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La scuola (di Draghi) è tutta un quiz: test INVALSI per entrare all’Università

di Redazione ROARS

Quale occasione migliore dello stato d’emergenza, dell’avvio delle riforme previste dal PNRR, della presidenza del Consiglio di Mario Draghi e della completa l’assenza di dibattito pubblico e parlamentare, per dare la stretta definitiva sui test INVALSI? Il Sole 24 ore ci informa che è in esame “a Palazzo Chigi”, sul tavolo dei consiglieri di Mario Draghi, un “dossier” che prevedrebbe la realizzazione di un disegno già ben chiaro nel 2008: utilizzare i test INVALSI, resi obbligatori, come strumento di ammissione all’Università.

I test INVALSI, con la riforma della buona Scuola (D.Lgs 62/17) sono diventati certificazioni individuali delle competenze degli studenti. Come era facile prevedere, il passo successivo sarebbe stato l’impiego di tali certificazioni da parte degli atenei. Prima in modo “graduale”, magari, come sembrano volerci rassicurare gli autori del sole 24 ore.

Daniele Checchi, che insieme a Giorgio Vittadini e Andrea Ichino, già nel 2008 ne prevedeva questo impiego, nel documento indirizzato all’allora ministra Gelmini [si veda qui e qui], in cui si delineava la struttura del nostro sistema di valutazione scolastico, oggi scrive che usare i test INVALSI per selezionare gli accessi universitari è “una buona notizia”.

Servono “indicatori oggettivi per misurare le competenze” degli studenti, dice, perché dei voti degli insegnanti non ci si può fidare: “hanno scarso valore segnaletico”. Inoltre, cosa non di poco conto, usare i test per l’ammissione universitaria potrebbe risultare comodo e “ragionevole, in tempi di scarse risorse didattiche”, per le stesse università.

Ragionando sempre in termini di risparmio, ci assicurano dal sole 24 ore, ciò significherebbe ripensare lo stesso “esame di maturità, che oggi costa circa 150 milioni di euro”.

Proviamo allora a immaginare quali potrebbero essere le conseguenze di una simile scelta politica.

1) Riduzione della didattica ad addestramento, soprattutto nei contesti più svantaggiati

Agganciare, anche solo gradualmente, il destino degli studenti agli esiti dei test standardizzati significherebbe schiacciare il già limitato tempo (ricordiamo, ad esempio, il recente ulteriore taglio -riordino negli istituti professionali a seguito dell’ultima riforma) della relazione didattica sul modello dei test INVALSI, riducendo le ore di italiano, matematica e inglese ad un addestramento ai quiz. Ciò significherebbe trasformare gli istituti più svantaggiati in pure fabbriche da test, sottraendo anche le minime, residuali opportunità culturali che restano agli studenti che le frequentano e divaricando ulteriormente la distanza tra percorsi liceali e percorsi professionalizzanti.

2) Effetto retroattivo: cominciare fin da piccoli

Quando si mette in moto la macchina dell’addestramento, si sa che prima si parte, meglio è. Non sarà difficile immaginare che la “familiarizzazione” con il modello di insegnamento e apprendimento basato sui test, debba iniziare dalla più tenera età. Ammettiamo pure che l’INVALSI abbia accantonato il progetto di test (INVALSI VIPS) sui bambini di 5 anni (l’articolo scientifico in cui se ne parla non ci risulta sia stato ritirato, ad oggi). Non è difficile ipotizzare che l’apprendimento dell’italiano sarà progressivamente ridotto a “comprensione del testo” e la quello della matematica a soluzione di quesiti di “matematica del cittadino” (statistiche, confronto tra offerte commerciali..) fin dalle elementari.

3) Stabilire la selezione per censo in maniera “oggettiva”

Come lo stesso Checchi ben sa, gli esiti dei test non misurano affatto le “competenze” o la profondità dell’apprendimento di uno studente. Se dovessimo definire cosa misura un test INVALSI, Checchi sa bene che la risposta potrebbe essere: lo stato economico, culturale e sociale di provenienza dello studente. Agganciare gli esiti dei test all’ingresso nell’istruzione terziaria significherebbe dunque rafforzare con il crisma dell’oggettività la correlazione tra origine socioeconomica e università.  Chi è scarso nei test INVALSI, vada subito a lavorare o al massimo in un ITS Academy, se può permetterselo, ma non pensi nemmeno di continuare a studiare per il gusto di studiare.

4) Valore del diploma

Il diploma e l’esame di stato, progressivamente svuotati di senso, diventerebbero simulacri privi di valore: semplici rituali da assolvere e snellire progressivamente, anche in termini di spese pubbliche. Poco importa se i 9 milioni di euro annui per la macchina dei test, prevedibilmente, sarebbero incrementati.  La “tessera delle competenze” INVALSI rappresenterebbe di fatto l’unico documento di riferimento, o come preferisce Checchi, l’unico vero “segnale” per il mercato del lavoro e della formazione futura.

5) Competizione tra insegnanti, pressioni gerarchiche

Possiamo ben immaginare – la storia delle politiche educative nei paesi degli high stakes test ce lo insegna – le pressioni sul corpo insegnante in funzione degli esiti dei test, da parte di dirigenti scolastici particolarmente zelanti e obbedienti al raggiungimento dei propri obiettivi di incarico, in cui gli esiti dei test INVALSI hanno un peso dichiarato. Immaginiamo già anche i nuovi indicatori  Eduscopio della Fondazione Agnelli, basati sugli esiti ai test, per orientare “consapevolmente” la scelta delle famiglie, sulla base dei “dati oggettivi”.

Ciò non farebbe che aumentare la tendenza all’addestramento, mettendo in secondo piano le altre dimensioni dell’insegnamento. Si alimenterebbe un clima competitivo tra docenti, ne risulterebbe distorta  la stessa relazione scuola- famiglie; queste ultime sempre più preoccupate dell’esito dei test.

6) Carriere, premi e punizioni

Ricordiamo cosa scriveva proprio Daniele Checchi di recente:

in altri Paesi la classificazione di “scuola di insuccesso” […] produce normalmente interventi didattici, che partono dall’invio di ispettori, possono proseguire con la rimozione del dirigente e possono culminare con la chiusura della scuola e/o la sua trasformazione istituzionale in partnership pubblico-privato (charter schools, academies). Nulla del genere è stato previsto nel contesto italiano. Non è chiaro se si tratti di una scelta strategica (nel qual caso ne sfuggirebbero i benefici attesi) o di una incapacità di raggiungere un consenso adeguato»

Facile immaginare che “gradualmente” si costruirebbe anche in Italia un meccanismo di premi e punizioni per le scuole (dirigenti, insegnanti) in funzione dell’esito dei test. Il buon dirigente sarebbe colui che utilizza pienamente i suoi poteri per indurre i buoni insegnanti a produrre buoni risultati.

Possiamo pensare a nuovi indicatori, come il valore aggiunto individuale (oggi ancora effetto scuola); a meccanismi interni di incentivi retributivi, o perché no, a spostamenti/demansionamenti: attribuzione di cattedre sulla base di criteri fondati sul risultato INVALSI, o ad esempio ore di potenziamento per chi non riesce a spremere sufficientemente bene gli studenti per ottenere esiti soddisfacenti. A livello nazionale si elaboreranno meccanismi di carriera o di formazione docente correlati ai test.

7) Test e Autonomia Differenziata: accorciare la catena di comando

I governatori di Veneto ed Emilia Romagna hanno chiesto qualche giorno fa a Draghi di “battere un colpo” sul tema dell’autonomia differenziata. Ricordiamo che le bozze di intesa di Veneto e Lombardia chiedono, tra le tante altre cose, in materia di istruzione, che venga attribuita alla regione la disciplina della valutazione dei lavoratori su base regionale, con “ulteriori indicatori INVALSI”, legati al contesto territoriale. Questo significa controllo ancora più stretto, finalizzato al risultato, da parte della politica e dell’amministrazione territoriale.

Solo da questo primo e incompleto elenco dei possibili effetti della riforma test INVALSI-Università, emerge l’enorme portata politica di un provvedimento apparentemente secondario, che tiene insieme interessi e spinte politiche molto diverse (Daniele Checchi ha siede oggi, tanto per fare un esempio, nell’Assemblea del Forum delle Disuguaglianze di Fabrizio Barca, oltre ad essere dirigente INPS) e che ciclicamente viene annunciato. Stavolta, però, al tavolo del Migliore tra i Migliori, pare davvero alle porte.

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