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linterferenza

Virus debellato od ottimismo politico?

Raffronto tra la situazione odierna e quella di un anno fa

di Norberto Fragiacomo

Venerdì 11 febbraio 2022: il presidente dell’Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro dichiara che in tutte le regioni (colorate o meno) “la curva continua a decrescere”. Le prime pagine dei giornali celebrano la Giornata del Ricordo e scordano il Covid, anche se il venir meno dell’obbligo della mascherina all’aperto e la riapertura parziale delle discoteche segnano un deciso cambio di passo nella strategia di contenimento. “Non c’è ragione per prorogare lo stato di emergenza” oltre il 31 marzo, annuncia un Pierpaolo Sileri meno imbronciato e livoroso del solito: insomma la crisi è in via di soluzione e con il 1° aprile (ma non potevano scegliere una data “più seria”?) si torna alla normalità, festeggiata in anticipo da Matteo Bassetti con il lancio di una mascherina. “Oggi finalmente lanciamo via l’obbligo delle mascherine all’aperto nell’attesa di poterlo fare anche al chiuso. Gli ospedali non sono più in affanno e si vede una luce all’orizzonte sempre più forte. Torniamo alla vita che abbiamo sempre fatto prima del Covid” esulta l’infettivologo secondo il Fatto Quotidiano. Siamo liberi, sani e forti: evviva!

Un anno fa la situazione appariva invece drammatica, fuori controllo: sul Quotidiano Nazionale dell’11 febbraio 2021 potevamo leggere che “cresce ancora la curva dei contagi in Italia e anche il numero dei morti”. Il prof. Ricciardi lanciava preoccupato l’allarme: “Ci sono rischi di esplosione a marzo”, e malgrado l’avvio delle vaccinazioni il pessimismo dilagava, anche se dopo la congiura di palazzo contro Conte e la fulminea operazione Draghi (il banchiere avrebbe giurato 2 giorni dopo) le cassandre mediatiche si erano un poco acquietate. Se confrontiamo i toni dei tele/radiogiornali odierni con quelli di allora possiamo misurare la distanza che separa un promettente purgatorio dall’inferno.

Suona quasi eretico oggi domandarsi se questo netto cambiamento d’umore rispecchi oppure no la realtà dei fatti, che come diceva quel tale “hanno la testa dura”, o perlomeno lasciano traccia: per scoprirlo proviamo a dare un’occhiata alle statistiche disponibili in rete (https://ourworldindata.org/explorers/coronavirus-data-explorer).

Il grafico è di semplice lettura: i dati segnalano che venerdì scorso sono stati contati in Italia 334 morti Covid (media degli ultimi 7 giorni: 341) a fronte di ben 67.152 nuovi contagi. I ricoverati in terapia intensiva assommano a 1.368 unità (media di 7 giorni), quelli nei reparti ordinari a 19.402 (idem). I vaccinati sono attualmente l’82,1% della popolazione, coloro che hanno ricevuto già la terza dose il 60,7%. Checché se ne dica, gli italiani si sono rivelati un popolo docile.

Un anno fa la campagna vaccinale era appena partita: in data 11 febbraio risultavano somministrate 2.770.302 dosi – ergo la stragrande maggioranza della popolazione non era minimamente “protetta”. Rispetto a omicron le varianti old style procedevano però con il freno a mano tirato: i nuovi contagi superavano di poco quota 15 mila (meno di un quarto di quelli registrati avantieri). Più indicativi appaiono i dati su decessi e terapie intensive: i morti ammontavano a 391 (media settimanale: 355), gli intubati totali a 2.132 (21.605 i ricoverati in altri reparti). Come vanno le cose a livello globale a un anno di distanza? Chiederselo ha un senso, considerato che per viaggiare il virus non ha bisogno di passaporto. Il dato sui ricoveri è abbastanza sorprendente: nel vaccinatissimo/superprotetto Israele la cifra dei ricoverati in terapia intensiva è calata di poco (358 oggi, 395 un anno fa), ma quella degli ospedalizzati è quasi raddoppiata (3.145 contro 1.982), mentre in USA e in Francia, di pari passo con quello delle ospedalizzazioni, il numero dei malati gravi è addirittura aumentato (19.996-19.126 e 3.521-3.278 rispettivamente!). Va meglio per quanto riguarda i decessi, scesi da una media di 2.951 a una di 2.426 negli Stati Uniti e da 457 a 328 giornalieri in Francia, anche se Israele – alle prese con la quarta dose – fa triste eccezione, passando da una media di 40 nel 2021 agli attuali 46 su base settimanale.

Questi “numeri” sono vite umane spezzate o in pericolo: inutile deprimerci ulteriormente estraendone altri da grafici che disegnano ormai da due anni ripidi picchi alternati a brusche discese. Il quesito è: davvero ne siamo (quasi) fuori, come da un pezzo le autorità ci raccontano? A giudicare dall’andamento dei dati direi proprio di no: la situazione pare analoga a quella di un anno fa e pure il lieve decremento dei casi cui assistiamo in questi giorni in Italia ha un precedente nella timida decrescita registrata nello stesso periodo del 2021, anche se tra marzo e i primi di aprile la tendenza si invertì (718 morti il giorno 9 del quarto mese).

Ammettiamo che questa macabra contabilità sia veritiera: nulla vieta naturalmente di essere ottimisti, ma si tratterebbe rebus sic stantibus di un ottimismo della volontà, non certo della ragione. La curva potrebbe infatti riprendere a salire: se è vero che, dall’inizio della pandemia, è stato finora infettato un italiano su sei, il virus dispone ancora di un vastissimo serbatoio di potenziali “clienti” dal momento che i vaccini a disposizione non proteggono dal contagio, ma solo (si sostiene) dalla malattia grave. Inoltre, considerato che da noi e altrove il Covid non ha affatto smesso di circolare (anzi!), il rischio che dia vita a nuove varianti, magari più insidiose dell’ultima, è tutt’altro che scongiurato, sebbene l’argomento – gettonatissimo fino a un mesetto fa – sembri improvvisamente diventato un tabù.

La comparabilità fra lo stato di cose odierno e quello alla vigilia dell’investitura “salvifica” di Draghi si presta a due chiavi di lettura diverse: la prima postula la scarsa efficacia dei vaccini made in USA (gli unici ai quali, per scelta politica, abbiamo avuto accesso), che fornirebbero un minimo di protezione in più a chi ha difese immunitarie già salde senza arrecare sensibili benefici ai “fragili”, cioè alle persone molto anziane e a quelle con serie patologie pregresse. Pur magnificando in ogni occasione i pregi dei prodotti di Big Pharma le autorità sanitarie del Friuli Venezia Giulia hanno recentemente ammesso che oltre il 50% degli ultimi ricoverati in terapia intensiva (e delle vittime) risultava regolarmente vaccinato. L’altra spiegazione è ancor più inquietante: se venisse comprovato che i casi gravi si verificano quasi esclusivamente fra i c.d. no vax (il 10% scarso della popolazione, bimbi esclusi) dovremmo mestamente concludere, fatto il confronto con il passato, che col trascorrere del tempo il virus è divenuto assai più aggressivo e letale, dato che pur a fronte di una “base imponibile” ridottissima il pedaggio in termine di vite umane preteso dalla società rimane elevato e sostanzialmente stabile.

Non c’è insomma da stare allegri… senonché ci viene riferito, per tranquillizzarci, che i dati sulla mortalità calano più lentamente degli altri e che, oltretutto, essi non sono completamente attendibili poiché incorporano anche le morti “con il Covid”, cioè causate da altre patologie (o addirittura da traumi). Il primo argomento non sembra granché persuasivo (la curva dei ricoveri e quella delle vittime sono fondamentalmente sovrapponibili, e comunque un calo non offre garanzie a medio termine), il secondo non costituisce affatto una novità: fin dai primi mesi della pandemia sono stati in parecchi ad asserire che le statistiche giornaliere venivano redatte “al lordo” dei casi in cui il coronavirus era al massimo una concausa del decesso. L’elemento nuovo è che oggidì a distinguere tra morti per il Covid e con il Covid non sono più gli spiriti critici bensì l’establishment (politici e scienziati “ufficiali”). Che abbiano ragione – e che dunque le cifre siano gonfiate – è assolutamente probabile, ma per proprietà transitiva ciò che vale oggi doveva valere anche ieri e sin dal principio – e il problema della decrescita troppo timida rimane irrisolto.

La realtà sottostante seguita perciò a sfuggirci, ma non sfugge invece la drastica variazione di rotta impressa alla comunicazione p.c.d. istituzionale: da un atteggiamento drammatizzante (e quasi terroristico nei confronti della popolazione) siamo passati senza soluzione di continuità alla minimizzazione, quasi l’epidemia fosse un trascurabile incidente di percorso. Come mai si è giunti a questo? In primo luogo per esigenze economico-produttive, ma sospetto che a chi governa prema poter esibire all’opinione pubblica un successo (reale o presunto) tale da ingenerare fiducia e consenso in un periodo che – fra crisi energetica, debiti da pagare a creditori esigenti e venti di guerra che spirano a oriente – si annuncia irto di difficoltà. Inoltre due anni di ammaestramento all’obbedienza cieca possono essere ritenuti sufficienti: la stragrande maggioranza dei cittadini si è dimostrata proclive a seguire regole sovente assurde e cervellotiche e ad accanirsi contro i capri espiatori di volta in volta additati dal sistema. L’esperimento occasionato dall’esplodere dell’epidemia di coronavirus può insomma considerarsi riuscito – e non meraviglia troppo l’osservatore il perdurare di un contegno ostile e intollerante da parte dei reggitori nei confronti dei dissidenti, che non possono essere frettolosamente riabilitati pena il diffondersi di dubbi e perplessità sulla narrazione colpevolizzante andata in scena nell’ultimo anno. I no vax (no Green pass compresi) restano e devono restare, nell’immaginario collettivo, una frangia di untori egoisti e di “nemici del Popolo”: per questo mentre ai bravi sudditi è già permesso di ballare nelle sale e affollare i palazzetti i reprobi dovranno continuare a pagare pedaggio. Solo così si spiega l’ultravigenza fino al mese di giugno della certificazione verde potenziata e l’altrimenti assurda (oltre che inaccettabile) limitazione all’esercizio di un diritto – quello al lavoro – su cui non re sed verbis si fonda la nostra Repubblica.

Ha senso logico che all’annunciata uscita di scena della pestilenza si accompagni la conferma di norme restrittive ad personas? Sì, se si decide di abolire la pandemia per decreto e di sostituire l’insoddisfacente realtà con una sua “utile” rappresentazione.

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