Print Friendly, PDF & Email

sinistra

Non guerra solo in grande Europa

di Nicola Licciardello

Effettivamente, scrive Andrea Zhok in Cecità1, oggi la vera sfida è “non soccombere alla depressione, in quanto l’Occidente europeo vive una doppia tragedia, geopolitica e culturale”. Certo, chi è in Ukraina soccombe alle bombe o spara (o fugge), altrove c’è solo l’impotenza: non poter cambiare la politica dei governi che, da tre generazioni, ripetono fino al suicidio i dictat atlantici. Sembra ieri, quando a fatica era parso a Glasgow di trovare un minimo accordo ecologico – la necessità di una svolta energetica verso le rinnovabili e la fine dei fossili, con scadenze impegni penalità – ora di colpo i fossili tornano alla ribalta, preziose fonti di sopravvivenza ma anzi d’investimento, vista la risposta russa in rubli alle autolesionistiche sanzioni occidentali. Sanzioni-punizioni, senz’altro scopo logico, in osservanza al vecchio modello (ideologico) religioso, esecrazioni e condanne morali, o puri insulti che, dall’alto del commander in chief, l’intero occidente è tenuto a replicare, ostacolando le transazioni, bloccando i flussi e con ciò stimolando le speculazioni, facendo lievitare i prezzi, inventando nuovi problemi, intralciando i commerci e affamando le popolazioni... “è il capitale, bellezza, il capitale e la sua Borsa !” Il vero Iddio e la Sua consorte. Ma nemmeno le Autorità monetarie sono ormai in grado di prevedere le più elementari ripercussioni ?

E così, anche stavolta si ricomincia, con un po’ di movimento: “la guerra è padre, re di tutte le cose” (Eraclito). Spesso si omette la seconda parte della sentenza: “svela gli uni dei, gli altri uomini; gli uni liberi, gli altri schiavi”. Dunque (sia detto senz’ombra di cinismo) è più rapida, effettiva di una tornata elettorale, infinitamente più coinvolgente proprio perché tragica – oggi anzi troppo cruenta, quindi riproposta come tabù – ancor oggi però potrà servire a stabilire chi sono i vinti e chi i vincitori ? Vincerà sempre l’impero americano, o magari l’oriente ? E l’Europa ? Sono decenni che ci bombardano già con metafore, “nuovi paradigmi”, “la fine della storia”, l’eclisse del dollaro e l’emergere di un’altra moneta-misura di tutte le cose. Che sia arrivato il momento ?

Cerchiamo un po’ di capire la natura, e il valore simbolico delle forze in campo. Occorre però intanto riepilogare per l’ennesima volta quanto ormai ammesso persino dai media occidentali di regime: 1) che l’invasione armata russa dell’Ukraina è sì cominciata il 24 febbraio scorso; ma 2) in seguito a otto anni di guerriglia, a partire almeno dal 2014, con a capo milizie naziste (battaglione Azov, Bandera etc); 3) milizie finanziate e/o direttamente bene armate dagli Usa e dalla Nato (già presente sul suolo ukraino); che 4) d’altra parte regioni russofone come il Donbass avevano richiesto l’autonomia e subito violenze da parte dei ‘fratelli’ ukraini nazisti; che 5) gli accordi di Minsk del 2015 sono stati disattesi; 6) così come le promesse di tutti i presidenti americani a partire da Clinton, che la Nato non si sarebbe espansa a est; 7) ripetute proposte russe di accordi sono state rifiutate o ignorate.

Se tutto questo è vero, non ci vuole molto a capire perché quel pazzo di Putin si ostini a chiamare la sua una “speciale operazione di denazificazione”, o addirittura “liberazione” dell’Ukraina: si tratta infatti dello sviluppo di una vera guerra civile, fratricida già in corso, dove una parte, quella ‘convertita’ alle sirene d’occidente, rischia di prevalere su quella più tradizionalmente fedele alla sua storia, lingua ed etnia filorussa. Questa configurazione è decisiva, addirittura può gettare nuova luce su eventi e interpretazioni per noi mitici, come la caduta del Muro di Berlino del 1989 ! Possono bastare trent’anni o poco più, per rischiare di capovolgere la lettura di un evento “epocale” ? Certo, finché non comprendiamo a fondo la natura degli Imperi dopo il 900. Quello sovietico è stato, nel bene e nel male dell’ambiguità staliniana, l’impero del “Socialismo in un paese solo” ma anche dell’ “Internazionalismo proletario”, tramite un molteplice scambio culturale, politico ed economico con molti altri paesi di ogni continente. Il tramonto-suicidio di questo impero nel 1991 non implica anche la tabula rasa del suo stile, russo e in parte asiatico, dei suoi caratteri, del suo linguaggio, del suo potere e del suo popolo. Tutte qualità che l’occidente europeo non è più in grado di valutare, avendo svenduto la sua storia, le sue identità all’apparato pubblicitario dell’altro impero del 900, quello americano.

Anche qui Zhok mette il dito nella piaga, riprendo le sue parole perché molto efficaci per ciò che un tempo si chiamava “critica dell’ideologia”: “Il mondo in cui ci muoviamo è integralmente formato da modelli, format e contenuti d’importazione americana ... non siamo più in grado di immaginare forme di vita diverse da quelle fittizie proiettate dall’advertising americano... persino l’apprezzamento che abbiamo per le nostre città o i nostri territori passa per la patinatura della filmografia americana, ci emozioniamo nel vedere con gli occhi di Hollywood il glamour di Parigi o le vie di Roma...” Tristissimamente vero, ma non solo: abbiamo a tal punto introiettato le tecniche, le retoriche della pubblicità che non potremmo farne a meno, che non esiste più entità made in Europe – cosa, fatto, libro, pièce, musica che non sia sponsorizzata, pubblicizzata e ibridata prima ancora di nascere, incastrata in un repertorio, una moda, una routine. Il nuovo nasce già vecchio, anzi morto. Anche perché non abbiamo nemmeno più parole nostre per la vita di tutti i giorni.

Volgarizzazione (e non divulgazione), taglio dei classici, della complessità, del tempo di contemplazione, impoverimento... ma in cima a tutto narcisismo, culto dell’io, dell’unico referente individuale, per cui “è un problema tuo”, “assolutamente”, “il punto non è questo” etc etc: la simil vita (diceva Carmelo Bene) si snoda in questi vani, schizoidi e divisivi intercalari.

E’ ormai ovvio che, come nei due anni precedenti per la pandemia, l’intero programma ‘scientifico’ e pratico ordinato dagli Usa mira all’assoggettamento totale dell’Europa isolandola dalla Russia. Balcanizzazione integrale dell’Europa e McDonald al Cremlino – prima di affrontare l’antico “pericolo giallo”. Ma non è così semplice: e se, per una eterogenesi dei fini, il raddoppio delle spese militari tedesche portasse a una reviviscenza del Deutsche Volk, ancora scritto sul frontone del Bundestag ? se si ritorcesse contro i “liberatori” un nuovo nazionalismo eurogermanico ? se si comprendesse che la faglia non è l’Oder, ma il vecchio atlantico, se finalmente s’intuisse che la geopolitica viene prima dell’impero capitalistico ? che i nostri fratelli sono davvero i vicini di casa, prima di quelli che sono scappati per fare i fattacci propri: occupare terre sterminando popoli e mandrie che vi pascolavano, uccidendosi a vicenda e avanzando verso la fine della Terra, vanamente inseguendo il tramonto del sole.

Ma siamo davvero pronti a tutto questo ? Possiamo rinunciare all’identificazione con gli eroi yankee, con la loro ubris, dismisura, la loro sete inestinguibile, la loro tragicità – senza patria, senza vero amore da parte di alcun altro popolo – odiati da tutti, ma ammirati per la loro temerarietà, per il loro Furore blasfemo, unici Giganti cui affideremmo la difesa del pianeta Terra (purché spinti da vettori russi!). Possiamo ‘rinunciare’ a Kennedy, a Bob Dylan, a Marilyn, a Martin Luther King – e cominciare a capire cosa diceva il Grande Inquisitore di Dostoevskij, o la Terza Roma di Solovev, cosa cantava Mandel’stam e perché Florenskij sognava ancora l’icona ortodossa nel ventesimo secolo ?

Il mio articolo precedente, sulla pace nell’inseparabilità della Russia dall’Europa occidentale, dovrà continuare a fare i conti con la tradizione russa, all’Eurasia di cui accenna su “Limes” Dario Citati2.


Note 
1 In “Sinistrainrete” articoli brevi 26/03/22, stesso numero ove compare il mio intervento.
2 Dario Citati, Mille e un’Eurasia. Immaginario e realtà nella geopolitica russa, “Limes” 2, 2022.

Add comment

Submit