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I conformistRi (off topic)

di Fabrizio Masucci

Pubblico alcune note che in questo momento, del tutto motivatamente, risulteranno di scarsissimo o nessun interesse. In queste ore, la gravità dello scenario internazionale impone d’un tratto di collocare nella giusta prospettiva i fatti della nostra piccola Italia. A tale doveroso esercizio siamo chiamati tutti, da chi dissente a chi governa. Chissà che, da una nuova drammatica crisi che nessuno avrebbe voluto, non derivi almeno un salutare ridimensionamento delle questioni tutte nostrane, cui possano seguire più miti consigli da parte di chi decide. Nel mentre, nel nostro Paese c’è ancora chi soffre per misure, ora più cha mai, prive di giustificazione. E la sofferenza è sofferenza, e come tale va sempre rispettata. Soprattutto in un momento in cui quella sofferenza non importa quasi a nessuno: il post è per quelli cui importerà finché durerà.

Vedo, da qualche giorno, una nuova specie di figure mancine lanciare accorati appelli dalle colonne dei giornali, far tiratine d’orecchie sui social media alla linea del governo o del caro democratico partito, condividere al bar le proprie critiche giuste e progressive con altri individui della stessa risma (ché tra persone perbene e intelligenti, si sa, ci si riconosce al primo sguardo). Qualcuno comincia a palesarsi anche in quei covi di sortilegi chiamati salotti televisivi.

Dall’alto delle loro comprovate doti – toh, il correttore suggeriva per questa parola una “s” al posto della “t” – costoro ci tengono a precisare che non c’è nulla da rimettere in discussione di quanto deciso e avvenuto fin qui, che non son loro ad aver cambiato idea (non sia mai detto!) su quanto espresso per mesi, ma è solo la situazione a essere or ora cambiata e loro se ne sono prontamente accorti e sono venuti ad avvisarci che – perdinci! – quando è troppo è troppo. Se poi si indaga su cosa sia questo “troppo”, si fanno deliziose scoperte: si passa da un “uffi però, Eccellenza, sono in un’impasse, mi è scaduto il … (fa rima con impasse), ma ritengo che le mie doti siano sufficienti per esser trattato da cittadino virtuoso, tanto più che ormai le evidenze scientifiche ci dicono etc. etc.” a un “non ha senso insistere oltre con queste misure, così consegniamo il Paese alla destra, che col suo populismo fa breccia nella pancia di quegli ignorantoni degli italiani”. E già, perché prima o poi – deprecano costoro – bisognerà pur farli votare questi italiani, ed è tempo di agitare lo spettro dell’esecrabile successo dei cattivi.

Niente, insomma, che abbia a che vedere con sussulti di coscienza, che, per quanto clamorosamente tardivi, sarebbero comunque benvenuti. Siamo di fronte, piuttosto, a singulti ombelicali o finemente (si fa per dire) strategici e – tra un singulto e l’altro – i singhiozzanti lo ribadiscono orgogliosi, per non esser confusi con l’ignobile teppa che denuncia da luglio l’infondatezza di certe misure e la recidiva brutalizzazione del principio di proporzionalità, oltre che del buonsenso. No – ci dicono in soldoni costoro – il problema non è mica l’ingiustificata discriminazione, degenerata in segregazione, in corso da mesi ai danni di cittadini, adolescenti, lavoratori, studenti universitari; la questione non è mica la sofferenza di famiglie senza più fonti di sostentamento, ragazzi banditi persino dagli sport all’aperto, anziani privati del trasporto pubblico e della dignità, manifestanti pacifici trattati da criminali; il guaio non è mica il conflitto sociale, la messa alla gogna dei sorci e persino dei loro sodali non sorci, l’umiliazione di persone vessate da una comunicazione imbarbarita, da regole totalmente arbitrarie e, in troppi casi, da incanagliti “responsabili” in preda a un furore più arbitrario delle regole.

No, i suddetti conformisti di sinistra – per brevità, i conformistri – si guardano bene dal ricorrere a queste insulse argomentazioni ritrite, che lasciano volentieri al popolo bue con la licenza media, ai narcisi che filosofeggiano, ai giuristi cavillosi e a chi s’imbarca in incomprensibili scioperi della fame. O comunque, beh, forse ora qualcuna di queste argomentazioni è valida, ma lo è solo e soltanto ora: perché? Ma suvvia, sembrano dirci, perché la situazione solo ora – nell’istante in cui ne abbiamo preso atto – è mutata in modo tanto evidente che non c’è neanche bisogno di spiegarlo, e poi perché è assurdo che a me, proprio a me, scadano i diritti da un giorno all’altro, e inoltre perché così si fa il gioco delle destre e, beh, infine – bando alla modestia – perché ora lo diciamo noi, che siamo i buoni. Non è un caso che i conformistri di tal fatta, mentre c’inquietano con cinguettii sibillini o verbose lamentazioni di tenore solo apparentemente nuovo, s’inquietano assai poco di quanto è avvenuto e sta avvenendo in Canada (qualcosa di una gravità inaudita da parte di un governo occidentale, a mio avviso), si girano dall’altra parte o, al massimo, si contentano di conformarsi alla fosca immaginazione – chiamarla narrazione sarebbe davvero troppa grazia – del loro quotidiano di riferimento, che vede a Ottawa tutto un garrire di bandiere con croci uncinate e stelle sudiste dove ci sono foglie d’acero, ponpon su cappelli di lana e nasi smoccolanti di bambini. Comincio a pensare che non sia del tutto sbagliato disincentivare l’uso della cannabis.

Vorrei pertanto rassicurare gli amici conformistri: sentitevi liberi di dire quel che volete senza fare premesse e distinguo, non c’è alcun rischio che vi confondano con quei quattro sciagurati che si battono da due anni per avere uno Stato meno autoritario, meno ricattatore, meno minaccioso. E se qualche distratto vi piazzasse nello stesso girone con loro, state pur certi che essi saranno i primi a spiegargli che con voi non hanno nulla da spartire. Anzi, a esser sinceri, c’è da sperare che la prudente consuetudine di non stringersi la mano duri ancora per un po’, anche perché – parafrasando Flaiano – non si può stringere la mano ai dogmi, alle sette, alle ragion di Stato. Quando riconosceremo in voi di nuovo delle persone, saremo pronti a riabbracciarvi, sempre che lo vogliate.

Le pagine di Flaiano che ho sotto gli occhi sono degli anni Cinquanta del secolo scorso, fase storica in cui il principale partito della sinistra italiana assunse posizioni per le quali, anni dopo, la storia ha preteso un perentorio “mea culpa”. Certo, più di qualcuno ha continuato a dire a lungo che allora tante cose non si potevano sapere, ma sono pietose bugie che ci si vuol raccontare, per non ammettere di essersi conformati – sia pure spesso in buona fede – alla linea dettata a mezzo stampa dal partito, ignorando bellamente altre fonti e altre versioni.

Uno degli staffettisti dello sciopero della fame in corso, Carlo Cuppini, ha accennato alle decine di testimonianze e racconti ricevuti, definendoli “semplicemente atroci”. Queste storie di discriminazione, soprusi, miserie, problemi di salute di vario genere – aggiunge Cuppini – “qualcuno le sta raccogliendo, molti qualcuno, e un giorno qualcuno bravo le racconterà. E voi direte: oh!”. In conclusione, amici conformistri: siete proprio sicuri di aver compiuto la scelta giusta, aderendo e contribuendo solo alla narrazione scaturita dall’alto, senza metterla in discussione? siete così convinti che il collettivismo in salsa giacobina sia stato il modo giusto di affrontare le cose? non vi sorge il dubbio che anche voi, un domani, dovrete raccontare a voi stessi qualche pietosa bugia?

Ad ogni buon conto, mi preoccupo poco per i conformistri incalliti: sospetto che la loro duttile coscienza saprà fargli credere di essere, come sempre, dalla parte del giusto al momento giusto. Ho speranze, tuttavia, che non saranno in pochi ad ammettere che si sono oltrepassati limiti che non si dovevano e potevano oltrepassare. Non è, però, né ai primi né ai secondi che si rivolgono le mie parole (anche perché ora non le leggerebbero). Questo testo è dedicato ai “sinistrati”: i delusi, gli orfani della sinistra, o di quella che si erano illusi fosse. Per loro spero di aver trovato qualche parola di conforto, in attesa di incontrarci in altre case, per altre strade.

Mi auguro che in tutti, su tutti i fronti, prevalgano presto le ragioni della pace, che a sceglier quelle non si sbaglia mai.

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