Print Friendly, PDF & Email

theunconditional

Una risposta a Piero Bevilacqua

di Daniela Poli

Buongiorno Piero,

seguo da tanto tempo il tuo lavoro di grande lucidità e spessore e in molti casi mi trovo d’accordo con quanto scrivi. Non amo molto replicare, sia per carattere, sia perché scrivere per me è faticoso, ma questa volta lo faccio.

Talvolta scorro i documenti che invii e in questi giorni sono stata attratta dall’articolo che hai pubblicato sui no-vax .[1]

Ho letto e sono rimasta molto colpita, ma ho esitato a rispondere, stavolta non per reticenza o difficoltà, ma perché la tua replica al bel documento di Giudo Viale e soprattutto i commenti dei tanti membri dell’Officina mi hanno sconfortato. Dai diversi scritti sembra che non ci sia desiderio di capire le ragioni dell’altro (ma siamo sicuri che sia proprio altro?) ma soltanto di separare “il noi dal voi”, di chiudersi in una zona confortevole fatta di certezze in cui è chiaro in partenza ciò che è bene e ciò che è male. Credo viceversa che in questa come in altre situazioni complesse sia utile fare un’operazione umile, ma necessaria, per comprendere fenomeni nuovi, e cioè mettersi in discussione, prendere in considerazione i propri limiti e le proprie umane paure, così come quelle degli altri.

Se posso risponderti è perché sono in questa lista. Tu o qualcuno dell’Officina ha considerato, con mio grande piacere, che il mio impegno e il mio lavoro mi consentisse di stare dalla tua parte della barricata a lottare per un mondo più giusto ed ecosolidale. Ma all’improvviso, pur continuando ad essere coerente con la mia storia, sono dall’altra parte della barricata, faccio parte come scrivi “dei novax che non apprezzo e di cui non scorgo alcun potenziale rivoluzionario”.

Sono socia fondatrice e sono nel Comitato scientifico e nel direttivo della Società dei territorialisti/e, per la quale ho diretto la rivista Scienze del Territorio fino a poco tempo fa, sono cresciuta nei consultori femministi autogestiti, ho fatto parte di associazioni ambientaliste, mi occupo di beni comuni e di comunità progettuali, lavoro con tanti comitati e gruppi di base e cerco di trasferire il mio approccio nella ricerca e nell’insegnamento come ordinaria di urbanistica all’università di Firenze.

Devo fare distinguo? Dirti che non sono una no-vax? Che come tanti ho fatto altri vaccini, che per andare in maneggio ho fatto il vaccino contro il tetano? Ma ad esempio per racarmi in alcune regioni abbastanza sicure dell’India ho scelto di non fare la consigliata profilassi antimalarica e non ho avuto nessun problema. Rifletto e scelgo ciò che mi convince.

Sarebbe utile uscire dalla categorizzazione. Come ha ben scrive Guido Viale i cosiddetti no-vax sono una vera galassia. Per rafforzare questo punto possi dirti che qualche anno fa sono uscita dalla città, per andare nella campagna di Vinci sul Montalbano dove con mio marito gestisco una piccola azienda biologica che stiamo “riappoderando” comprando o prendendo in affitto i terreni abbandonati che ci stanno attorno. In questo percorso operiamo scelte in funzione proprio della fruizione pubblica del territorio: partecipiamo ai Gas locali, abbiamo riaperto sentieri, fatto piccole installazioni di land art, lasciato ai passanti la possibilità di godere del panorama, di sedersi, di dissetarsi con l’acqua potabile che abbiamo messo a disposizione. Nel mio piccolo, come storia personale, come impegno nella didattica e nella ricerca, come progetto collettivo penso di aver partecipato a qualche piccola rivoluzione (con la r rigorosamente minuscola), mi sento dunque molto distante dalla raffigurazione della mia persona come dominata dall’egoismo sociale o dall’individualismo.

In tutto il mio lavoro, spesso in prospettiva storica, mi sono interessata al conflitto fra libertà individuali e “vincoli” posti dal territorio. Con la modernizzazione all’aumento di movimento, consumi, espressione, libertà sessuale, ecc. c’è stata anche una “liberazione dal territorio”, dalla comunità, dai patti sociali, dalle regole di gestione e di cura. Mi interessano le libertà? Sì certamente e molto, moltissimo, dobbiamo però distinguere di quali libertà stiamo parlando. Mi interessano le libertà dal territorio? Libertà dai vincoli sociali di reciprocità? Su questi temi mi impegno da tempo per ricostruire legami di senso fra comunità e territorio in maniera innovativa e non coercitiva. Ma la libertà di espressione, la libertà religiosa (anche se sono atea), la libertà di poter disporre del mio corpo, la libertà di poter morire come e quando decido, la libertà di abortire (sebbene abbia 60 anni), la libertà di insegnamento? Sì, queste libertà e molte altre le rivendico con forza. Sono disposta a sacrificare la mia vita o a poter riscontrare gravi effetti avversi in nome della salute pubblica? Potrei, ma lo voglio decidere io, autonomamente. Non voglio vivere in nessun modo in uno stato etico. Nella mia libertà sto partecipando alla salute del mondo: mi alimento e consento ad altri di alimentarsi con cibo sano, non solo nella nostra azienda non inquiniamo, ma rigeneriamo la terra (agricoltura rigenerativa), abbiamo un’auto in due sebbene viviamo in un contesto isolato e abbastanza elevato, abbiamo una casa fossil free e vendiamo energia elettrica da fotovoltaico all’Enel.

Penso di essere sensibile alla comunità e al bene comune, ma ritengo che uno stato di diritto, nel quale per adesso vivo, non possa obbligare la popolazione ad assumere farmaci sperimentali, anche fossero efficaci, figuriamoci questi. Non entro nella tipologia di vaccino, utilizzato fino ad oggi solo per gravi patologie e mai su persone sane, la cui assunzione non doveva essere massiva, ma valutata attentante in base rischi e ai benefici personali. Si tratta come ben sappiamo di un vaccino che in parte protegge dalla malattia grave chi lo ha effettuato, ma che è inefficace sulla possibilità di contagiarsi, contagiare e ammalarsi e dunque ricorrere ad ospedali e terapie intensive in maniera cospicua. Come di norma dovrebbero sapere i virologi i coronavirus sono virus altamente mutageni ed è difficile bloccarli con un vaccino.

Il problema comunque più grave è la gestione di questa pandemia che non è stata così luminosa come sembra emergere dal tuo articolo. Innanzitutto, il governo – oltre ad aver utilizzato lo stato di emergenza generalizzato, aver destituito il parlamento, aver governato con decreti ad oltranza, affidandosi a virologi televisivi che hanno detto tutto e il contrario di tutto – ha assunto un approccio lineare e non complesso alla cura, puntando unicamente sulla vaccinazione di massa. Affermi che all’inizio siamo rimasti tutti impreparati di fronte all’insorgere del virus. Forse io, tu, geografi, ingegneri, letterati, ma certamente non i medici, che dovevano conoscere la tipologia di virus e che anche prima che il Sars Cov II fosse conclamato, vedevano delle polmoniti strane, ma le curavano normalmente con i farmaci a disposizione.

Spinta da un’ottica umanitaria ho anche firmato una petizione per togliere il brevetto e diffondere il vaccino alle popolazioni svantaggiate. Adesso mi pento di averlo fatto. Perché penso che alcuni luoghi come l’Africa abbiano problemi ben più gravi del Covid (povertà, modernizzazione indotta dall’esterno, estrattivismo delle risorse, eccessivo inurbamento, sovrappopolazione, abbandono delle campagne, fame prodotta dalla distruzione delle agricolture contadine ecc.) e quelli dovrebbero essere posti all’ordine del giorno non certo la vaccinazione verso il Covid che in tutta l’Africa ha morbilità e letalità bassissimi. Ma ci sarebbe poi la possibilità in Africa di effettuare vaccinazioni selezionando i pazienti in base alla loro situazione individuale? Ci sono medici per farlo? Ci sono linee del freddo per mantenere integro il vaccino? Vaccinare il sud del mondo (curiamo lì per non far arrivare la variante da noi) sembra applicare ancora una volta un approccio tristemente colonialista.

A differenza di molti, alcune persone come me non hanno avuto fretta, hanno preso distanza dalla pandemia (così com’è normale fare nella ricerca) e non si sono fatti impaurire. Personalmente ho chiara la percezione della finitezza umana. Mi sono confrontata purtroppo tante volte con la morte, essendo (stata) un’alpinista: so bene che quando si mette lo zaino sulle spalle e si parte in salita non c’è mai sicurezza di tornare a valle.

Tu chiedi cosa si poteva fare. Molte cose Piero, innanzitutto correttezza scientifica e approccio alla complessità.

Ti riporto alcuni elementi critici:

– Si poteva puntare non unicamente sul vaccino, ed accettare le tante terapie che già erano state provate e che invece sono state vietate. Molti gruppi di medici (putroppo adesso in molti sospesi) si sono autorganizzati e hanno definito protocolli che sono stati utilizzati in molti casi nelle terapie domiciliari precoci e hanno ridotto molto l’accesso agli ospedali. Giuseppe Remuzzi (non un novax…) del Mario Negri ha collaborato e definirne alcune e ne ha verificato l’efficacia;

– Si poteva utilizzare la terapia del plasma autoimmune (naturale e a basso costo) che era risultata efficace: più di 50 persone trattate da De Donno, tutte guarite. Purtroppo De Donno non c’è più;

– Si poteva non imporre la vigile attesa, sapendo che questo virus nei primi giorni è trattabile e dopo diventa molto aggressivo;

– Si poteva non vietare le autopsie che in maniera questa sì inopinata sono state bloccate. Forse non alle scuole elementari, ma alle medie tutti gli studenti conoscono la differenza fra un virus e un batterio. Il virus muore con l’ospite, quindi un cadavere non è più infetto, perché allora i medici (non i bambini delle elementari) hanno bloccato le autopsie? Anche in questo caso alcuni medici hanno contravvenuto alle indicazioni e hanno fatto le autopsie sui deceduti e hanno scoperto elementi rilevanti per la conoscenza del funzionamento del virus;

– Si poteva non obbligare all’incenerimento, impedendo di poter disporre dei cadaveri;

– Si poteva non spettacolarizzare la morte e il virus (es. le bare di Bergamo) insegnando invece che si deve affrontare l’esistenza di malattie e morte come un dato connesso alla nostra finitezza;

– Si poteva accettare il confronto scientifico. Noi siamo scienziati e come scrivi giustamente sappiamo bene che non ci sono posizioni univoche, ma che la scienza avanza dal confronto. Perché anche se invitati nelle sedi opportune i virologi del CTS non si sono mai confrontati con altri medici alcuni dei quali ex dirigenti di dipartimenti di salute pubblica (es. Alberto Donzelli) o docenti universitari (es. Marco Cosentino, Paolo Bellavite, Giovanni Frajese, Mariano Bizzarri)?

– Si poteva non utilizzare i numeri per creare tensione. Attualmente ad esempio molte regioni per non entrare in zona gialla o arancione e mantenere un rapporto sotto la soglia fra posti di terapia intensiva e degenti, hanno sottratto posti alla terapia intensiva comune per spostarli alla terapia intensiva anti-covid. Ad oggi (dati ISS 11 gennaio) 1166 persone non vaccinate in tutta Italia sono in terapia intensiva (70% su 1667 in totale, meno di metà rispetto al picco di 4063 in TI del 3 aprile 2021). 1100 persone possono bloccare un paese? Se sì c’è ovviamente qualcosa di sbagliato ed è lì che bisogna colpire invece di demonizzare quelle poche persone. E sarebbe molto utile, come sta già avvenendo, che lo facessimo insieme e non separati, come mostra in maniera appassionata ed eloquente il bell’articolo di Paolo Cacciari su Comune-Info, quasi un manifesto al pensiero critico dialogante (https://comune-info.net/non-in-mio-nome/?utm_source=mailpoet&utm_medium=email&utm_campaign=La+prova+di+sopravvivenza

Molti gruppi contrari alla deriva totalitaria governativa sono formati da vaccinati e non vaccinati e si battono assieme per fermarla. Consiglio anche di leggere molti degli articoli del prof. Andrea Bellelli e della dott.ssa Sara Gandini sul Fatto Quotidiano, convinti vaccinisti, contrari però al GP e all’obbligo vaccinale, che illustrano molte alternative possibili.

Si poteva quindi immaginare un’altra strategia di fronte alla pandemia:

  • Indirizzare l’opportunità di effettuare i vaccini a dei target precisi di popolazione (fragili) e non con approccio massivo indiscriminato;
  • Utilizzare il paradigma della complessità e affiancare ai vaccini le cure, le terapie domiciliari e le politiche pubbliche;
  • Far entrare in Italia vaccini a virus attenuato con tecnologie e procedure già sperimentate;
  • Non spettacolizzare, non impaurire la popolazione, ma gestire con attenzione e rigore la pandemia;
  • Alcuni elementi per la gestione del problema sanitario:
  • inserire aeratori, saturimetri e impianti a luce solare nei luoghi di lavori;
  • investire in personale medico, sanitario e scolastico;
  • investire nella sanità territoriale;
  • dividere le classi in spazi più ampi e areati;
  • riaprire i piccoli (e grandi) ospedali e adibirli a degenza e terapia intensiva Covid, se non fosse stato possibile farlo in tende da campo (nelle yurte in Mongolia si vive…);
  • favorire lo screening gratuito per tutti;
  • aumentare la frequenza del trasposto pubblico, attrezzato con areatori e impianti a luce solare

Mi fermo qui e mi scuso per la lunghezza della mail, ma credo che davvero non abbia senso costruire fra noi delle barriere. Serve invece dialogo, apertura e ascolto senza pregiudizio, partendo dal presupposto fondamentale della fiducia. Io penso che tu Piero come molte persone di questa lista avranno scelto la cosa migliore per loro stessi e per la collettività, e vorrei che pensaste lo stesso di me e degli altri (e sono molti) che hanno deciso di non vaccinarsi.

Disponibile se lo desidererai o lo desidererete a momenti di pacato incontro.

Add comment

Submit