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domenico de simone

Prospettive economiche per l’Italia con la guerra in corso

di Domenico De Simone

Lasciate perdere le sciocchezze che raccontano i politici nostrani che, pur di servire il loro padrone americano, sono capaci anche di farti credere che possiamo costruire in sei mesi impianti che producono energia dal metano delle latrine pubbliche (gli antichi vespasiani da ripristinare al più presto) e che gli asini volano (su questo, devo dire che non avrebbero tutti i torti, viste le fulminanti carriere di certi asini che “volano” nell’empireo della politica). D’altra parte, li avete votati e ora ve li tenete così come sono, ignoranti, voltagabbana, poltronari, ipocriti e servi del potere finanziario. Per chi vuole riflettere, offro in comunicazione questo report dell’ufficio studi del noto sito di complottisti e “novat-telappesca” (neologismo che propongo per indicare tutti quelli che non la pensano esattamente come il mainstream vorrebbe che (non) pensassero) che si chiama Banca D’Italia. In questo report, fottendosene delle minchiate dei politici, si dice chiaramente che se la guerra finisce domani mattina, la crescita del Pil dell’Italia si attesterebbe quest’anno intorno al 3% (rispetto all’ottimistico 4,2% delle precedenti previsioni), se durasse ancora due o tre mesi, la crescita sarebbe non superiore al 2%, e che se invece la guerra durasse a lungo, si entrerebbe per almeno due anni, in una spirale recessiva per cui il Pil calerebbe di almeno lo 0,5% all’anno.

Il tutto per le conseguenze delle sanzioni imposte alla Russia per mandarci a fare la guerra per conto degli americani.

Altro che scelta tra condizionatori e pace, qui si tratta di andare a distruggere quel poco che è rimasto della piccola e media impresa italiana che è manifatturiera e fortemente energivora. Abbiamo un’inflazione da costi altissima, che è balzata dallo zero virgola in cui vegetava da anni, all’attuale 7,5% e che inciderà pesantemente sui costi per la sopravvivenza di milioni di italiani, dato che il costo dell’energia si riflette a cascata, sui prezzi di gran parte dei prodotti necessari per vivere. Avremo il sistema produttivo che andrà a singhiozzo cercando di fare risparmi sull’uso dei macchinari per evitare costi di produzione che superano i ricavi: molte aziende hanno già sospeso la produzione, (vedi il report di Confindustria, altro noto sito di “novattelappesca“) il che significa che molti lavoratori stanno in cassa integrazione. A prescindere dalla banale considerazione che non si sa come si pagheranno gli oneri di questa cassa integrazione, per chi ci finisce dentro e si ritrova a dover pagare bollette e costi alimentari raddoppiati o quasi, c’è il serio rischio di non farcela a fine mese, e di dover scegliere se pagare la luce e il gas o tirare la cinghia e non mangiare. Bella alternativa che, come la storia insegna, è il preludio a rivolte per il pane, che poi sono quelle che portano la gente a scendere in piazza per esprimere tutta la loro rabbia nei confronti del sistema che li ha ridotti in queste condizioni. Sulle nostre teste incombe sempre l’incubo della pandemia prossima ventura e dell’ennesima variante del virus a complicare la situazione di famiglie e imprese. Difficile dare torto a chi scegliesse le vie spicce di andare a spaccare qualche testa o qualche vetrina per esprimere la propria rabbia impotente. Anche perché si scopre che gli altri, che ci hanno indotto a metterci l’elmetto e a spendere risorse importanti per andare in guerra, poi fanno i furbi e si fanno gli affari loro. Nel mercato del petrolio impazzano le vendite della “Miscela lettone“, termine coniato dalla Shell. la multinazionale britannica del petrolio. Scusatemi l’espressione poco edificante se dico che gli inglesi sono stronzi e furbissimi. Per aggirare il blocco delle transazioni sul petrolio russo, i nostri eroi si sono inventati di mescolare petrolio russo a petrolio di altre provenienze, e l’operazione viene fatta nel porto di Riga, notoriamente molto attrezzato e con depositi di petrolio giganteschi. La mescola, prevede l’uso del 50,01% di petrolio di altra provenienza, e del 49,99% di petrolio russo, e ne viene fuori una miscela che è stata appunto denominata “Miscela lettone” e che formalmente non è petrolio russo. I capitalisti, quelli veri, ci sanno davvero fare: salvano la loro sporca coscienza e continuano a fare i loro sporchissimi affari, alla faccia dei finti capitalisti nostrani che si sono messi l’elmetto in testa e sono incapaci di fare profitti o immaginare soluzioni per qualsiasi cosa. A proposito di soluzioni nostrane, i nostri giacimenti di gas hanno una potenzialità di estrazione di 151 miliardi di metri cubi all’anno, il doppio di quello che è il consumo di gas attuale che, per l’Italia è pari a 76,1 miliardi di metri cubi (dato del 2021). Adesso ne estraiamo circa 1,5 miliardi di metri cubi, una goccia rispetto al mare che ci serve per la transizione alle energie da fonti rinnovabili che, si ricorda, dovranno sempre essere integrate da fonti fossili per la discontinuità delle fonti alternative e almeno finché non si troverà una maniera economica per stoccare l’energia (forse con l’idrogeno). Insomma potevamo essere tranquillamente autonomi per le fonti energetiche, e invece dobbiamo comprarci il GPL americano, che costa una cifra e ringraziarli pure, ci siamo legati mani e piedi al gas russo, e ora stiamo andando in giro per l’Africa e il Medio Oriente a chiedere a paese notoriamente governati da sinceri democratici (come l’Algeria, la Libia, gli Emirati, l’Arabia Saudita, l’Azerbaigian eccetera, di darci il gas a prezzi decenti e con la massima fretta. La risposta è ovviamente di mercato, nel senso che se il gas ti serve di corsa, se no ti devi attaccare alla proverbiale canna del gas, lo paghi una cifra, almeno quanto te lo mettono i generosi americani ai quali peraltro, costa un botto visto che lo producono in eccesso con la tecnica (pericolosa e costosa) del fracking. A proposito del fracking, sette anni fa, a gennaio 2015, scrivevo questo articolo, nel quale cercavo di dare una spiegazione all’improvviso crollo del prezzo del petrolio che, a quel tempo, era stato letto come un episodio della guerra degli americani contro i russi, ma al quale io davo una spiegazione affatto diversa. i costi di produzione del gas e del petrolio con il fracking sono decisamente più elevati dei costi di normale estrazione dal terreno che sopportano i paesi produttori, e il crollo improvviso del prezzo del barile, passato in brevissimo tempo da oltre 100 dollari a meno di 50 dollari, andava letto come una manovra per rendere non competitivi gli enormi investimenti americani per sfruttare i giacimenti di gas di scisto. Questo spiega il forte interesse degli americani di tenere alto il prezzo del petrolio e del gas, che rende possibile l’utilizzo di questa tecnica per produrre gas e petrolio. Il tutto alla faccia dei gonzi europei che, con queste formidabili manovre, hanno visto il costo dell’energia di cui hanno estremo bisogno per alimentare la loro industria manifatturiera, moltiplicarsi per due, poi per tre poi per quattro e persino per dieci volte quello che pagavano prima. Il tutto senza che nessuno sollevasse la questione, magari facendo capire che gli interessi americani sono un pochino diversi da quelli europei.

Insomma siamo alla canna del gas. Ma che diamine, almeno che qualcuno la passi questa canna! (I soliti egoisti. Come cantava Stefano Rosso in “Questa è una storia disonesta“!)

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