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Alcune considerazioni sulle manifestazioni del 15 gennaio

di Nico Maccentelli

La manifestazione del 15 gennaio, con le due piazze romana e milanese, al di là del proclama di Ugo Mattei alla costituzione di un Comitato di Liberazione Nazionale, ha visto andare in scena una massa di partecipanti dietro le bandiere egemoni di una borghesia liberale, espressione di quei ceti medi attaccati dall ristrutturazione economica draghista e pandemica.

Di nuovo c’è che nella scena politica nazionale sta entrando una sinistra antagonista che dopo una prima fase in cui i soggetti andavano per ordine sparso, transfughi e cacciati fuori dalle tradizionali organizzazioni politiche e sindacali e centrosociali varie, oggi grazie a realtà unitarie come l’Assemblea Militante ritrova un percorso collettivo.

Certo i nodi da sciogliere non sono pochi, date le diverse provenienze, ma di positivo c’è il fatto che nelle due piazze principali si iniziano a vedere striscioni anticapitalisti e antifascisti, insieme alle bandiere no green pass provenienti dai No Tav sodali.

Fare un primo bilancio è prematuro, ma a questo punto, se la presenza nelle piazze è di default, la direzione presa dall’insieme delle compagne e compagni, ossia le lotte nei luoghi di lavoro, le casse di Resistenza, la riorganizzazione di un fronte antagonista nel lavoro e nel territorio è quella principale. Dalla forza organizzata della classe proletaria può partire una lotta più generale e un orientamento di classe sul terreno dell’egemonia nello scontro sociale.

I limiti delle piazze no green pass egemonizzate dalla borghesia non risiedono tanto nel tasso di antifascismo, e neppure in una difesa della Costituzione, bensì nella totale assenza dell’anticapitalismo, della critica al neoliberismo, ossia alla vera causa della gestione criminale della pandemia. Questa poi non è altro che la prosecuzione con mezzi liberticidi, pseudo-sanitari e bio-fascisti dell’attacco neliberista a diritti sociali (che oggi si sono estesi al terreno di quelli civili) che la classe e vasti settori sociali stanno subendo da decenni.

Questi sono i punti da dirimere: la lotta contro le restrizioni è una lotta contro il neoliberismo e il capitale in generale. Non esiste antifascismo senza questo elemento politico, che la sinistra euroliberista ha relegato ai piagnistei umanitari contro i più deboli, espressione di un cattocomunismo putrescente che sogna la ripresa di un centrosinistra ormai morto e da sempre organico alle politiche globaliste e neoliberali dei falchi del mercato per il mercato e degli euroburocrati.

I più deboli vanno difesi dalla voracità e dalla logica dell’asso piglia tutto delle oligarchie finanziarie e delle multinazionali. Un contrasto che prosegue anche contro quel piccolo capitale di territorio, che è definibile come neoliberismo perdente, ma altrettanto spietato con la classe nei processi produttivi e di circolazione del capitale. Nello scontro tra frazioni borghesi deve irrompere il proletariato e questo è esattamente il compito che devono darsi i comunisti.

Dunque non c’è lotta contro le restrizioni bio-fasciste senza la lotta per i diritti sociali, contro la precarizzazione, contro le privatizzazioni. Nell’insiemistica ci sono insiemi che hanno zone comuni. E certamente il terreno del no green pass, la rivendicazione di cure anticovid all’insorgere della patologia, quindi investimenti in sanità di territorio, sono per esempio zone comuni con le rivendicazioni generali. Ma poi questa configurazione va spostata verso il contrasto popolare a tutta la politica neoliberista. Per questo il comizio torinese di Mattei una settimana fa  andava nella direzione giusta. Ed è per questo che evidentemente è rimasto lettera morta per i vari Italexit e per i machiavellismi del Fronte del Dissenso.

L’importante alla fine dei conti è ciò che avverrà quotidianamente nei luoghi di lavoro e nel territorio. L’importante è preparare una Resisteza popolare generalizzata con semplici azioni di disobbedienza, con scioperi selvaggi che vadano a colpire la catena del valore del capitale e che inceppino il normale andamento repressivo e discriminatorio dei diktat di regime.

In questi giorni, visti gli evidenti svarioni sulla questione covid e sieri genici, il nemico di classe si inventerà altro. Ma scommettiamo che alla fine ciò che resterà è l’impianto restrittivo e di controllo sociale e dei corpi? Perché questo è e resta il reale obiettivo della gestione pandemica dei ceti dominanti del capitale.

Mai come oggi la parla d’ordine di Vittorio Arrigoni “restiamo umani” è stata così attuale e direi profetica. Perché oltre e per lo sfruttamento capitalistico, dell’uomo sull’uomo, c’è la disumanizzazione dei rapporti sociali e tra individui, già fin troppo mercificati e alienanti da parecchio tempo. Una parola d’ordine che si estende alla vita quotidiana sottoposta al controllo iper-teconologico, nel quale la persona diviene protesi macchinica (e spacciano questo per il contrario) per la catena del valore di un capitalismo sempre più organizzato, dove la pianificazione economica e sociale di ogni blocco ha spostato la competizione a livello alto, tra giganti, nella concentrazione di capitale. La gestione pandemica è la necessaria ristrutturazione economica e (di controllo) sociale che occorreva per stare nella competizione globale tra poli imperialisti, tra multinazionali, tra colossi finanziari.

Questo è il mercato, altro che anarchia della produzione! Queste sono le contraddizioni intercapitalistiche, altro che grande fratello!

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