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Col pretesto dell'obbligo vaccinale l'agenzia delle entrate gestisce il green pass

di comidad

La lobby farmaceutica non aveva certo bisogno dell’obbligo vaccinale, poiché quel 10% della popolazione negatosi al sacro siero è ampiamente compensato dal susseguirsi delle dosi di richiamo, che si avviano a diventare trimestrali. Anzi, con l’obbligo vaccinale si rischia di scoperchiare una voragine di potenziali contenziosi giudiziari. Non che ci sia da farsi illusioni sulla magistratura, Corte Costituzionale compresa.

La normativa varata dal governo è talmente ambigua da non prevedere una procedura chiara per adempiere specificamente all’obbligo, con la prospettiva di ritrovarsi davanti il caro vecchio “consenso informato” da sottoscrivere. Ancora una volta si tratterebbe di estorsione di consenso e non di un obbligo giuridicamente inequivocabile. Non contento di aver stracciato ciò che rimaneva della Costituzione (del resto ci aveva già provveduto il governo Conte bis), il governo Draghi ha fatto strame della nozione stessa di legislazione, riconfermando che lo Stato, il pubblico e il privato sono astrazioni pseudo-giuridiche che coprono altre gerarchie sociali, cioè lobby e cosche d’affari.

Ad aver bisogno di questa finzione di obbligo vaccinale era invece la lobby digital/finanziaria. Affidando ufficialmente all’Agenzia delle Entrate la caccia ai renitenti al sacro siero e la relativa sanzione amministrativa pecuniaria, di fatto la gestione del Green Pass viene trasferita al Ministero dell’Economia e delle Finanze, che d’ora in poi avrà in ostaggio i conti correnti dei contribuenti, potendo impedire loro persino l’accesso alle banche. In realtà il Green Pass è stato sin dall’inizio sotto la gestione del Ministero dell’Economia, che lo controlla attraverso la SOGEI, la società di gestione dei servizi informatici di proprietà del Tesoro, ma col decreto 1/2022 si è legalizzato a posteriori questo abuso.

La sanzione di soli cento euro è congegnata per favorire la “trasgressione” e, nel contempo, per scoraggiare costose impugnazioni. Il governo spera che non tutti capiscano che la sanzione è comunque una trappola e comporta l’ammissione di una sorta di reato. Dato che ciò che si fa chiamare Stato è un’associazione a delinquere con molti tentacoli, non è da escludere che qualche Procura possa individuare nella renitenza al vaccino qualche risvolto penale o che lo stesso governo vari qualche norma retroattiva. Ormai ci aspettiamo di tutto; anzi, sarà da ridere quando i “costituzionalisti” alla Zagrebelsky ci spiegheranno che non esiste alcun diritto dei cittadini a conoscere preventivamente le norme in base alle quali regolarsi. Sarà dura invocare la dignità umana nel momento in cui i “costituzionalisti” dimostrano di essere i primi a rinunciarci.

La scarsa entità della sanzione ha anche un effetto di distrazione sull’opinione pubblica soggiogata dalla vaccinolatria; un’opinione pubblica che può trovare occasione di indignarsi e di invocare provvedimenti forcaioli, facendosi sfuggire il nocciolo del problema, cioè la possibilità per l’Agenzia delle Entrate di usare il lasciapassare come strumento di ricatto verso chiunque. Del resto lo squallore è la principale arma di distrazione di massa, un modo per abbassare drasticamente il livello della discussione e non far trapelare i dettagli più importanti. Nella sua ultima conferenza stampa Draghi ha persino esagerato nel battere sul tasto dello squallore, tanto che la sua immagine pubblica è allo sfacelo.

Anche se l’attuale potere continua a contare su una base di opinione pubblica, ciò non vuol dire che abbia una vera base sociale, ed è questa la sua differenza con i fascismi del ‘900, che invece offrivano al ceto medio un ascensore sociale. Al contrario, oggi il ceto medio tende sempre più a sprofondare insieme con la classe lavoratrice. Non reggono quindi i paragoni del Green Pass nostrano col sistema del credito sociale cinese, al di là delle pur evidenti affinità sul piano del controllo informatico. In Cina infatti la stretta sulla disciplina sociale si accompagna ad una crescita diffusa del reddito e ad un allargamento del ceto medio. Forse per questo motivo la rivista “Focus” ci tiene a far sapere che il credito sociale cinese non piace al mondo occidentale. Sicuramente in Italia a riguardo facciamo di meglio, perché qui l’obbiettivo è di controllare senza distribuire reddito.

L’accumulo di potere e risorse in poche mani alimenta anche i conflitti interni alle oligarchie. Nei prossimi giorni l’elezione del supermonarca da parte del parlamento sarà un’occasione per capire in quali direzioni potrebbe andare la conflittualità interna all’establishment italiano. L’altra incognita riguarda la percezione all’estero del crescente attivismo dell’oligarchia nostrana, che sta inseguendo chiaramente il primato nella corsa alla digitalizzazione del controllo sociale. Non che all’estero gliene freghi qualcosa delle umiliazioni che stanno subendo gli Italiani; non tutti però sono così smemorati da non ricordarsi che quanto più l’Italietta maltratta il proprio popolo, tanto più diventa pericolosa per gli altri Paesi. L’autorazzismo italico infatti non è l’opposto del nazionalismo, bensì rappresenta storicamente la forma specifica della prassi di grandeur nazionale e imperialistica dell’Italietta. L’oligarchia nostrana si esalta nelle sue ambizioni di proiezione internazionale, potendo vantare la dominazione su di un popolo/cavia, da denigrare ed avvilire per essere usato come carne da macello in sperimentazioni politiche e sociali.

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