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lafionda

Amato, i referendum, la Costituzione

di Umberto Vincenti

Porrò alcune domande e darò una risposta: la mia. È molto importante che, giunti a questo punto, ci si cominci veramente ad interrogare intorno al nostro sistema politico-costituzionale, che dà forma (e anche sostanza) al potere pubblico qui, da noi, in Italia. Le domande sarebbero tante; mi limiterò a proporne qualcuna in connessione con la vicenda, recentissima, dei referendum.

Domandiamoci innanzi tutto se sia stato corretto che Giuliano Amato abbia indetto una conferenza stampa per comunicare – al popolo, penso – le ragioni delle decisioni assunte dalla Corte. La (mia) risposta è no. Al di là delle super-affettazioni giuridiche e da giuristi, anche la Corte Costituzionale agisce secondo il modulo della giurisdizione: essa esprime un giudizio su una certa pretesa e così la sua attività (in merito all’ammissibilità di un referendum abrogativo) è percepita dai cittadini. Ora, quel modulo esige che il giudicante (o il presidente di un collegio giudicante) non si presenti pubblicamente ad illustrare – con tono didascalico e persuasivo, anche un poco irritante – il perché di una decisione. D’altra parte, non vi è alcuna lacuna da colmare in quanto è previsto che l’ordinanza decisoria enunci i motivi della decisione.

Ricercare l’obiettivo che Amato avesse inteso perseguire con la conferenza stampa è irrilevante: la sua iniziativa ha la cifra non solo dell’irritualità, ma anche dell’inopportunità perché egli ha parlato quasi fosse un politico e, almeno nel ruolo che attualmente ricopre, non lo è: il suo dire è, ed è apparso, incongruo.

Seconda domanda: a proposito di congruenza, è congrua la disciplina vigente in tema di referendum popolare? Rispondo di no. Il referendum ha una sua ratio, una sua ontologia: è un dispositivo volto a rafforzare, e anche a non occultare o far obliare, la sovranità popolare pur quando (anzi, soprattutto) la res publica non sia a democrazia diretta, ma (caso nostro) rappresentativa. Ergo, il sistema politico-costituzionale di una repubblica deve congruamente favorire l’uso del referendum popolare. Ma la nostra Costituzione fa esattamente il contrario: non prevede il referendum propositivo (il popolo vincola il legislatore a emanare una certa legge); contempla il referendum confermativo (il popolo conferma una legge adottata dal parlamento) ma lo riserva esclusivamente alle leggi di riforma costituzionale che non siano state approvate con la maggioranza dei due terzi; e contempla il referendum abrogativo (il popolo abroga una legge vigente), però restringendone parecchio l’ambito applicativo (leggere l’art. 75, co. 2 Cost.).

L’esito è che, da noi, esiste praticamente il solo referendum abrogativo al quale è tuttavia espressamente interdetto di abrogare le leggi più importanti. Ma vi sono altri, e non irrilevanti, limiti. La proposta di referendum deve essere vagliata prima dalla Corte di Cassazione e poi dalla Corte Costituzionale. Il giudizio di ammissibilità riservato a quest’ultima è alquanto penetrante, alquanto esteso (e la Corte si è assunta in itinere anche il potere di stabilire il confine oltre il quale essa non andrà). Infine, non dimentichiamoci, il referendum abrogativo, se ammesso, riuscirà ad abrogare la legge solo se abbia votato la maggioranza degli aventi diritto

Ultima domanda. È congrua la composizione della Corte? La risposta è no. I giudici sono quindici e durano in carica nove anni (il che ne potrebbe inficiare l’indipendenza: negli USA sono nominati a vita). Un terzo è nominato dal Presidente della Repubblica, un altro terzo dal Parlamento in seduta comune, l’ulteriore terzo dalle supreme magistrature. Accade però (vi è una convenzione ad hoc che lo stabilisce, peraltro ignota ai più) che queste ultime eleggano solo magistrati. Doppia incongruenza: la prima è che un terzo dei giudici è creato da soggetti che non hanno alcuna investitura popolare; la seconda, più grave, è che questi soggetti eleggono chi appartenga al loro ordine, il che favorisce un certo corporativismo (che poi potrà vedersi quando dovranno assumersi certe decisioni). Allora, andando oltre le discipline in atto e i formalismi, e le finzioni, giuridiche, la conclusione è che quel terzo era in conflitto d’interessi nel giudizio di ammissibilità del quesito referendario in tema di responsabilità civile dei magistrati: quesito che poi, come sappiamo, la Corte non ha ammesso. A tutto ciò, mi pare, il Presidente Amato non ha naturalmente accennato; ma qualcosa del genere avranno pensato non pochi italiani.

Esulando ancora dalle strettoie (e dai trabocchetti) del diritto formale, si propone incidentalmente, pensando ad Amato, un’altra domanda: è congruo rispetto al modello repubblicano che, in una res publica, si possano continuare a occupare posizioni di (elevato) potere da un quarantennio? La risposta è sempre no: violazione – sostanziale – del fondamentale, e fondante, principio di alternanza.

La nostra Costituzione reca nel suo corpus incongruenze determinanti, divenute perfettamente strumentali alla conservazione di un assetto di potere e poteri tendenzialmente oligarchico. È tempo di avvedersene. Se questa Rivista è poco propensa al vincolo esterno (condivido senza riserve), è bene ricordare che un referendum ben lo potrebbe espungere o attenuare. Ma un referendum del genere è interdetto dalla Carta; e non vi è altra possibilità che riformare l’art. 75 (e altro ancora …).

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