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rifonda

Falsi e veri lacchè

di Angelo d’Orsi

In un post su Facebook il sottoscritto rilevava che una foto pubblicata da La Stampa, un paio di settimane fa, e spacciata, nella sostanza come opera dei russi, era invece una immagine (tra l’altro rubata al suo autore e pubblicata senza autorizzazione) che ritraeva una strage appena compiuta dagli ucraini in Donbass. E Il Fatto ne diede puntuale resoconto per la penna di Tommaso Rodano. Scrissi una lettera al direttore del quotidiano torinese Massimo Giannini per deprecare questo “errore” (per niente casuale), e Giannini andò in tv a raccontare che al suo giornale non interessa chi compia “la carneficina” (questo il titolo a tutta pagina de La Stampa), ma solo mostrare “gli orrori della guerra”. E non contento, lancia un tweet in cui insulta “pseudo storici, sedicenti giornalisti e miserabili lacchè di Santa Madre Russia”, con evidente riferimento al sottoscritto.

Vado, due giorni fa, al programma de La 7 “Piazzapulita”, di Corrado Formigli, il quale (dopo mezzanotte) mi dà la parola e dopo la prima mezza frase vengo interrotto da un gentiluomo a me ignoto, presentato come Stefano Cappellini (scopro poi essere addirittura “Capo della Redazione Politica de la Repubblica”).

Per un’ora di trasmissione, Cappellini non fa che interrompere, comportandosi come uno di quegli “spezzatori di comizi” che affiancavano gli “spezzatori di scioperi”, nelle lotte proletarie, secondo la bella definizione di Antonio Gramsci, autore certo poco noto e per nulla praticato da Cappellini. Il quale peraltro non riesce ad argomentare alcun concetto, al di là delle interruzioni a mio danno.

Il giorno dopo sempre il suddetto lancia dei tweet in cui mi inserisce nella categoria dei “rossobruni” (a me ignota finora; in tv mi aveva inserito fra i “terrapiattisti”), e oggi ci fa addirittura un articolo con tanto di foto. Sbatti il mostro in prima pagina. Cappellini non è tenuto a sapere che mi sono laureato con Bobbio con una tesi su “La filosofia della pace”, che sono stato allievo e collaboratore di Aldo Capitini, il grande teorico della nonviolenza, e che ho sempre scritto saggi articoli e interi libri non solo “sulla” guerra ma “contro” la guerra. Oggi, prendiamo atto che la “Stampubblica” (anche più del Corriere) è espressione paradigmatica del pensiero unico e del “maccartismo 2.0”. Se tu provi a fare analisi, che non possono che essere complesse data la complessità della situazione in cui la guerra in corso si colloca, ti si costringe a premettere che sei contro Putin, e che tutto il resto, come l’informazione (lo ha testualmente dichiarato il Cappellini da Formigli), non conta.

E invece conta. E lui può disporre del suo giornale per insultare, aggredire, squalificare. Per fortuna ci sono ancora zone di resistenza del pensiero libero, come Il Fatto Quotidiano, l’Avvenire e Il Manifesto, che non hanno certo una linea politica da portare avanti, se non quella dello sforzo di una informazione a 360 gradi. E con buona pace dei Cappellini, dei Giannini (ma anche dei Rampini e dei Gramellini…) l’informazione è decisiva, oggi, come in tutti i contesti di guerra, anzi fondamentale. Come scrisse il compianto Danilo Zolo, in questi conflitti post-1989, l’informazione non è più neppure “strumento di guerra”; ma è essa stessa guerra.

E perdipiù una guerra ineguale, una guerra ad armi impari. Ma una guerra a cui siamo chiamati, anche se si parte svantaggiati. E la mia opinione è che il popolo italiano sia meno stolto di quanto costoro lo considerino. E a dispetto delle etichette che incollano al sottoscritto, o ad altri (Luciano Canfora, Franco Cardini, Tomaso Montanari, Alessandro Orsini e via seguitando…), insisterò, nel mio sforzo di analizzare e argomentare. E stavolta sintetizzo con le parole di una storica francese, Annie Lacroix-Rix, che ha scritto pochi giorni fa: “Questa guerra, per quanto deplorevole, è stata annunciata molto tempo fa, e le voci ragionevoli di militari, diplomatici e accademici in Occidente, che non hanno accesso a nessun grande organo di “informazione” privato o statale, sono categoriche sulle responsabilità esclusive e di lunga data degli Stati Uniti nello scoppio del conflitto che hanno reso inevitabile”. Si può dissentire, certo.

Ma se i fatti storici sono determinati sempre da tre fattori, il conflitto in Ucraina – che non è la guerra dell’Ucraina, ma della Nato contro la Russia, e della sorte della popolazione ucraina non importa un accidenti a nessuno – lo conferma: i fattori sono gli individui (in questo caso la decisione, che condanno, di Putin di attaccare), il contesto (il golpe di Euromaidan, la presenza di forze neonazi in Ucraina, i 15 mila morti in Donbass provocati dagli ucraini tra la popolazione russofona e russofila) e il caso (fin qui non determinante, ma fattore sempre importante). La combinazione dei tre ha condotto alla guerra. E mandare armi, o pensare di mandare soldati, e aderire alla logica delle sanzioni di cui l’Europa (e l’Italia in primis) subirà le conseguenze, sono tre scelte scellerate. E dobbiamo dirlo. A dispetto dei “lacchè”, non di “Santa Madre Russia”, ma, piuttosto, dei padroni dei media, tra l’altro tutti coinvolti nei giganteschi affari dell’economia di guerra, ossia produzione di armi, mezzi militari, proiettili. Sarà un caso?

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Comments

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Mauro
Tuesday, 12 April 2022 12:46
Analisi corretta, solo che l'autore dimentica (o, molto più probabilmente, finge di dimenticare) e non cita, tra i giornali "non allineati al pensiero unico", anche LaVerità: perchè? Forse è infastidito dal fatto che un giornale di destra esprima le stesse identiche opinioni di quelli di sinistra?
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Gian Nicola De Martini
Monday, 11 April 2022 07:38
L'analisi di Angelo d'Orsi sulle cause e le responsabilità del conflitto in Ucraina, appare senz'altro convincente e corretta. Non credo, d'altronde, che ci siano alternative.
Trovo per questo inspiegabile e singolare che, alla fine della giusta disamina dei fatti, l'Autore venga fuori a dire che "....la decisione, che condanno, di Putin di attaccare". Vorrei chiedere a d'Orsi: cosa doveva fare Putin? Lo chiedo senza alcun intento polemico e senza sarcasmo.
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