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pressenza

C’è un limite a tutto e si chiama decenza

di Ugo Giannangeli

La propaganda a sostegno dell’Ucraina ha raggiunto livelli insopportabili e indecenti.

In questi giorni abbiamo in tour (sarebbe il caso di dire “tournee”) quattro donne, mogli e fidanzate di quattro importanti esponenti del reggimento Azov. Il Corriere della Sera del 29 aprile dedica a loro un’intera pagina. Toccato inevitabilmente nell’intervista il punto dolente dell’appartenenza del reggimento alla galassia neonazista, la moglie del comandante Prokopenko nega con fermezza l’appartenenza e dice del marito che è un nazionalista, non un nazista. L’intervistatrice, una donna solidale, si guarda bene dal fare la sola domanda necessaria a questo punto: come mai il reggimento fa aperto uso della simbologia della Germania nazista tra cui il Wolfsangel usato dai nazisti durante l’invasione dell’Urss? Ma non si può mettere in imbarazzo una giovane moglie in apprensione per la sorte del marito!

La signora Prokopenko adduce poi un argomento a suo parere risolutivo a dimostrazione della falsità dell’accusa di neonazismo al reggimento: ne fanno parte anche ebrei. La ventisettenne Kateryna evidentemente non ha letto l’interessante libro “ Relazioni pericolose.

Il movimento sionista e la Germania nazista “ di Faris Yahia, edizione La città del sole, che, tra l’altro, riporta il testo di un documento del 1941 in cui la fazione Stern dell’Irgun (gruppo armato di estrema destra fondato nei primi anni ’30) “si offre di prendere attivamente parte alla guerra a fianco della Germania a patto che le suddette aspirazioni nazionali del movimento di liberazione ebraico vengano riconosciute dal governo del Reich tedesco “ (op. citata, pag.113).

Chissà se il marito ha mai raccontato a Kateryna l’origine del reggimento, degno erede delle brigate che, guidate da Stepan Bandera, contribuirono all’attacco all’URSS (proprio in Ucraina) durante la seconda guerra mondiale puntando a creare uno Stato indipendente alleato della Germania di Adolfo Hitler. “Per combattere accanto ai tedeschi queste brigate si organizzarono nell’armata Ucraina di insurrezione. Da questa si creò poi una divisione delle SS (la 14ª Waffen SS Galicia) che sventolava l’antica bandiera ucraina gialla e blu vietata dal regime sovietico “ (Europa Today del 24/2/2022).

Leggo che queste quattro fanciulle stanno imperversando in lacrime nelle TV nostrane in una vera e propria articolata campagna mediatica. Chi c’è dietro? Chi l’ha organizzata? Ce lo dice lo stesso articolo del Corriere: il sig. Pyotr Verzilov che ha tra i suoi meriti quello di aver fondato la band Pussy Riot e di averne sposato una componente. Evidentemente Versilov ha una predilezione per le giovani fanciulle: oggi le quattro in tour, ieri le Pussy Riot. Ma chi sono le Pussy Riot? Sulla scena musicale sono un gruppo punk femminista autore di pezzi come “Straight outta vagina”; sulla scena pseudo politica sono un gruppo autore di provocazioni come l’irruzione del 21 febbraio 2012 nella cattedrale di Cristo Salvatore nel centro di Mosca.

Così descrive la scena Diana Johnstone nel suo libro “Hillary Clinton, regina del caos”, editore Zambon: “in cinque, in abiti succinti e sgargianti e con il viso coperto da passamontagna… presero posto davanti all’altare maggiore. Iniziarono a urlare oscenità chiamando “puttana” il patriarca della Chiesa russa ortodossa”. Tre Pussy Riot furono arrestate e processate su denuncia della Chiesa ortodossa. Il mondo occidentale si schierò in loro difesa. Secondo Paul McCartney, Madonna, Byork, Amnesty International, Avaaz e altri le ragazze avrebbero cantato una innocente canzoncina contro Putin in una chiesa. Ve lo immaginate un gesto analogo compiuto nella basilica di San Pietro con fanciulle in abiti succinti che danno della puttana a Papa Francesco dinanzi a centinaia di fedeli in preghiera?

Un gruppo analogo a quello delle Pussy Riot è, guarda caso, quello delle ucraine Femen che condividono con le omologhe russe un odio esibizionistico per Putin e la Russia tutta. Per far meglio intendere i loro discorsi le Femen agiscono a seno nudo. Dice Diana Johnstone nel libro citato a pag. 123:” i seni nudi sono il marchio di fabbrica del gruppo, il che ovviamente lo porta a selezionare le sue componenti in funzione degli stessi criteri sessisti impiegati dal Crazy Horse nell’assumere le sue show girls”.

Infine, ciliegina sulla torta, “ le Femen hanno annunciato la loro vicinanza al partito nazionalista ucraino di estrema destra Svoboda ed erano presenti a sostegno dell’aggressione attuata dall’estrema destra contro gli attivisti federalisti a Odessa il 2 maggio 2014 quando almeno 48 persone furono arse vive nel rogo appiccato subito dopo (op. cit. pag. 124).

Lo sdoganamento del reggimento Azov da gruppo armato forse con qualche simpatia neonazista a eroe della resistenza ucraina è stato progressivo. Sempre sul Corriere della Sera, il 17 marzo Andrea Nicastro parlava del battaglione come “quello sospetto di simpatie neonazi”; seguì poi una lunga intervista al comandante presentato come un eroico resistente ed ora scendono in campo le consorti.

La campagna mediatica in corso non ha precedenti almeno dal dopoguerra ad oggi. Si fa leva sull’informazione battente e capillare con inviati anche nei più sperduti villaggi ucraini; si fa leva sulla commozione con immagini di orsacchiotti di peluche macchiati di sangue; si fa leva sul sensazionalismo sino a sfociare nel falso spudorato e spesso smentito.

Così abbiamo i casi eclatanti della strage di Donesk (23 uccisi e altrettanti feriti) ad opera degli ucraini contrabbandata dal quotidiano La stampa come strage ad opera dei russi (e la sdegnata protesta del professor Angelo D’Orsi rimarrà senza alcuna risposta); gli edifici di Gaza in fiamme contrabbandati come condomini di Kiev; Ahed Tamimi, una giovane palestinese bionda con occhi chiari, che schiaffeggia un soldato israeliano contrabbandata come una ucraina coraggiosa che picchia un russo. Le foto spesso subiscono interpretazioni ridicole: il Corriere della Sera del 31 marzo ha in prima pagina la foto di alcuni soldati russi che fumano tra i carri armati. All’evidenza sono ritratti in un momento di pausa. La didascalia della foto invece recita: “ soldati russi nascosti dietro i carri armati per difendersi dagli attacchi della resistenza Ucraina “.

È attivo anche il revisionismo del passato: dal sito del quotidiano La stampa scompare nel marzo 2022 un articolo del 2014 sul dilagare dei nazisti in Ucraina. La propaganda si realizza non solo con la narrazione faziosa e, ove possibile, falsa ma anche con il silenzio complice: così solo sui social troviamo notizie sulla messa al bando delle organizzazioni di sinistra e sulla scomparsa di sindacalisti e politici di sinistra. Una vera e propria pulizia non etnica, ma politica. Per non dire della censura: vedi il recente caso dello show di Santoro “ La pace proibita” fatto sparire anche da You tube.

A proposito di pulizia etnica, un aspetto positivo in questo scempio mediatico può forse essere trovato. Già dal 25 febbraio sui giornali sono comparse le parole “diritto internazionale”; nei giorni successivi le parole “crimini di guerra” e “crimini contro l’umanità”; subito si è invocato l’intervento della Corte penale internazionale. Già ai primi di marzo era operativo in territorio ucraino un pool investigativo della Procura della Corte. Allora in molti si sono ricordati della Palestina ed è iniziato a comparire il termine “doppio standard “. Troppe le analogie di situazioni e le differenze di reazioni con la Palestina: la responsabilità di Israele per una occupazione che dura da 74 anni, la condanna dello Stato sionista per crimini di guerra e crimini contro l’umanità da parte di commissioni dell’Onu, di Human Rights Watch, di B’Tselem, di Amnesty International; la Corte penale internazionale che interviene sì ma dopo anni e anni di totale inerzia.

Orsacchiotti di peluche insanguinati ci sono stati anche a Gaza; autoambulanze crivellate di colpi; civili fatti oggetto di cecchinaggio durante la Grande marcia del ritorno; case demolite; bombardamenti… Qualche immagine è pure riuscita ad emergere in questi anni anche se non c’è mai stato lo spiegamento di truppe con la scritta “Press” che vediamo in Ucraina. Nel 2008/ 2009, durante l’eccidio denominato Piombo fuso, a Gaza c’era solo un italiano, Vittorio Arrigoni, che quotidianamente riferiva dei feroci bombardamenti sulla popolazione mentre i giornalisti, quelli retribuiti (sarebbe meglio dire prezzolati), guardavano i bagliori delle esplosioni da Tel Aviv o, i più coraggiosi, da Askelon.

Qualcosa è emerso in questi anni. Certo non abbiamo le interviste agli inquilini di un palazzo bombardato; certo, non abbiamo il nome e il cognome di due fidanzatini che si baciano mentre lui parte. Degli uccisi e dei feriti palestinesi non abbiamo non solo i nomi ma neppure il numero, ma qualche notizia è emersa ed ora il raffronto con la diversa narrazione della situazione Ucraina è cocente.

Il doppio standard riguarda anche i profughi. È in corso una gara per accogliere quelli ucraini. Quelli afghani, iracheni, yemeniti, siriani non hanno ricevuto analoga accoglienza. Eppure sono vittime delle nostre guerre, pardon, delle nostre operazioni di peacekeeping. Oggi si irride Putin perché non usa la parola guerra. Noi in Afghanistan, Libia, Siria,Yemen, Irak usavamo questo termine? No. Per non dire della Jugoslavia e della nostra diretta responsabilità nei bombardamenti su Belgrado. Per i profughi ucraini si è scoperta una direttiva europea del 2001 che consente di concedere il permesso di soggiorno senza riconoscimento del diritto di asilo. Qualche profugo vestito malamente e un po’ scuro di pelle è sceso in piazza a Milano a manifestare e ha chiesto: “e noi? “.

Quali le conseguenze di questo schierarsi compatti per l’Ucraina sul fronte mediatico ma anche su quello politico e su quello economico (qui, a dire il vero, con qualche crepa sul fronte europeo)? Questa manichea distinzione bianco e nero senza sfumature; questa continua irrisione (Gramellini maestro) di chi semplicemente si pone domande e vuole approfondire i temi ha già portato allo stupro del 25 aprile 2022: ostentate bandiere israeliane, uno Stato inesistente nel ‘45; ostentate bandiere della Nato, un’organizzazione armata inesistente nel ‘45; ostentate le bandiere ucraine che rappresentano quello Stato con un esercito che include quel reggimento neonazista di cui si è detto ed ora elevato anche in Europa a eroe nazionale.

Questo acritico schierarsi con l’Ucraina porterà recessione, disoccupazione ma soprattutto perdita di dignità per l’evidente sudditanza dell’Europa agli USA e alla Nato. Sono un tifoso di Putin? No, mi limito a fare mie alcune considerazioni di Jeffrey Sachs, professore alla Columbia University. Sul Corriere della Sera del 1 maggio il professore dice, tra l’altro: “Se vogliono processare Putin per crimini di guerra, allora devono aggiungere alla lista degli imputati Georg W.Bush e Richard Cheney per l’Irak, Barack Obama per la Siria e la Libia, Joe Biden per aver sequestrato le riserve in valuta estera di Kabul alimentando così la fame in Afghanistan… La Russia ha iniziato questa guerra ma in buona parte perché ha visto gli Stati Uniti entrare in modo irreversibile in Ucraina. Nel 2021 mentre Putin chiedeva agli Stati Uniti di negoziare l’allargamento della Nato all’Ucraina, Biden ha raddoppiato la scommessa diplomatica e militare. Non solo ha rifiutato di discutere con Mosca l’allargamento della Nato, ma gli Stati Uniti hanno anche continuato le esercitazioni militari e le spedizioni di armi su larga scala…Gli Stati Uniti vogliono che l’Ucraina combatta per proteggere le prerogative della Nato… Conosco bene il mio paese: i leader sono pronti a combattere fino all’ultimo ucraino”. (J. S.)


Ugo Giannangeli, avvocato penalista, all’impegno nella professione ha sempre affiancato un impegno sociale e politico nella sinistra militante, prevalentemente sui temi del carcere, della pena, della repressione delle lotte sociali e della solidarietà internazionale, in particolare a sostegno della resistenza del popolo palestinese contro l’occupazione sionista. Ha partecipato come osservatore internazionale al processo nel 2002 contro Marwan Barghouti e alle elezioni del 2006 in Palestina. Ha partecipato a convegni politici a Cuba, Libia, Libano. Ha contribuito alla stesura del libro “Palestina” della collana “Crimini contro l’umanità”, ed. Zambon e, con lo stesso editore, alla riedizione nel 2018 del libro “Coi miei occhi” della avvocatessa Felicia Langer. Ha contribuito alla nascita del movimento “ No M346 ad Israele” e del “Forum contro la guerra” di Venegono. Collabora con la Scuola dei diritti umani di Como.

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