Print Friendly, PDF & Email

operaieteoria

Il documentario grida vendetta

di Franco Rossi e Andrea Vitale

È meglio dirlo subito, il lungo documentario su Sergio Marchionne, andato in onda in prima serata venerdì 17 dicembre su RAI3, grida vendetta. Sia chiaro, qui non si vuole entrare nel merito del giudizio, che nella trasmissione emerge, sull’uomo Marchionne, e non perché il nostro non sia ben diverso, anzi! Per noi è stato un nemico dichiarato degli operai, che, per la tenacia con cui, servendo gli interessi degli azionisti, ha perseguito l’obiettivo di raggiungere la massima sottomissione possibile degli operai, non merita neanche da morto l’onore delle armi. La verità è che a noi un giudizio sulle persone non interessa. Se scegliessimo questo piano di confronto, pur avendo motivi solidissimi per farlo, cadremmo nella trappola di scegliere fra il padrone buono e quello cattivo, come quando negli anni ’60 si contrapponeva alla figura di Vittorio Valletta, quello dei reparti confino e dei licenziamenti politici per gli operai combattivi, la figura dell’imprenditore “illuminato” Adriano Olivetti, senza comprendere che la comune preoccupazione di entrambi era di ottenere il massimo profitto e che le diverse modalità di approccio con gli operai fra i due erano determinate dalle diverse condizioni in cui questo obiettivo era per loro conseguibile. Ci pensò lo sviluppo impetuoso delle lotte operaie alla fine degli anni ’60 a spazzare via questo tipo di illusione.

Il giudizio sull’uomo Marchionne non ci riguarda allora perché sappiamo benissimo che le persone, in quanto inserite in un meccanismo sociale che li domina e li sovrasta, esprimono determinati interessi di classe, impersonano determinati ruoli (Marx qui usa il termine Charaktermaske) prestabiliti dal modo di produzione stesso. Per Marx “le maschere economiche caratteristiche delle persone sono soltanto le personificazioni di quei rapporti economici, come depositari dei quali esse si trovano l’una di fronte all’altra” e lui stesso precisa che “Meno di qualunque altro il mio punto di vista, che concepisce lo sviluppo della struttura economica della società come un processo di storia naturale, rende l’individuo responsabile di condizioni delle quali egli resta socialmente il prodotto, per quanto possa, soggettivamente, elevarsi al di sopra di esse”. Cos’altro avrebbe potuto fare Marchionne, amministratore delegato della Fiat, se non servire al meglio possibile gli interessi degli azionisti che l’avevano nominato? Quel che importa ai borghesi e ai loro prezzolati giornalisti è appunto che l’abbia fatto in maniera egregia, mentre se ne infischiano dei costi enormi toccati in cambio agli operai.

Parlare della generosità di Marchionne, della sua cordialità, della sua intelligenza, della sua astuzia, del suo coraggio, come per oltre un’ora hanno fatto tanti illustri laudatores, come Riotta, Calabresi, Gramellini, ma anche Renzi, Bentivogli, ecc., serve a distogliere l’attenzione dagli effetti economici e sociali della sua gestione, serve a nascondere l’enorme contrasto fra quanto hanno guadagnato con lui gli azionisti e quanto hanno perso invece gli operai. Ecco perché il documentario grida vendetta, non perché abbia elogiato chi per noi non è comunque meritevole di alcuna lode, ma per aver, attraverso questa agiografia del “condottiero” Marchionne, tentato di rappresentare i rapporti sociali di sfruttamento del lavoro coatto degli operai, sfruttamento di cui Marchionne è stato l’agente perfetto, in tutt’altra maniera. Le vicende dell’ultimo decennio vengono dipinte come le eroiche gesta di un uomo eccezionale che è riuscito a condurre la “sua” azienda ed i “suoi” dipendenti oltre il baratro del fallimento. L’unica contrapposizione che viene posta, anche nei passaggi dove si intravede timidamente una critica al personaggio, è sempre tra “risanamento” e “diritti”. E qui Marchionne appare senza possibilità di scelta.

La flebile critica di Landini è legata essenzialmente al mancato riconoscimento di una posizione sindacale diversa e con cui confrontarsi e, nel merito, ad un peggioramento delle condizioni di lavoro legate all’esperienza di Pomigliano. Anche qui però la contrapposizione è solo sul come attuare questo peggioramento, con la solita solfa delle proposte “alternative” non ascoltate come l’aumento dei turni e la rotazione delle pause, proposte che presuppongono un aumento degli operai occupati, cosa che nella crisi, in cui i padroni sono obbligati a ridurre i volumi delle produzioni e ad ottenere questi volumi ridotti con il minor numero possibile di occupati, non potevano mai essere accolte, soprattutto se avanzate poi non in maniera conflittuale, ma in un’ottica partecipativa.

Revelli sottolinea che Marchionne ha sostanzialmente difeso principalmente gli interessi degli azionisti, ma anche lui sorvola sull’aspetto fondamentale della sua azione, come fanno anche gli altri che ricordano la genialata dell’operazione General Motors e, successivamente, quella della Chrysler, senza mai accennare al fatto che con la nuova organizzazione del lavoro, l’eliminazione dell’opposizione in fabbrica, il clima da caserma instaurato, aumenta il lavoro non pagato degli operai.

Fare un film su Marchionne così apertamente celebrativo presuppone una completa sottomissione degli operai ex Fiat, ora Stellantis. Il messaggio che passa, anche per gli operai, è che attraverso il comando di uomini come Marchionne le imprese sopravvivono e gli operai continuano a lavorare.

Si guardano bene gli apologeti ideatori del documentario, di riportare qualsiasi accenno anche se piccolo, capace di suscitare qualche dubbio sulla correttezza del ragionamento. Ad es. è da notare la completa assenza di un cenno ai piani industriali annunciati in gran pompa e sistematicamente mai applicati, la bellezza di 10 in 10 anni, semplici specchi per le allodole per gli investitori in borsa

Le “dimenticanze” però sono ancora più gravi se si considera l’insieme di vicende che sono emerse successivamente alla morte del “condottiero”. Ci limitiamo ad elencarle alcune.

Nel 2019 la Security Exchange Commission (la Consob americana) accusa FCA di aver per ben 69 mesi consecutivi deliberatamente gonfiato i dati delle vendite in America, per tenere alto il titolo in borsa. FCA patteggerà sborsando 40 milioni di dollari.

Nello stesso anno, l’FCA patteggia una multa di 650 milioni di dollari con il Dipartimento di Giustizia USA, per avere installato sui suoi veicoli dei software in grado di ritoccare i livelli di emissioni inquinanti e sfuggire così ai rigidi limiti imposti sul mercato americano. Da notare anche l’arresto nell’ambito di questa inchiesta di tre figure apicali della società, responsabili dell’operazione avvenuta fra il 2014 e il 2016, in piena era Marchionne.

Nel 2020, FCA patteggia, a condizioni vantaggiose, con il Fisco italiano 730 milioni per aver sottostimato nel 2014 il valore dell’acquisizione Chrysler per risparmiare sulle tasse dovute.

Nel 2021, FCA ammette di aver corrotto alcuni dirigenti sindacali della United Auto Workers, il più importante sindacato americano del settore automobilistico, versando loro tangenti per 3,5 milioni di dollari. Per questo crimine pagherà una multa di 30 milioni di dollari. Tre ex dirigenti FCA e 12 sindacalisti si sono dichiarati colpevoli e sono stati condannati a diversi anni di carcere. L’ex capo delle relazioni sindacali di FCA Usa, Alphons Iacobelli, sta scontando una pena detentiva di cinque anni e mezzo, ridotta a quattro per la collaborazione nelle indagini. Gli episodi di corruzione si riferiscono al periodo 2009-2016, in piena era Marchionne.

Questa breve cronaca giudiziaria è più simile a quella di una associazione a delinquere che a una grande multinazionale, ma nel documentario questi fatti vengono completamente ignorati, come se non esistessero.

Del resto, questo atteggiamento non è comune solo a giornalisti, sindacalisti e politici, lo troviamo anche nella magistratura.

La Fiat ha sempre fatto da battistrada nella giurisprudenza italiana. Col peso dei suoi avvocati, ha sempre agito per adeguare via via le leggi italiane al livello di sfruttamento e di sottomissione da imporre agli operai. Lo ha fatto, ad es., con l’uso del vago principio dell’obbligo di fedeltà, che, a dispetto della stessa libertà di espressione garantita formalmente dalla Costituzione e dallo Statuto dei lavoratori, ha sancito il controllo del padrone sulle stesse opinioni dei propri dipendenti anche al di fuori dell’ambito lavorativo. Ci riferiamo qui al caso dei 5 operai Fiat di Pomigliano licenziati per aver inscenato un finto suicidio di Marchionne, come protesta per i numerosi suicidi e tentativi di suicidio verificatisi fra gli operai deportati nel reparto confino di Nola. Già abbiamo affrontato a suo tempo estesamente questa questione e non ci vogliamo ripetere, ma qui vogliamo sottolineare come i magistrati di turno hanno motivato ai diversi livelli di giudizio la loro decisione di dar ragione all’azienda e come queste motivazioni si siano mostrate fallaci.

Per i giudici di Nola, la colpa grave di questi operai è stata quella di denigrare la “figura simbolo” della Fiat. A loro non importa che uno dei due operai suicidatisi abbia lasciato prima di morire un biglietto in cui motivava il suo gesto con la situazione di incertezza e di difficoltà economica in cui era precipitato per la costante cassa integrazione cui era soggetto dopo il trasferimento a Nola. Né minimamente danno credito al fatto che i trasferimenti a Nola siano stati una misura discriminatoria, tesa ad allontanare dallo stabilimento centrale di Pomigliano gli operai combattivi e i limitati fisici. A distanza di anni, nel 2020, la stessa Cassazione interverrà sulla questione, nel corso di un’altra causa, cassando il giudizio di appello e dando in sostanza ragione allo Slai, sindacato ricorrente, sull’esistenza di una discriminazione nel trasferimento in massa dei suoi iscritti al Polo Logistico di Nola. Ma questo fatto, che conferma in pieno la fondatezza delle critiche che allora i 5 operai avevano rivolto all’azienda e al suo principale rappresentante, non potrà rideterminare diversamente il giudizio sanzionatorio espresso dai giudici, perché prima di questo pronunciamento della Cassazione, la stessa Cassazione ha dato completamente ragione ai giudici di primo grado, cassando definitivamente il giudizio opposto espresso dalla Corte di Appello di Napoli, sulla base che le critiche rivolte all’amministratore delegato, avevano travalicato la cosiddetta continenza formale, per il modo in cui erano state espresse. In pratica, per la Cassazione, la colpa dei 5 operai è di aver compiuto un atto di lesa maestà, avendo con le loro critiche pregiudicato l’onore di Marchionne.

Insomma, mentre con la forza di una sentenza definitiva, la magistratura ha punito una critica radicale alle scelte della direzione aziendale, gli operai FCA in Italia hanno subito e continuano a subire mesi e mesi di cassa integrazione, con tagli salariali consistenti, aumenti inimmaginabili dei ritmi e dei carichi di lavoro nei pochi giorni in cui si lavora, limitazioni delle libertà sindacali, significativa a questo riguardo è stato il tentativo di escludere la Fiom, sindacato maggioritario della categoria, voluto da Marchionne e che, malgrado la sentenza favorevole al sindacato, continua ad operare nell’esclusione della Fiom alle elezioni delle RSA, ma anche la scelta di sostituire le RSU, elette dai lavoratori, con le RSA, di nomina sindacale.

Di tutto questo, come le vicende giudiziarie che hanno coinvolto FCA, non c’è alcun cenno nel documentario.

Comments

Search Reset
0
Franco P
Thursday, 30 December 2021 16:30
Nell'onda servile dell'informazione, chi leggerà e valuterà questo ineccepibile commento?
Like Like Reply | Reply with quote | Quote

Add comment

Submit