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Criminale di guerra a chi?

di Leonardo Mazzei

Madeleine Albright, una vera e “democratica” criminale di guerra

Il 23 marzo è morta Madeleine Albright, personaggio chiave dell’interventismo falso-umanitario dell’America clintoniana. La data della sua scomparsa ha un che di simbolico: il giorno prima del 23° anniversario dell’attacco alla Jugoslavia di cui fu assoluta protagonista, tre giorni dopo la ricorrenza di quello all’Iraq del 2003, nel pieno della guerra in Ucraina frutto di quell’allargamento della Nato in funzione anti-russa di cui fu grande fautrice in qualità di Segretario di Stato americano (1997-2001).

Oggi tutti la ricordano come la prima donna ad aver ricoperto quella carica. Nel frattempo, altre donne hanno avuto lo stesso onore, ed hanno avuto modo di compiere gli stessi crimini (Condoleezza Rice 2005-2009 e Hillary Rodham in Clinton 2009-2013).

La figura della Albright è però più importante, perché quei crimini non li ha solo compiuti, li ha anche teorizzati.

Nel settembre 2017, l’allora presidente ucraino Petro Poroshenko, salito al potere a Kiev dopo il golpe filo-americano del 2014, si recò in visita oltreoceano dai sui mandanti a stelle e strisce. Ma prima di prendere l’aereo per gli Usa gli aveva fatto visita, in qualità di presidente di una Ong del deep state statunitense, proprio la Albright. La quale gli aveva esposto un piano ben preciso: farsi consegnare armi dagli Stati Uniti per attaccare militarmente la Crimea ed il Donbass. In tutta evidenza, un piano che qualche sviluppo lo ha avuto…

Del resto, fu proprio la Albright a benedire nel 1999 l’ingresso nell’Alleanza atlantica di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca. Un ingresso in contemporanea sia con la prima azione militare su larga scala della Nato (quella già ricordata contro quel che era rimasto della Jugoslavia), sia con la sua adozione del “Nuovo concetto strategico” volto a proiettarla in una dimensione più aggressiva a tutto tondo.

Tutto questo potrebbe sembrare ancora poco per definirla una criminale di guerra. Ma c’è qualcosa di più. Correva l’anno 1996, e la signora Albright, che allora rappresentava l’amministrazione Clinton all’ONU, veniva intervistata dalla giornalista della CBS Lesley Stahl in merito alle sanzioni volute dagli Usa contro l’Iraq.

Chiede l’intervistatrice: «Abbiamo saputo che sono morti mezzo milione di bambini, più di quanti ne uccise la bomba di Hiroshima. Valeva la pena far pagare un simile prezzo?».

La risposta della Albright non lascia spazio ai dubbi: «Credo che sia stata una scelta molto difficile, ma quanto al prezzo, pensiamo che ne valesse la pena».

«Ne valeva la pena», avete capito bene. Ora, è vero che quando si parla di vittime innocenti l’importanza dei numeri è relativa, ma oggi chi tuona contro Putin dovrebbe vergognarsi. Non solo le perdite tra i civili stimate dall’ONU in Ucraina sono incommensurabilmente più basse di quelle inflitte all’Iraq (ed anche a quelle causate alla piccola Jugoslavia!), ma una cosa sono le vittime conseguenti ad un conflitto militare, altra cosa quelle scientemente perseguite con un programma sanzionatorio di annientamento. Programma che, giova ricordarlo, continuò a mietere vittime nella Terra dei due fiumi fino al 2003, quando Bush passò di nuovo ai bombardieri…

Ecco, questa era Madeleine Albright: una criminale di guerra dichiarata e rea confessa. Ma una criminale dalla parte “giusta”, quella dell’imperialismo americano. Anche su questo la ministra di Clinton ebbe certamente il dono della spudoratezza. Per lei gli Usa erano l’«unica nazione indispensabile» al mondo. Dunque, le altre nazioni potevano (e possono) essere tranquillamente aggredite e distrutte, basta che a farlo siano gli Stati uniti d’America. Dunque, poche chiacchere: loro sono il Bene, chi gli si oppone il Male assoluto.

La propaganda ha sempre accompagnato ogni guerra. Ma quella ancor più assordante di questi giorni deriva in buona parte dall’ideologia imperiale americana ben espressa nella sua crudezza dalla Albright. Chi oggi attribuisce ogni male a Putin avrebbe da riflettere, ma dubito che lo farà.

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