderazione (l’effetto globale delle politiche delle banche centrali durato a inizio anni ’80 a Lehman Brothers ) ha visto il grande crollo di Wall Street del 1987, l’attacco alla lira del ’92, che ha abbassato il tenore di vita degli italiani per oltre una generazione, la crisi del ’97-’98 e, infine proprio Lehman Brothers

Economia, politica monetaria e finanza nascondono quindi talmente tanti demoni nei dettagli e nel lessico (inflazione, deflazione, transizione etc) che sia la politica che la politica sindacale sono costrette a riparametrarsi per sopravvivere. Bob Marley diceva di non essere interessato alla politica perché “affare del demonio”: con tutto il rispetto per il grande Bob, è nel momento in cui la politica comprende le dimensioni del demonio che ha davanti che le cose possono cominciare a cambiare.

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