Print Friendly, PDF & Email

federicodezzani

Considerazioni sulla prima settimana di guerra russo-ucraina

di Federico Dezzani

A distanza di una settimana dall’inizio delle operazioni russe in Ucraina, è tempo di stilare le prime considerazioni sul conflitto che sancisce l’inizio di una nuova era. Se è ancora troppo presto per le osservazioni di carattere militare, c’è molto da dire invece sull’assetto internazionale e sugli effetti economici-finanziari

La settimana che ha cambiato il mondo.

Sette giorni sono passati da quando, alle prime luci del 24 febbraio 2022, la Russia ha avviato la sua “operazione speciale” in Ucraina: sette giorni che hanno impresso l’accelerazione definitiva a quelle dinamiche geopolitiche che abbiamo sempre messo in luce in questi ultimi, convulsi, anni. Nel momento in cui l’articolo viene scritto, si sa che le forze russe hanno circondato Charkov ed un’analoga manovra di accerchiamento è in corso a Kiev. I successi più eclatanti sono certamente quelli riportati sul fronte meridionale, dove i russi sono riusciti a creare un ponte terrestre con la Crimea (con la sola esclusione di Mariupol, ancora sotto assedio) e a riallacciare la penisola al Dnper, riaprendo i cruciali canali d’acqua dolce. La recentissima conquista di Kherson, sulla foce del Dnepr, lascia supporre che in prospettiva i russi vogliano ricongiungersi alla Transnistria, via Odessa: si verificherebbe così lo scenario inizialmente ipotizzato di un’Ucraina nazionalista (con capitale Leopoli), senza accesso diretto al mare, mentre nella parte sud-orientale del Paese nascerebbe una repubblica filo-russa (con capitale Kiev, città di frontiera?).

Sulla conduzione prettamente militare della guerra, si sa ancora ben poco: dai video disponibili, è uscita confermata la rinomata passione dei russi per l’elicottero, impiegato sopratutto come moderno “carro armato”, a supporto quindi delle operazioni terrestri: il Kamov Ka-52, noto come Alligator, ha avuto il primo battesimo di fuoco in un grande teatro bellico europeo. Volo raso, blindatura pesante e possente armamento ne fanno un ottimo “tank” per effettuare rapide puntate in profondità, distruggendo le difese nemiche. I russi hanno ormai conquistato il dominio assoluto dell’aria, guadagnando quella tranquillità necessaria per effettuare i rifornimenti con lunghi convogli su gomma. La conquista di Charkov, importante nodo ferroviario, dovrebbe consentire ai russi di migliorare ulteriormente la logistica, che rimane la spina dorsale di qualsiasi campagna militare. Certo, lunedì 28 febbraio, si sono svolti in Bielorussia i negoziati russo-ucraini, ma è lecito supporre che il presidente ucraino Zelensky non voglia, nonostante la direzione disperata, scendere a patti con Mosca. Utile idiota degli angloamericani, Zelensky non si è infatti mai mosso nell’interesse dell’Ucraina, ma con l’obiettivo di sacrificare il suo Paese sull’altare di interessi geopolitici ben superiori: l’imposizione della sanzioni alla Russia.

Usciamo così dalla cronaca, per affrontare i temi decisivi: l’intera parabola della crisi ucraina, iniziata con la rivoluzione colorata del 2014 e terminata con la guerra di questi giorni, è stata studiata dagli anglosassoni per scavare un vallo tra Occidente e Russia, fino ad arrivare all’attuale interruzione de facto dei rapporti economici e politici tra le due parti. In particolare, l’escalation in Ucraina fomentata dagli occidentali mira, come ha candidamente ammesso il premier inglese Boris Johnson, ad imporre durissime sanzioni (come la sospensione della Russia dal sistema internazionale dei pagamenti SWIFT e la chiusura dei cieli occidentali ai voli commerciali russi) per “abbattere il regime di Putin”. L’esigenza angloamericana di rovesciare Putin non è affatto in contraddizione col “pivot to Asia” degli anglosassoni e l’individuazione della Cina come minaccia “numero 1”. Se, infatti, si imposta una corretta analisi geopolitica, basata sulla dialettica Terra-Mare, si comprenderà facilmente che la Cina è attaccabile e vincibile se, e solo se, ha alle spalle una Russia ostile o in stato di decomposizione: altrimenti il blocco russo-cinese non solo è autarchico ed invincibile, ma è anche in grado di effettuare pericolosissime offensive in direzione del Rimland. L’inscindibilità del binomio Russia-Cina spiega perché, durante questa prima settimana di guerra, Pechino abbia compiuto più di un gesto amichevole nei confronti di Mosca, come la decisione di togliere qualsiasi barriera all’importazione di grano russo, infondendo nuovo ossigeno all’economia russa.

L’accenno al Rimland ci consente di affrontare un altro tema cruciale dell’analisi. Ricordiamo che col termine “Rimland” si intende tutta quella fascia costiera dell’Eurasia che inizia in Corea e termina in Portogallo, passando per l’India. Il confronto tra il blocco russo-cinese e quello anglosassone si giocherà interamente in quest’area, secondo il motto di Spykman “Who controls the rimland rules Eurasia, who rules Eurasia controls the destinies of the World”. Una delle parti più pregiate del Rimland, forse la più preziosa in assoluto, è certamente l’Europa. Qui, i primi sette giorni di guerra russo-ucraina hanno certamente prodotto risultati profondi, anche se difficilmente duraturi. Innanzitutto, gli anglosassoni sono riusciti nell’intento di interrompere finalmente il gasdotto Nord Stream 2, incarnazione della temutissima collaborazione tra Berlino e Mosca. Non solo il progetto è stato interrotto (tanto che la società, con sede in Svizzera, ha dovuto licenziare i dipendenti e dichiarare bancarotta) ma, con una clamorosa inversione della politica estera tedesca post 1945, Berlino ha persino deciso l’invio di armi letali a sostegno dell’Ucraina (missili anti-carro ed anti-aerei). La decisione è ancora più sbalorditiva se si considera che l’attuale cancelliere, Olaf Scholz, appartiene alla SPD, che storicamente vanta rapporti privilegiati con la Russia. Compito della geopolitica è vedere oltre il polverone del campo di battaglia, per conoscere in anticipo cosa accadrà. Senza alcun dubbio, si può affermare che tutti gli interessi che hanno portato alla costruzione del Nord Stream permangono intatti, come permane intatto l’interesse di Berlino a inserirsi sulla direttrice economico-politico-logistica Mosca-Pechino. Passata la fase più acuta della crisi ucraina, è quindi inevitabile che la Germania tenda nuovamente ad instaurare una relazione speciale con la Russia. Ne deriva che l’attuale guerra ucraina verrà impiegata dagli anglosassoni anche per portare a compimento la destabilizzazione della UE, intesa come cornice economico-politica in cui prospera la Germania.

Dal 2011 in avanti, gli anglosassoni hanno sottoposto la UE ad una serie di choc crescenti: crisi finanziaria del 2011, ondate migratorie da Libia e Siria, crisi ucraina del 2014 con annesse sanzioni alla Russia, terrorismo dell’ISIS, Covid e quant’altro. La guerra russo-ucraina, il primo grande conflitto militare su suolo europeo dal 1945, è la crisi delle crisi. Come facilmente prevedibile, la guerra in Ucraina comporta innanzitutto un fortissimo choc energetico (il prezzo del gas è raddoppiato in pochi mesi ed il petrolio veleggia verso i 150$ al barile): per l’Europa, che è un’importatrice netta di energia, specie dalla Russia, è un salasso. Inoltre, il brusco aumento del prezzo di grano e cereali (Russia e Ucraina sono due dei più grandi granai al mondo) rischia di incendiare nuovamente il Nord Africa, ripetendo lo schema delle Primavere Arabe del 2011. L’Europa rischia così di trovarsi senza mercati di sbocco per le sue merci, senza energia, con una crisi migratoria interna e con un bacino mediterraneo in fiamme.

L’aspetto meno visibile ma più insidioso della vicenda è però quello finanziario: come abbiamo più volte evidenziato nelle nostre analisi, l’attuale rialzo dei prezzi ha chiari intenti destabilizzanti. Giungere ad un tracollo finanziario attraverso stretta monetaria (i tassi sono alzati dalle banche centrali per “raffreddare” i prezzi). Il rialzo di gas e petrolio sull’onda della guerra ucraina rischia così di tramutarsi, nell’arco di qualche mese, in un tracollo finanziario che avrà di nuovo come epicentro l’Europa e l’Italia in particolare, data la sua montagna di debito pubblico con rating vicino alla “spazzatura”. Senza mercati, senza energia, con una crisi migratoria interna, con un bacino mediterraneo in fiamme e in preda ad una crisi finanziaria, la UE infine collasserebbe, “sistemando” così per un certo periodo il quadrante europeo.

Un altro pezzo pregiatissimo del Rimland è certamente la Turchia, un crocevia sottoposto a pressioni geopolitiche da ogni lato. La condotta di Ankara, pur mantenendo qualche ambiguità (i turchi hanno fornito a Kiev i droni TB2 che hanno inflitto qualche danno ai russi nelle fasi iniziali della campagna), si è dimostrata sostanzialmente favorevole alla Russia: gli Stretti, la cui amministrazione spetta ai turchi secondo la convenzione di Montreux del 1936, sono stati chiusi alle navi da guerra soltanto il terzo giorno, lasciando ai russi il tempo di spostare le navi dal Mar Nero al Mediterraneo. Ancora più clamorosa è stata la decisione, presa il primo marzo, di non aderire alla sanzioni occidentali contro la Russia. Questo comportamento di un membro NATO può stupire solo gli osservatori superficiali di cose internazionali: come abbiamo più volte sottolineato, Ankara aveva iniziato ad allontanarsi dall’Alleanza Nord-Atlantica già prima del tentato colpo di Stato del luglio 2016, convergendo progressivamente verso la Russia (in rappresaglia, nel dicembre 2016, gli angloamericani avevano assassinato l’ambasciatore russo Karlov ad Ankara). Questa dinamica geopolitica, ormai ben radicata, spiega perché angloamericani e francesi si stiano attrezzando per sostenere un conflitto aeronavale anche contro la Turchia, militarizzando il Mediterraneo orientale e in particolare la base di Creta, in funzione anti-russa ed anti-turca.

Come all’avvicinarsi di ogni conflitto mondiale, l’Arabia saudita sceglie per il momento di restare equidistante dalle parti coinvolte nel conflitto, ma l’incancrenirsi della situazione politico-militare mondiale spingerà inevitabilmente Riad nel campo occidentale. Discorso analogo si può fare con l’India nazionalista di Narendra Modi che, per il momento, ha scelto di non aderire alle sanzioni anti-russe (essendo ancora un’importante importatrice di armi russe). Ovviamente, nessun segno di ostilità nei confronti della Russia è giunto dal Pakistan. Di rilievo, invece, è la posizione della Birmania, che ha espresso chiaramente la sua posizione favorevole all’intervento russo: il Paese asiatico è destinato ad assumere un ruolo di primissimo piano nei prossimi avvenimenti, essendo il ponte terrestre che collega la Cina all’Oceano Indiano, senza passare dallo Stretto di Malacca. Fuori dal continente asiatico, si può segnalare la benevolenza espressa da Brasile e Messico nei confronti di Mosca ma, ora come sempre, la partita decisiva si giocherà in Eurasia.

Sette giorni sono trascorsi dall’inizio della guerra russo-ucraina, ed il mondo è già irriconoscibile. Figuriamoci tra sette mesi!

Add comment

Submit