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sinistra

Guerra di religione?

di Nicola Licciardello

Cercando di scrivere un articolo sulla guerra e il buio del futuro – vengo sopraffatto dal Presente. Più che immersi siamo schiacciati sull’attualità, non solo sui suoi paradigmi ma anche sui suoi moduli, sui suoi format, ne siamo parlati e formattati. “Chi controlla il presente controlla il passato, e chi controlla il passato controlla il futuro” (Orwell, 1984). Non c’è tempo per riflettere o esaminare (tanto meno criticare) un’idea sulla guerra, una teoria sulle sue cause e logiche conseguenze – è qualcosa che sembra non interessare più, di fatto siamo o preferiamo essere fusi nel-dal flusso informativo, non ricordiamo la news di un minuto fa, perché dopo pochi secondi un’altra la smentisce – non una ma dieci, cento, nei mille canali del turbocapitalismo mediatico (Fusaro) o cosmopolitismo fucsia: ciascuna è un inverificabile aggiornamento dell’altra... e il flusso vanifica la possibilità di distinguere tra verità e propaganda, tra informazione e talk show, tutto è fluido, dipende dall’orizzonte, tutto s’annulla nella “società liquida” (Bauman).

Così non sappiamo a che punto è questa guerra: le dichiarazioni dell’aggressore Putin, per esempio quelle dell’inizio (“denazificare l’Ucraina”) sono a priori considerate false, e sostituite con le sue (mai dichiarate) intenzioni di una blitzkrieg. L’attuale campagna del Mar Nero, non dichiarata all’inizio ma ben logica, non promette nulla di buono. Mentre ciò che vuole il Servant of the People Zelensky è dichiarato e reiterato: soldi contanti, armi sofisticate, truppe, volontari freschi, fino alla doverosa rotta della Russia, ergo Ukraina che entra nell’Unione europea con la Nato dentro, diventando la sua testa di ponte verso est, l’avanposto tecnologico degli Usa contro la Cina... E’ questo ciò che anche noi vogliamo ? Sembrava che la maggioranza della gente volesse l’opposto, la pace. Effettivamente, dell’ultima ora sono le titubanze o addirittura l’apparente retromarcia di alcuni governi europei (Germania, Italia ?) sulla cancellazione del gas russo. Ma intanto, se a qualcuno non viene in mente di farla finita con un first strike (primo colpo) nucleare che azzeri le difese del nemico, gli Europei faranno a gara per trovare soluzioni energetiche rinnovabili pur di eseguire le istruzioni atlantiche (blocco finanziario totale ed espulsione della Russia dalle Nazioni Unite), sicché la piccola vecchia Europa dovrà ricominciare a navigare in cerca di nuovi-vecchi commerci, l’Italia tornerà a essere “terra di navigatori, poeti e santi”...

D’altronde, molti analisti parlano di fine della globalizzazione governata dal re-dollaro, fine dell’economia ‘vuota’ (senza produzione di beni primari) e della sua finanza virtuale, un ritorno a produzioni persino alimentari e a un commercio fisico, il che porterebbe i paesi emergenti a liberarsi finalmente dal colonialismo strutturale dell’occidente. Se proprio si dovesse adottare una nuova ‘moneta universale di riserva’, forse potrebbe bastare una criptovaluta come il Bitcoin, o lo yuan cinese... Certo è che il rifiuto euroamericano di pagare la Russia in rubli ha generato una nuova creatività commerciale asiatica: il nazionalista premier indiano Narendra Modi ha – sì, fatto visita al presidente americano ma, in linea con lo storico “non-allineamento” dell’India, ha piuttosto rinforzato i suoi scambi commerciali con la Russia – anzi si è già creato o si sta creando un polo finanziario alternativo a Wall Street: fra Russia, India, Singapore, Cina... La politica è figlia dell’economia: quello che è stato e tuttora è precisamente il terrore dell’(ex)impero americano (Biden parla sì di un Nuovo Ordine Mondiale, ma sa va sans dire a leadership Usa), forse sta già avvenendo ? ciò che massimamente gli Usa non sono disposti ad accettare: una multipolarità mondiale – la cosa più normale del mondo, storicamente naturale. Persino nell’allucinante, crudelissima distopia 1984 Orwell ha mantenuto tre grandi aree politico-amministrative (in perpetuo conflitto fra di loro): Oceania, Estasia ed Eurasia.

Il richiamo ad Orwell e all’Eurasia mi riporta all’incredibile rimozione degli Euroamericani: l’innaturale scissione della Russia dall’Europa. E’ vero che la Russia ha due anime, una occidentale, l’altra slava ed orientale, anzi siberiana. Ma come è possibile cancellare, seppellire l’intera cultura dell’anima russa europea (filosofia, letteratura, poesia, musica, arte, sport)? Se “dall’Atlantico fino al Volga”, la formula di De Gaulle a Strasburgo (23/11/1959) poteva risultare antipatica agli Usa, figuriamoci poi quella “Da Vancouver a Vladivostok”1 di Mevdevev (Berlino 2008), forse illuso che la straordinaria elezione di Obama avviasse un’innovativa apertura politica. Questo articolato, nuovo progetto di Sicurezza “paneuropea”, basato non sugli armamenti ma sul monitoraggio, fu respinto da Bush, eppure fino a otto mesi fa è stato ricordato da Putin a Berlino (“Die Zeit”, 22/06/ 2021), nel suo accorato appello in occasione dell’ottantesimo anniversario della ‘Guerra Patriottica’ di difesa e vittoria sul nazismo. In quel discorso infine rimarcava: “il presidente in carica Yanukovych aveva già accettato tutte le richieste dell'opposizione. Perché gli Stati Uniti hanno organizzato il golpe? E perché i Paesi europei lo hanno inconsapevolmente sostenuto, provocando la spaccatura dell'Ucraina stessa e il distacco della Crimea dal Paese ?” Prosegue dichiarando che la Russia è uno dei “grandi stati europei”, ed elencando i campi in cui la cooperazione è di assoluto interesse comune: stabilità strategica, sanità, istruzione, digitalizzazione, energia, cultura, scienza, tecnologia, soluzioni ecologiche. L’affermazione finale “non possiamo permetterci di portarci dietro il peso di incomprensioni, risentimenti, conflitti ed errori del passato” è davvero l’invito morale al quale non aver risposto equivale all’apertura di una ostilità definitiva. E’ in quel punto, 2016, che si colloca il supposto “sabotaggio” informatico russo che ha portato alla sconfitta di Hillary Clinton e alla vittoria di Trump ?

Non sappiamo, forse mai potremo sapere, quanto apparente sia stato l’isolazionismo trumpiano e quanto la sofferta elezione di Biden sia frutto di un rinnovato riassembramento del “cosmopolitismo” imperiale antirusso: certo la politica estera dei “democratici” lo è apertamente, così in Italia quella del partito con lo stesso nome. Si tratta dunque di un’insanabile guerra di religione ?

Argomento assai scivoloso, da un lato per il suo peso nella storia europea, così drammaticamente fondata sul conflitto cattolici/protestanti, nonché papato/impero, al centro del suo territorio e del suo sviluppo – dall’altro per quello, non meno sanguinoso e mai sopito, fra Cristianità e Islam. Se queste correnti fondano la struttura della storia europea, non meno essenziale e insanabile è il dissidio all’interno della cristianità stessa, fra le sue due componenti maggiori e l’Ortodossia, cui stiamo al presente assistendo. Sembrano istanze tramontate, non lo sono affatto, anzi contengono l’archetipo del problema: il rapporto fra potere Sacro e profano, ovvero fra autorità religiosa e autorità politica – la seconda per tradizione bizantina (ma universale) sottomessa alla prima (Putin compunto alla cerimonia di Kirill). Sappiamo quanto il nostro Dante vi abbia ragionato, prima di uscirne con la teoria dell’armonia fra idue soli, il Papa e l’Imperatore, che non dovrebbero contendersi il primato, ma completarsi nella gestione della società: all’uno assicurare la pace, all’altro il benessere. E poiché la storia dell’Occidente, nell’ultimo secolo guidato dagli Usa, non è che la progressiva de-sacralizzazione di ogni umanità e ogni cosa – in filosofia il nichilismo assoluto – non si può non riconoscere un fondamento logico alle tendenze ‘restauratrici’ che ispirerebbero lo stesso Putin. Lungi qui dall’attribuire una discendenza delle sue decisioni strategiche a diretti suggerimenti di colui che è definito “il consigliere di Putin”, il filosofo Aleksander Dugin (ben noto in Italia), occorre meditare sull’importanza della Tradizione, sincretista e non consumista (che include Marx) trasmessa da Dugin, troppo facilmente liquidato come “reazionario”.


Note
1 Si veda: Serena Giusti, La sicurezza dall’Atlantico agli Urali secondo la Russia, ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) n.114, Gennaio 2009.

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