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lafionda

Per il negoziato. Una transizione pacifica verso un mondo multipolare

di Pietro Salemi

I fatti di questi giorni stanno portando il mondo a pochi passi da una catastrofe potenzialmente nucleare. Si sta scalando molto rapidamente una parabola conflittuale che, a partire da una guerra fratricida già in corso da ben 8 anni in Donbass (con ben 14.000 morti -tra cui almeno 4.000 civili- e oltre un milione e mezzo di sfollati) tende verso l’inimmaginabile epilogo di una Terza Guerra Mondiale.

Alla detestabile estensione ed acutizzazione del conflitto ucraino, scaturita dall’intervento militare diretto della Russia, l’occidente filo-statunitense ha scelto di rispondere a mano armata: nella sola giornata di ieri la UE ha deciso non solo di mettere in campo un ampio armamentario di sanzioni e strumenti ritorsivi (blocco selettivo su Swift, interdizione spazio aereo alla Russia, congelamento c/c russi in UE, censura preventiva sui media russi Sputnik e RT), ma ha anche ufficializzato un ingresso indiretto nelle ostilità militari, annunciando l’invio di armi letali (navi da guerra, caccia, carriarmati etc.) all’Ucraina.

Ora, da un lato, è lecito dubitare sull’efficacia delle sanzioni economiche e sull’auto-sabotaggio che esse implicano per la vita quotidiana dei popoli europei; dall’altro, si osserva un’incomprensibile e frettolosa commistione di misure ostili (economiche e militari). Per numero e intensità, tali contromisure hanno già di fatto esaurito i margini di successiva reazione che non si traducano in guerra aperta e diretta (id est, Terza Guerra Mondiale). In termini scacchistici, si direbbe che la UE si è già messa in zuzgwang, ossia nella condizione di perdere qualsiasi sarà la propria prossima mossa.

La parabola del conflitto è stata così rapidamente scalata che in soli 5 giorni di conflitto siamo già giunti a punti di non ritorno e all’esplicito ricorso alla propaganda bellica anche nelle cd. democrazie occidentali.

È, dunque, il momento del supremo coraggio di fermarsi due passi prima del burrone in cui potremmo rapidamente sprofondare a causa degli appetiti imperialistici delle élite capitalistiche (in totale spregio della volontà dei popoli e delle sofferenze che sta già patendo il popolo ucraino).

In tanti si riempiono la bocca di pacifismo di cartone e auspicano la risoluzione pacifica solo finché essa contempli l’impregiudicatezza delle pretese occidentali (espandibilità ad infinitum della sfera di influenza economica -UE- e militare -NATO-). Invece, si dovrebbe essere chiari almeno su un punto fondamentale: negoziare significa mediare tra interessi contrapposti di guisa che, alla fine dell’attività negoziale, ciascuna delle parti possa dirsi parzialmente soddisfatta (nel conseguimento dei propri interessi salvaguardati dall’accordo raggiunto) e parzialmente insoddisfatta (nel mancato conseguimento degli interessi sacrificato per raggiungere l’accordo).

Da ciò discende che un primo ed indispensabile passo di ogni negoziazione è l’individuazione degli interessi da mediare.

Gli interessi russi sono piuttosto noti e affondano le loro radici nella storia contemporanea. Innanzitutto, ciò che viene rivendicato, prima per via diplomatica ed ora con i mezzi ingiustificabili del conflitto armato, è il mancato rispetto dell’impegno offerto dalla NATO, all’indomani dello scioglimento dell’URSS, di non estendere più ad est della Germania i propri confini di alleanza militare. Si punta, in tal senso, alla neutralità militare e atomica dell’Ucraina (dalla NATO). Si noti che tale punto implica l’ingresso al tavolo di un ulteriore attore della controversia: la NATO ed in particolare gli USA, quale potenza egemone nell’ambito di un’alleanza che, secondo la percezione russa, potrebbe continuare la propria espansione anche verso altri Stati confinanti (quali la Georgia). Tale aspetto risulta decisivo per il buon esito di ogni appeasement: ogni negoziazione è, infatti, destinata a fallire qualora al tavolo non vengano ricompresi tutti gli attori rilevanti.

In aggiunta a ciò, la Russia è portatrice anche di ulteriori interessi: l’instaurazione a Kiev di un “governo amico”; il riconoscimento dell’indipendenza del Donbass o almeno il rispetto degli Accordi di Minsk, con la conseguente decentralizzazione del potere delle Repubbliche separatiste del Donbass (cd. “legge sullo status speciale”); il riconoscimento del bilinguismo e la tutela dei diritti delle minoranze russofone in Ucraina; il disarmo e la recisione di ogni rapporto tra il governo ucraino e i gruppi neo-nazisti ed ultra-nazionalisti ucraini che si sono macchiati di massacri (come quello di Odessa, in cui sono state arse vive 42 civili all’interno della Casa dei Sindacati), stupri e violenze contro le popolazioni russofone.

Per contro, gli interessi ucraini principali sono all’immediata cessazione delle ostilità belliche nel proprio territorio ed al rispetto della propria sovranità e integrità territoriale. Inoltre, l’attuale governo ucraino ha più volte manifestato l’interesse a entrare nell’Alleanza Atlantica e, da ultimo, nell’Unione Europea (con procedura d’urgenza).

Sin qui, gli interessi al tavolo, seppur aspramente contrapposti, potrebbero risultare componibili in via mediazione, procedendo alla riduzione degli interessi rilevanti a quelli razionalmente, politicamente e giuridicamente argomentabili. Realisticamente, l’accordo chiave per una pace immediata potrebbe forse chiudersi sul riconoscimento dell’integrità territoriale ucraina e sulla completa neutralità dell’Ucraina e la sua demilitarizzazione: nè USA, nè Russia, si potrebbe dire.

C’è, però, il convitato di pietra: gli USA, appunto, quale potenza egemone della NATO. L’interesse di questa terza parte è al mantenimento dell’attuale politica della “porta aperta” per l’ingresso nella sfera di influenza economica e militare americana che è il mezzo attraverso il quale la super-potenza statunitense sta procedendo nell’ultimo trentennio nella strategia di accerchiamento di Russia e Cina. L’interesse diventa così una questione di principio e di strategia difficilmente componibile: mantenere un determinato ordine mondiale unipolare, con gli Stati Uniti al vertice di un sistema in cui essi detengano il monopolio nell’uso della forza internazionale. In quest’ottica, USA e alleati difendono l’asimmetria nei rapporti di forza internazionale maturata a partire dal dissolvimento della superpotenza sovietica: è del tutto evidente, infatti, che nessuna espressione di sovranità o autodeterminazione dei popoli potrebbe mai giustificare una simmetrica installazione di un’alleanza militare (e delle sue batterie missilistiche) alle porte di Washington (ad esempio, in Messico o, per dire, a Cuba).

In aggiunta a ciò, gli USA perseguono anche cinicamente l’obiettivo di allontanare i propri partner europei dalla Russia per ottenere il duplice risultato di penalizzare l’export energetico russo e di sostituirlo con il proprio a prezzi maggiorati.

Per queste ragioni, se solo esistesse dal punto di vista geopolitico una qualche entità europea indipendente dal vassallaggio di Washington, essa avrebbe il compito storico di non essere attore al tavolo, bensì mediatore per una transizione pacifica verso un mondo multipolare in cui l’Europa e il Mediterraneo possano prosperare come zona di pace, democrazia e diritti.

Invece, abbiamo l’UE. E così, in luogo di costruire ponti di pace, avanziamo verso il baratro della Storia emanando sanzioni che saranno inefficaci sulla Russia e devastanti per la popolazione europea ed inviando al fronte navi da guerra, caccia e panzer mentre sventoliamo la bandiera della pace in pieno delirio dissociativo.

Mentre ricordiamo il monito di Albert Einstein (“Non so con quali armi si combatterà la Terza guerra mondiale, ma la Quarta sì: con bastoni e pietre.”), non possiamo comunque rassegnarci a credere di essere in minoranza anche nel non volere l’ingresso dell’Italia in una guerra potenzialmente nucleare.

Ancora una volta, è la Costituzione a farci da bussola: se l’Italia ripudia la guerra è il momento di dimostrarlo.

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