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Non ci sono alternative

di Leonardo Mazzei

Ci avviciniamo ai 3 mesi di guerra, e tutto si può immaginare tranne la sua fine. La narrazione iniziale si sta risolvendo nel suo contrario. A febbraio l’ipotesi prevalente era quella di un conflitto breve, che la Russia avrebbe vinto militarmente, per poi perderlo in maniera rovinosa sul piano economico. Non è andata così. E non poteva andare in quel modo per un semplice motivo: qui non siamo di fronte ad uno scontro tra Russia e Ucraina, che se così fosse stato si sarebbe chiuso in una settimana. Quella in corso è piuttosto la guerra scatenata dal blocco Usa-Nato-Ue contro la Russia; l’inizio di una Terza Guerra Mondiale combattuta per ora prevalentemente sul suolo ucraino.

Naturalmente la situazione sul campo va valutata in maniera oggettiva, che se dessimo retta alla propaganda occidentale potremmo anche pensare che l’esercito ucraino si accinga a prendere Mosca… L’evoluzione di questa propaganda è tuttavia interessante. Mentre in un primo momento si insisteva sull’esigenza di sostenere la “povera” Ucraina aggredita dall’Orso russo, si è ora passati a toni più bellicosi e risolutivi: la Russia va sconfitta, punto e basta; la guerra va portata fino in fondo costi quel che costi.

Dunque, i fatti ci hanno dato ragione. Se l’espansione della Nato, nella quale di fatto l’Ucraina era già integrata da tempo, serviva ad attaccare la Russia; la vera escalation che ha portato al conflitto in corso non è stata avviata da Putin, bensì dagli americani. E quale sia la volontà di questi ultimi ce lo dice il recente stanziamento di 40 miliardi di dollari per armare ancor di più l’esercito di Kiev.

Armi di ogni tipo inviate dai paesi Nato, istruttori sul campo, servizi di intelligence occidentali che partecipano attivamente al conflitto, una propaganda martellante alimentata a getto continuo, sanzioni sempre più pesanti contro Mosca: cos’altro deve avvenire per prendere atto di una dichiarazione di guerra totale dell’occidente alla Russia?

Così scrivevamo agli inizi di marzo: «E’ chiaro che siamo entrati in una partita mortale, uno scontro che non ammette vie di fuga, alla fine del quale ci sarà un vincitore ed un vinto, ma ci sarà soprattutto un quadro internazionale profondamente diverso da quello precedente alla crisi ucraina».

Che in questo contesto la Russia abbia incontrato delle serie difficoltà sul piano militare è cosa abbastanza normale, anche per la necessità di condurre le operazioni limitando al massimo il coinvolgimento dei civili.

A queste difficoltà si contrappone però la tenuta economica e finanziaria. Le sanzioni si sono rivelate meno efficaci del previsto. L’embargo sui prodotti energetici avrà tempi lunghi, mentre il blocco dello Swift ha fatto meno danni di quel che si poteva pensare. Certo, come si dice in occidente, le sanzioni hanno efficacia nel lungo periodo. Ma intanto la mossa di Putin sul pagamento del gas in rubli sta avendo successo.

Un anno fa ci volevano 89 rubli per acquistare un euro, e questo era il cambio pure il 23 febbraio, il giorno prima dello scoppio della guerra. Poi il cambio si era impennato, facendo prevedere una svalutazione catastrofica del rublo. Ma così non è stato. Dopo il picco di 156 rubli per un euro del 7 marzo, siamo tornati ai livelli pre-guerra già a fine marzo con il solo annuncio di Putin. Ma non basta, venerdì scorso (13 maggio) erano sufficienti 67 rubli per acquistare un euro, con una rivalutazione del 24,7% rispetto a febbraio. Evidentemente i mercati finanziari sono piuttosto certi dell’adeguamento dei grandi gruppi energetici europei (tra i quali Eni ed Enel), dunque dei rispettivi governi, al pagamento in rubli. Un successo indiscutibile per Putin, uno smacco di non poco conto per il blocco Usa-Nato-Ue.

In questo modo, contrariamente alle aspettative occidentali, la Russia potrà mantenere una discreta stabilità finanziaria ed un certo controllo sull’inflazione. Elementi piuttosto importanti al fine della massima coesione interna. Ma l’operazione sul rublo ha anche una finalità di lungo periodo: quella di avviare concretamente la messa in discussione del sistema dei pagamenti centrato sul dollaro. Una sfida mai vista negli ultimi ottant’anni, una prova ulteriore di quanto sia mortale la partita in corso.

Se quanto detto fin qui è fondato, una cosa appare quasi certa: la guerra sarà lunga. Naturalmente, come dimostrano gli errori di tanti commentatori, le previsioni vanno spesso incontro a sonore smentite. Ma quella di una guerra lunga si basa sulla vera posta in gioco del conflitto, niente di meno dei futuri equilibri di potenza a livello mondiale.

Proprio perché la posta in gioco è questa, i contendenti si stanno preparando ad uno scontro prolungato. Il blocco a guida Usa lo sta facendo con due mosse: da un lato il massimo sostegno ad una guerra per procura, come si dice “fino all’ultimo ucraino”; dall’altro il risparmio delle proprie forze in attesa dei futuri sviluppi. Ma il risparmio delle forze è evidente anche sull’altro versante. Mentre la Cina cerca di prendere tempo, senza tuttavia incrinare il proprio rapporto con Mosca, l’indicazione più chiara ci viene proprio dalla Russia.

La propaganda occidentale vorrebbe farci credere ad un esercito russo allo stremo, privo ormai dei mezzi e degli uomini sufficienti a condurre una guerra all’altezza dello scontro. Quanto sia credibile questa narrazione ce lo dicono alcuni numeri. Le Forze armate russe sono composte da 900mila effettivi, più 2 milioni e 500mila riservisti. In Ucraina si calcola che ne siano stati impiegati al massimo 190mila. Come si spiegano queste cifre se non con la prudente volontà di risparmiare forze in vista della possibilità di un conflitto più allargato?

Tra i tanti segni dell’escalation in corso, l’entrata nel Patto Atlantico di Svezia e Finlandia è certo uno dei più significativi. La propaganda ci racconta di queste scelte come mera conseguenza dell’azione di Putin, ma la verità è che questi due paesi – come dimostrato dalle esercitazioni congiunte degli ultimi anni – erano già partner della Nato da tempo. Sta di fatto, però, che con l’ingresso della Finlandia l’Alleanza Atlantica si porterà ad un tiro di schioppo da San Pietroburgo, mentre il confine Russia/Nato si allungherà di altri 1.348 chilometri.

Bisogna dunque prendere atto della realtà. Per ora non siamo allo scontro diretto, né siamo arrivati alla soglia nucleare, ma quella che stiamo percorrendo è la strada della Terza Guerra Mondiale.

Gli Stati Uniti non vogliono perdere il loro primato, le oligarchie finanziarie e l’intero establishment a stelle e strisce vogliono rilanciare una globalizzazione fondata sul loro dominio militare, la loro egemonia politica, la propria supremazia economica basata sul sistema del dollaro. Per ottenere questo risultato a Washington si è pronti alla guerra totale, prima contro la Russia, poi se necessario contro la Cina. Ovviamente, agli americani piacerebbe vincere facile. Per questo non hanno mai smesso di sognare una bella “rivoluzione colorata” a Mosca. Evento però altamente improbabile, almeno a parere di chi scrive.

Che fare allora per impedire la catastrofe in arrivo? Cosa fare, in primo luogo, in Italia? Il nostro Paese già paga duramente, sul piano economico, la scelta del totale allineamento euro-atlantico. Ma questo prezzo potrebbe essere niente rispetto ai rischi di un coinvolgimento diretto nel conflitto. Mai come oggi le parole d’ordine dell’uscita dalla Nato e dall’Ue sono state attuali, ma intanto bisogna portare l’Italia fuori dalla guerra.

Questo vuol dire esattamente tre cose: fermare l’invio delle armi all’Ucraina, ritirare l’adesione alle sanzioni contro la Russia, dire basta alla russofobia. Queste tre cose saranno però impossibili senza la quarta: la cacciata dal governo di Mario Draghi, l’amerikano.

Sappiamo tutti quanto saranno importanti le prossime elezioni politiche, ma prima di esse potrebbe accadere l’irreparabile. E’ dunque il momento della lotta e della costruzione dell’opposizione. La guerra potrà essere fermata solo incrinando il blocco Usa-Nato-Ue. Non sarà facile, ma non ci sono alternative.

Abbiamo detto che lo scenario più probabile è quello di una guerra lunga, ma per uscire da questo incubo occorre che la mobilitazione contro il governo sia immediata. Oggi nessuna illusione è più concessa.

Comments

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leandro locatelli
Sunday, 22 May 2022 09:13
Petizione diretta al Presidente Mario Draghi e al ministro Cartabia
Andrea Rocchelli, fotogiornalista italiano era andato a documentare gli orrori della guerra in Ucraina, precisamente nel Donbass, ed è stato ucciso per questo. E' stato assassinato insieme all'attivista per i diritti umani (e interprete) Andrej Nikolaevič Mironov, dal fuoco ucraino, il 24 maggio 2014. William Roguelon, unico sopravvissuto all'attacco, dichiarerà che il gruppo è stato bersagliato da numerosi colpi di mortaio e armi automatiche dalla collina Karachun, dove era stanziata la Guardia nazionale dell'Ucraina e l'esercito ucraino. Gli assassini non sono i russi ma i nostri alleati, addestrati e armati da noi. I "buoni". Quelli che difendono la libertà. Nel luglio 2017 le indagini hanno portato all'arresto di Vitaly Markiv mentre rientrava in Italia, militare della Guardia nazionale ucraina col grado di vice-comandante al momento dell'arresto ma soldato semplice all'epoca dei fatti, con cittadinanza italiana. Markiv è stato sottoposto a misure detentive di custodia cautelare in attesa del processo che si è aperto a Pavia nel maggio 2018. Durante lo svolgimento del processo, Markiv viene anche accusato dentro e fuori l'aula di simpatie neonaziste. Si legge su Wikipedia: "Il 12 luglio 2019 la corte penale di Pavia ha giudicato Vitaly Markiv colpevole per concorso di colpa nell'omicidio di Rocchelli e Mironov e lo ha condannato a 24 anni di reclusione. Lo stato Ucraino è stato anch'esso giudicato colpevole nella medesima sentenza quale responsabile civile". Markiv però se la cava, dopo l'intervento delle autorità dell'Ucraina che prendono le sue difese. Ed ecco il colpo di scena: "Il 3 novembre 2020 la Corte d'Assise d'appello di Milano, pur ritenendo colpevoli le forze armate ucraine dell'omicidio dei giornalisti, ha assolto Vitaly Markiv con formula piena escludendo alcune testimonianze chiave dall'impianto accusatorio per un vizio di forma". Sul tablet e sullo smartphone sequestrati a Markiv, secondo i Ros, sono conservate oltre duemila fotografie. Alcuni scatti mostrano un uomo incappucciato, con una catena di ferro al collo, rinchiuso nel bagagliaio di un’automobile, una Skoda Octavia. In alcune immagini scattate poco dopo, si vede lo stesso uomo, con il volto ancora coperto, gettato in una fossa mentre qualcuno non inquadrato nella ripresa lo ricopre di terra. Altre fotografie ritraggono Markiv davanti alla stessa Skoda Octavia. Quando nell’aula è stata mostrata una foto di agenti della guardia nazionale ucraina con alle spalle una bandiera nazista, Markiv ha chiesto di prendere la parola e ha detto: «Non voglio che la guardia nazionale sia presentata come nazista. La bandiera ritratta in quella foto è soltanto un bottino di guerra» Peccato che il nemico fossero gli autonomisti del Donbass. Non c'è pace senza giustizia, non si annulla una sentenza per vizio di forma, dopo l'intervento delle autorità Ucraine che hanno parlato di complotto e di processo politico, intervento supportato anche da politici di lungo corso italiani. Chiediamo al presidente del consiglio Draghi ed al ministro della Giustizia Cartabia la revisione del processo. Ci sono due vittime innocenti, assassinate perché testimoniavano con il loro lavoro verità scomode, non ci possono essere colpevoli in libertà. La responsabilità penale è personale, indicare come responsabile l'intero esercito ucraino è inutile e sbagliato. Verità e giustizia per Andrea e Andrej.
Puoi firmare la petizione qui: https://chng.it/J4kY6Zdj
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